L’incendio non era ancora stato domato del tutto quando il presidente della
Repubblica francese Emmanuel Macron annunciava una colletta per la
ricostruzione della cattedrale di Notre-Dame. A distanza di poche ore, i
giornali potevano titolare sulle ingenti donazioni che i milionari francesi
hanno subito messo a disposizione. Il giorno dopo Le Monde annunciava che le donazioni
provenienti da imprese e “fortune” francesi avevano già raggiunto gli 800
milioni di euro, poche ore dopo la cifra è di un miliardo di euro. Un coro di
applausi nei confronti della magnanimità e filantropia di questi miliardari a
cui è tanto cara la cultura e la storia.
C’è chi titola “Notre-Dame, così il capitalismo salverà la Cattedrale”affermando
che «Siamo di fronte all’ennesima dimostrazione che quando le imprese
vengono lasciate libere di creare, possono essere anche meglio dello stato». La
banalità dell’ideologia neoliberale è racchiusa in questa frase. Lasciare le
imprese e i milionari la libertà di decidere dove, come, quanto, quando e come
partecipare al benessere collettivo è solo una atto di subalternità della
politica al capitale. La storia e la cultura sono beni pubblici, collettivi, la
cui cura e promozione non possono essere delegate all’arbitrio privato (si
sarebbe donato allo stesso modo se a prendere fuoco non fosse stata una chiesa
cattolica, peraltro molto visitata?), ma devono rientrare negli interessi
democratici dello Stato. Lasciare la libertà alle imprese e ai milionari di
decidere quando donare senza che sia imposta loro la responsabilità sociale, di
redistribuzione delle ricchezze, è esattamente la causa di quel terribile
incendio. Una scelta politica di fronte alla quale, la costernazione non può
prevalere sulla ragione. Se lo Stato piuttosto che favorire la libertà delle
imprese, detassandole pesantemente, avesse dato priorità al restauro, alla
manutenzione, probabilmente non ci troveremmo in questa situazione. La scelta
sta tutta qui: dare priorità alla ricchezza di pochi o assumersi la responsabilità
di proteggere e migliorare il benessere sociale, di cui la cultura fa parte.
A Notre-Dame, come in un’infinità di altri siti del patrimonio
artistico-culturale, manca manutenzione e messa in sicurezza, forme sì queste
di degrado giustificate col “non ci sono soldi”. Guarda caso i soldi arrivano
in un batter d’occhio quando c’è da pulirsi la coscienza. Vengono da quei
milionari cui proprio il Presidente Macron ha ridotto quelle che
eufemisticamente in Francia erano chiamate “imposte di solidarietà sulla
ricchezza” (ma che altro non è se non una vera patrimoniale, non sulle prime
case, ma su patrimoni oltre il milione di euro), scatenando l’ira della società
francese che ha preso forma nel movimento dei gilets gialli. Non guasta ricordare che la
recente riforma fiscale ha ridotto il numero dei milionari soggetti all’imposta
sulla fortuna, applicata solo a chi ha un patrimonio
immobiliare netto superiore a 1,3 milioni di euro, del 40% – parola di Bruno Le
Maire, ministro dell’Economia del governo in carica – riducendo il gettito per
le casse dello Stato di 3,2 miliardi di euro (in un
solo anno).
Oggi, una manciata di milionari prova a mostrare il volto pulito, solidale.
Anche questa volta però, siamo di fronte al gioco delle tre carte: le donazioni,
infatti, sono deducibili dall’imposta sul reddito delle persone fisiche ma
anche dall’imposta sulla fortuna immobiliare così come su quelle delle società.
In particolare, come si legge sul sito della Fondazione del patrimonio che
gestisce teoricamente la colletta, la deduzione dell’imposta sul reddito delle
persone è pari al 66% della donazione, al 75% nel caso di imposta sulla fortuna
nel limite di 50.000 euro e del 60% nel caso delle società entro il limite
dell’0,5% del fatturato. Insomma, chi dona 66 mila euro si vedrà riconosciuta
una deduzione di 50 mila euro sulla tassa sulla fortuna immobiliare. Senza
alcuna sorpresa, il beneficio fiscale avvantaggia le donazioni delle grandi
imprese: come riporta France Inter, tra i grandi donatori c’è il
gruppo Lvmh della Famiglia Arnaud che ha fatturato 48,8 miliardi di euro nel
2018. Della donazione promessa di 200 milioni, lo stato cioè i contribuenti,
gliene restituiranno 120 in deduzione. Mentre nella realtà dei fatti è ancora
una volta la collettività a sostenere i costi della ricostruzione, i
ricchi potranno attribuirsene il merito. Non una novità per il capitalismo.
Il nodo politico di fondo non è la deduzione fiscale, pertanto a ben poco
serve lo slancio di generosità di
François-Henri Pinault – tra gli uomini più ricchi di Francia – che vi
rinuncia. Dal punto di vista politico il governo francese sta ancora una volta
mostrandosi orgogliosamente subalterno ai grandi magnati. Gli stessi che usano
la politica per proteggere i propri interessi e aumentare i propri privilegi,
in modo più spietato ma non dissimile nelle forme della vecchia aristocrazia,
quella che ha sempre accumulato le proprie ricchezze sullo sfruttamento delle
maggioranze e le ha poi trasmesse ai propri eredi,
meritevoli di aver avuto la fortuna di nascere da quei genitori. Il risultato è
sotto gli occhi di tutti: crescenti diseguaglianze, compressione degli spazi
democratici e tendenza al sempre maggiore elitismo delle istituzioni
democratiche, come il sistema di istruzione o quello sanitario. Al contrario
della subalternità, rivendicare la sovranità politica, cioè il ruolo di
controllo sul capitale e la possibilità di governare a favore della
maggioranza, è oggi l’unico mezzo per difenderci dall’ineluttabilità del
capitalismo rapace dal volto generoso e allo stesso tempo mantenere come
obiettivo la giustizia sociale. In questo senso, la sovranità politica deve
essere intesa come ribaltamento dei rapporti di forza e non come perseguimento
degli interessi dei capitalisti.
Se abolire la classe dei miliardari rimane
un obiettivo generale, la transizione attraverso cui ciò è possibile parte dal
rifiuto del mecenatismo e della filantropia liberale, da sostituire con un
progetto che, partendo dalla redistribuzione e dal riconoscimento universale
dei diritti sociali, restituisca alla politica il senso profondo della
democrazia. Rivendicare un processo riformista che aumenti radicalmente la
progressività fiscale e assoggetti a tassazione soprattutto i redditi da
capitale, in ogni forma, così come i redditi di quell’1% più ricco è un primo
passo per restituire dignità alla maggioranza. La stessa che invece ha oggi
bisogno della filantropia di un calciatore per godere del diritto alla mensa. È
il caso della decisione da parte del centrocampista dell’Inter Candreva di
contribuire al pagamento della mensa per una bambina veronese la cui famiglia
non poteva pagare; gesto umano, che mostra ancora una volta la disumanità e la
grettezza delle politiche leghiste (e non solo), però inutile sul piano
sociale. Finché le mense scolastiche saranno a pagamento perché la fiscalità
generale ha deciso di risparmiare i ricchi, esisterà sempre qualcuno più povero
che non potrà permettersela, lontano dai riflettori e senza un calciatore a cui
dire grazie. E sarà umiliato. Sacrificare qualche privilegio di pochi è il
minimo prezzo che la politica deve imporre per assicurare i diritti ai molti,
finché certo i primi non saranno aboliti.
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