venerdì 1 aprile 2016

Genitori e figli - Emil Hakl

il babbo di Jan lavora dove c'era Gaston (qui), i due non si vedono spesso, in questo libro parlano, fra passeggiate e birre, nella magica Praga (come la racconta da dio Angelo Maria Ripellino).
il padre e Jan non hanno mai parlato molto, ma se leggi capisci che si vogliono bene davvero, nei modi ruvidi virili.
e siamo fortunati che si fanno ascoltare da noi.
a me è piaciuto molto - franz





Praga è una poesia. Camminando per le strade della città un padre e un figlio rivelano fatti struggenti sconosciuti l'uno all'altro in un fitto e vivace dialogo.
Il padre è un settantenne, ex scienziato-biologo, un intellettuale classico nel senso migliore del termine. Il figlio è un quarantenne. vive con Marta. Completati i suoi studi di linguistica e filosofia, è a casa in cassa integrazione. Il padre è cresciuto durante la seconda guerra mondiale in Croazia, dove i nazisti lo avevano quasi ucciso; il figlio aveva dieci anni quando i carri armati sovietici schiacciarono la Primavera di Praga del 1968: hanno entrambi vissuto qualcosa di simile all’inferno.
Una volta al mese si incontrano per passeggiare e parlare. Il romanzo racconta una di queste passeggiate quando le loro chiacchierate diventano lo spunto per ricordare il passato, per riflettere sullo Stato e il destino del mondo, e per commentare storie di strada.
Un susseguirsi di storie a volte divertenti, a volte intime e profonde.
Il tutto passeggiando tra i parchi o stando seduti in un pub davanti a un boccale di birra, raccontando barzellette e aneddoti.
Capricciosamente spensierato, terribilmente divertente, questo romanzo è una piccola gemma più o meno come Aspettando Godot. Emil Hakl, invece di descrivere i personaggi convenzionalmente, lo fa attraverso il dialogo, e si arriva a conoscerli dalle cose che dicono e che fanno, piuttosto che dagli occhi soggettivi del narratore.

…L'autore non descrive i personaggi, essi sembrano presentarsi da sé grazie allo scambio di battute che spiccano in un genuino discorso diretto; il lettore carpisce sentimenti, comprende caratteri e intuisce pensieri attraverso l'immediatezza delle parole pronunciate dai protagonisti. 
I dialoghi sono al limite tra conflitto e unione di un padre e di un figlio che, forse, assaporano la passeggiata come un banale rapporto familiare ma, con la consapevolezza, che potrebbe essere l'ultima occasione per viverlo…

Narrato in prima persona dal punto di vista di Jan, Genitori e figli è costruito come un patchwork in cui aneddoti, storielle, ricordi e idee si annodano e si intrecciano in un dialogo quasi ininterrotto che mescola gli argomenti più futili con le più delicate questioni dell’esistenza. Questa costruzione narrativa (insieme alle battute che ricalcano in maniera mimetica il parlato reale), richiama altre passeggiate letterarie ceche e inevitabilmente lo stile di Bohumil Hrabal, maestro dell’arte dell’affabulazione e dei dialoghi fluviali in cui il racconto vero e proprio si mescola a dettagli, deviazioni, divagazioni che, seppur non necessarie allo svolgimento del racconto, lo arricchiscono, lo completano, gli conferiscono una luce di verosimiglianza e al tempo stesso un leggero sostrato di surrealtà.
Pur non raggiungendo le vette poetiche e stilistiche di Hrabal, Genitori e figli è un libro delicato, che mescola equamente poesia e prosaicità, malinconia e ironia, tratteggiando con tenerezza il delicato rapporto che unisce un padre e un figlio, tanto diversi per scelte di vita e opinioni quanto legati e accomunati da un solido affetto e da quella complicità maschile un po’ goliardica che forse alcuni lettori riconosceranno come propria.

…La distanza tra i due è segnata da un infantile ma fatale malinteso: quando una mattina al bambino di cinque anni avevano chiesto con chi avrebbe desiderato vivere, decisiva si era rivelata la sculacciata paterna del giorno prima – è allora che il loro legame tra padre e figlio si era spezzato definitivamente. Ed è solo attraverso la parola, la rielaborazione delle rispettive vicende esistenziali e il dialogo ossessivo che questi due outsider praghesi provano a riavvicinare le proprie vite, o meglio a far combaciare almeno per un istante i lembi di due esistenze così diverse e distanti. 
Quello creato da Hakl è una sorta di dialogo assoluto tra i due protagonisti, spesso interrotto e riannodato, che è in grado di fagocitare qualsiasi argomento: gli animali scomparsi dallo zoo, le rispettive donne, l’infanzia del padre, gli aerei da combattimento, la qualità della birra, i cocktail più improbabili, i lassativi, la ricetta migliore per le polpette, il bambino avuto molti anni prima dal figlio a sua insaputa. Ogni scambio di battute mescola sacro e profano, alto e basso, in un dialogo che si nutre del piacere stesso della parola, unica forza capace di sbrogliare «l’incomprensibile caos dei rapporti»…

Il fascino di Genitori e figli  è proprio questo girovagare fisico e dialettico. “Il dialogo è solo un’illusione. Non c’è persona al mondo che non ambisca a parlare sempre e solo di sé, finché è possibile” sostiene il signor Benes  sottintendendo il dovere all’ascolto di un padre verso il proprio figlio (e viceversa). Padre e figlio pranzano e poi entrano in vari bar continuando a bere e a discorrere e presto anche noi siamo coinvolti nei loro ricordi, sembra quasi di smettere di leggere e di ascoltare solo i loro racconti ravvivati dalle birre praghesi e avvolti da altri liquori boemi. Alla fine ciò che rimane è la stessa pervasiva sensazione dei due personaggi: una voglia di vedersi e di passare del tempo che sia riposante e piacevole, proprio come leggere un libro o ascoltare una persona cara.




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