Tra le varie frasi pronunciate dal Presidente del
Consiglio Renzi lunedì scorso all'assemblea del Nazareno, ce n'era una -
dedicata alla natura del PD - che mi ha fatto sobbalzare: "Noi non siamo
un club di filosofi, non siamo un'associazione di liberi pensatori, noi siamo
un partito politico".
Oibò. Non saprei nulla di più essenzialmente filosofico che un partito politico. E nulla mi pare più intimamente politico di un dialogo filosofico. Non solo la filosofia nasce come progetto pedagogico espressamente finalizzato alla formazione di membri consapevoli della Polis, ma il moderno partito politico altro non è se non un organismo collettivo che assume (o dovrebbe assumere) le proprie deliberazioni sulla base di certe procedure 'dialettiche' e certi ancoraggi ideali le quali e i quali in ultima analisi sono filosofia, nient'altro che filosofia.
Per non parlare del prototipo del partito politico: l'ecclesia ateniese, cioè l'assemblea del popolo sovrano (ekklēsía: "assemblea") cui spettava di deliberare in merito alle questioni più rilevanti per la conduzione della Polis.
Questo sanno (o dovrebbero sapere) tutti quelli che si occupano di politica. Poi però occorre aggiungere che - dopo l'uccisione di Socrate, per mano demagogica, nel 399 a.C. - è proprio il suo allievo Platone a riformulare in senso filosofico la questione della Polis (e dell'ekklēsía), cioè la questione di un governo della cosa pubblica resistente alle crisi mimetico-sacrificali nelle quali il potere e le masse possono trovarsi risucchiati.
Lungo ventiquattro secoli di vita la filosofia ha sviluppato utili antidoti contro la demagogia e il populismo, denunciando - non sempre ascoltata e non senza pagare essa stessa un prezzo di sangue - i temibili demoni che possono sedurre il potere e le masse. Quando questi demoni prevalgono, vediamo interi continenti cadere in una sorta di sonnambulismo suicida, fatto di lotte fratricide, guerre sanguinose, immani tragedie.
Non è tramite gli Osanna e i Crucifige, i culti entusiastici della personalità o il loro 'odioso' inverso persecutorio che uno stato consegue la forma stabile del buon governo, ma solo grazie al lavoro critico e pubblico sulle ragioni in base alle quali si giustifichino le scelte politiche da compiere.
Dopodiché, la storia non sta ferma davanti a niente. E quindi anche la filosofia appare destinata, prima o poi, alla sorte universale della rottamazione; tema, questo, classicamente marxiano. Ma a proposito di esso Karl Korsch osservava che non si può rottamare la filosofia prima di averla... realizzata.
E, in effetti, le strutture civili, politiche e cosmopolitiche moderne - dalle associazioni di volontariato al dialogo interreligioso, dagli stati democratici all'Onu - si modulano su una "sostanza normativa" di natura prettamente filosofica.
Per converso, gli esperimenti politici di "superamento" della filosofia - copiosamente scaturiti dall'economia o da qualsivoglia altra scienza, dall'esaltazione ideologica o da qualsivoglia altro dogmatismo, dalla supremazia militare o da qualsivoglia altra techne - hanno provveduto da sé a disintegrarsi con virulenza e rapidità davvero impressionanti.
Oibò. Non saprei nulla di più essenzialmente filosofico che un partito politico. E nulla mi pare più intimamente politico di un dialogo filosofico. Non solo la filosofia nasce come progetto pedagogico espressamente finalizzato alla formazione di membri consapevoli della Polis, ma il moderno partito politico altro non è se non un organismo collettivo che assume (o dovrebbe assumere) le proprie deliberazioni sulla base di certe procedure 'dialettiche' e certi ancoraggi ideali le quali e i quali in ultima analisi sono filosofia, nient'altro che filosofia.
Per non parlare del prototipo del partito politico: l'ecclesia ateniese, cioè l'assemblea del popolo sovrano (ekklēsía: "assemblea") cui spettava di deliberare in merito alle questioni più rilevanti per la conduzione della Polis.
Questo sanno (o dovrebbero sapere) tutti quelli che si occupano di politica. Poi però occorre aggiungere che - dopo l'uccisione di Socrate, per mano demagogica, nel 399 a.C. - è proprio il suo allievo Platone a riformulare in senso filosofico la questione della Polis (e dell'ekklēsía), cioè la questione di un governo della cosa pubblica resistente alle crisi mimetico-sacrificali nelle quali il potere e le masse possono trovarsi risucchiati.
Lungo ventiquattro secoli di vita la filosofia ha sviluppato utili antidoti contro la demagogia e il populismo, denunciando - non sempre ascoltata e non senza pagare essa stessa un prezzo di sangue - i temibili demoni che possono sedurre il potere e le masse. Quando questi demoni prevalgono, vediamo interi continenti cadere in una sorta di sonnambulismo suicida, fatto di lotte fratricide, guerre sanguinose, immani tragedie.
Non è tramite gli Osanna e i Crucifige, i culti entusiastici della personalità o il loro 'odioso' inverso persecutorio che uno stato consegue la forma stabile del buon governo, ma solo grazie al lavoro critico e pubblico sulle ragioni in base alle quali si giustifichino le scelte politiche da compiere.
Dopodiché, la storia non sta ferma davanti a niente. E quindi anche la filosofia appare destinata, prima o poi, alla sorte universale della rottamazione; tema, questo, classicamente marxiano. Ma a proposito di esso Karl Korsch osservava che non si può rottamare la filosofia prima di averla... realizzata.
E, in effetti, le strutture civili, politiche e cosmopolitiche moderne - dalle associazioni di volontariato al dialogo interreligioso, dagli stati democratici all'Onu - si modulano su una "sostanza normativa" di natura prettamente filosofica.
Per converso, gli esperimenti politici di "superamento" della filosofia - copiosamente scaturiti dall'economia o da qualsivoglia altra scienza, dall'esaltazione ideologica o da qualsivoglia altro dogmatismo, dalla supremazia militare o da qualsivoglia altra techne - hanno provveduto da sé a disintegrarsi con virulenza e rapidità davvero impressionanti.
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