Il presidente della giunta militare che governa l'Egitto, il generale
Al-Sisi, è un dittatore dal pugno di ferro. Al Cairo sono considerati un
insopportabile lacciuolo al potere, e gli oppositori del regime vengono sistematicamente
oppressi, a volte torturati, spesso uccisi: di molti di loro non si sa più
nulla. Desaparecidos. Il caso del ricercatore Giulio Regeni rientra
probabilmente in questa tragica casistica: sono tanti gli indizi che portano a
considerare il suo barbaro omicidio come un'azione della polizia egiziana, o di
qualche squadrone della morte ad essa collegata.
Doveroso che l'Italia chieda la verità, doveroso che i partiti politici
facciano pressioni sul governo egiziano, manifestando indignazione per le bugie
e per i depistaggi che le istituzioni stanno allestendo per bloccare
l'inchiesta. Ma, sfortunatamente, sul tema l'Italia non può dare lezioni a
nessuno. Nemmeno all'Egitto di Al-Sisi.
Di casi Regeni, di ragazzi morti ammazzati mentre erano sotto tutela dello
Stato, ne sono infatti piene le cronache degli ultimi anni. Si tende a
dimenticarlo, ma Federico Aldrovandi, ammazzato undici anni fa durante un
controllo di polizia, non ha ancora avuto giustizia: i quattro poliziotti
imputati sono stati condannati dai tre a sei mesi di carcere per "eccesso
colposo in nell'uso legittimo delle armi". Uno di loro è uscito dopo
appena un mese di galera, per via dello svuota carceri. Due di loro sono da
poco rientrati in servizio. La vicenda è stata definita da Amnesty
International «un lungo e tormentato percorso di ricerca della verità e della
giustizia. Solidarietà e vicinanza ai familiari di Federico Aldrovandi, che in
questi anni hanno dovuto fronteggiare assenza di collaborazione da parte delle
istituzioni italiane e depistaggi dell'inchiesta».
Se 11 anni di indagini su Aldrovandi hanno prodotto poco o nulla, anche la
morte di Stefano Cucchi resta ancora avvolta nel mistero. Dopo sette anni di
inchieste e depistaggi, omertà e menzogne delle forze dell'ordine e dello
Stato, dopo assoluzioni e pene lievi, nel 2015 la Cassazione ha ordinato una
nuova inchiesta su cinque medici rei di non aver dato maggior attenzione agli
stati patologici di Cucchi, «preesistenti e concomitanti con il politraumatismo
per il quale fu ricoverato». Solo grazie all'insistenza della sorella di
Cucchi, Ilaria, alla fine dell'anno passato la procura di Roma ha aperto un
nuovo fasciolo sul pestaggio, che punta dritto alle responsabilità eventuali
dei carabinieri che arrestarono Cucchi nel 2009.
Ad oggi, nulla si sa su eventuali nuovi sviluppi. Ma è un fatto che, a
sette anni dall'uccisione di Cucchi, molte istituzioni e importanti politici di
centro-destra affermano ancora che Stefano si è spento perché drogato, perché
malato, o «perché caduto dalle scale».
Se l'Italia chiede verità per Giulio Regeni, le nostre istituzioni hanno
chiuso per anni gli occhi davanti al decesso di Giuseppe Uva, operaio fermato
dai carabinieri nella notte tra il 13 e il 14 giugno del 2008 e morto dopo
poche ore all'ospedale di Varese. Il processo sui presunti responsabili è
ancora in corso, ma lo scorso gennaio il procuratore capo Daniela Borgonovo ha
chiesto l’assoluzione di tutti gli imputati, sei agenti e due militari
dell’Arma accusati di omicidio preterintenzionale e abuso di autorità contro
arrestati. «Non ci sono prove di comportamenti illegali», ha detto. «Era un
clochard sporco e puzzolente», ha commentato a marzo l'avvocato della difesa.
Anche Riccardo Magherini e Francesco Mastrogiovanni sono morti mentre erano
affidati allo Stato italiano. Per il primo sono indagati in nove, per omicidio
"colposo", il secondo è deceduto durante un ricovero in un reparto
psichiatrico: il processo è in corte d'appello. Regeni è stato ammazzato in
circostanze violente e misteriose, mentre al G8 di Genova poliziotti e
dirigenti hanno manganellato e torturato alla luce del sole, senza vergogna e
senza paura: i pochi agenti processati hanno avuto pene ridicole, altri
torturatori hanno fatto persino carriera. Il capo della polizia nel 2001 era
Giovanni De Gennaro: Renzi l'ha confermato presidente di Finmeccanica.
«Chi, trovandosi in questo momento in questo Paese, abbia commesso atti di
tortura può, nella grande maggioranza dei casi, dormire sonni tranquilli», ha
detto Antonio Marchesi di Amnesty International venti giorni dopo il
ritrovamento del corpo di Regeni. «Fino a che non ci sarà un reato di tortura,
punito severamente e con un termine di prescrizione lungo, le cose sono
destinate a rimanere così". Non parlava dell'Egitto, ma dell'Italia.
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