uno vive fuori, meglio, e magari si rimuovono i difetti della patria di partenza, e resta la nostalgia, Teju Cole torna per qualche settimana in Nigeria, e trova quello che si trova al ritorno.
tutto il male, corruzione, estorsione, pressapochismo, oblio del passato, e qualche cosa bella, che vale ancora di più, visto l'ambiente.
un amico, un negozio che vende dischi, una persona che legge un libro sono cose preziose, minoritarie, da coltivare.
ma tutto è difficile, quasi impossibile.
la straordinarietà di questo quasi diario di viaggio risiede nel fatto che è disegnato il nostro futuro, non solo un presente (parzialmente) altro.
il Male vince, senza trovare ostacoli abbastanza forti da fermarlo, o anche solo rallentarlo.
un libro che con poche pennellate dipinge un mondo., con gli occhi di un quasi-straniero.
ma tu leggilo (anche) come una cronaca del nostro futuro, non potrai non sentirti coinvolto - franz
…Dopo il racconto di New York, anche la scoperta di Lagos – col suo
odore di cherosene, i muezzin, i galli, il rumore dei generatori che partono ai
continui black-out, i guru religiosi che girano con le Mercedes-Benz – si
rivela presto essere l’unico modo in cui Cole cerca se stesso. Il suo
peregrinare nei luoghi che non conosce e in quelli che conosceva un tempo
esprime il desiderio di perlustrare una parte di sé che è ancora inaccessibile.
Ogni giorno è per il ladro è uscito in Nigeria nel 2007. È stato
poi rivisto dall’autore per la pubblicazione nel resto del mondo nel 2014.
Lagos è cambiata. Aprono nuovi fast food, si è formata una Chinatown che prima
non esisteva. Con gli anni muta anche Teju Cole. I lettori continueranno a
seguire i suoi viaggi nei quartieri di teppisti, le sue descrizioni della
pioggia, la sua passione per l’arte. E chissà, magari un giorno, si fermerà, e
per scrivere un grandioso racconto di una nuova città si metterà a scrivere.
Non più reportage, ma una lunga lettera alla madre.
…Ogni
giorno è per il ladro (scritto in realtà per primo nel
2007, ma pubblicato sinora solo in Nigeria), oscilla continuamente tra
appartenenza e non-appartenenza, fluttua tra nostalgia, amore
e rabbia in una serie di peregrinazioni, di frammenti ed episodi,
intramezzati dalle diciannove fotografie che l’autore stesso ha scattato
a sette anni di distanza, nel 2013, come altrettante istantanee di un
mondo sfaccettato e non riconducibile a verità assolute ed
interpretazioni univoche. Il ritorno alla nativa Nigeria sancisce la
presa di coscienza dell’impossibilità del «ritorno a casa», raccoglie
storie di esilio, segna un viaggio epico nella vita moderna dell’Africa…
…L’operazione compiuta da Cole è uno dei tòpoi più
classici della letteratura, la cronaca di un ritorno a Itaca che si sposta però
a un’altra latitudine, dove tutto è più estremo, intenso. L’autore è
consapevole che il materiale che ha a disposizione per la sua storia è roba
prolifica, bollente, che si presta con naturalezza alla narrazione, e lo
maneggia con consapevolezza e misura. Dopotutto, tramite il suo personaggio
confessa ai lettori: «provo una vaga compassione per quegli scrittori che
devono esercitare il loro mestiere in sonnolenti sobborghi americani,
descrivendo scene di divorzio simboleggiate da un lentissimo risciacquo di
piatti. Se John Updike fosse stato africano, avrebbe vinto il Nobel vent’anni
fa. Sono convinto che il suo materiale lo ostacolava. Shillington,
Pennsylvania, semplicemente non era all’altezza della sua stravagante
genialità». La Nigeria, invece, il talento di Teju Cole lo sa assecondare
eccome.
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