ho trovato in rete queste pagine molto interessanti, se vi interessano almeno la metà di quanto hanno interessato me le leggerete e le rileggerete, sono sicuro - buona lettura
(articoli trovati su: https://totinclos.noblogs.org - Traduttori: Christian e Franci)
Da decenni l’attività turistica
rappresenta la punta di diamante dell’economia baleare, riuscendo ad accrescere
la sua importanza negli anni a scapito di altre attività. Con il sopraggiungere
della crisi, poi, che ha colpito principalmente l’industria, il piccolo
commercio e i servizi pubblici, il turismo ha occupato quasi la totalità
dell’economia isolana. La maggior parte del prodotto interno lordo, e di
conseguenza la maggior parte della classe lavoratrice, dipende dal massiccio
arrivo di turisti (che stando alle statistiche quest’anno superano i 13
milioni).
A sei anni dall’esplosione della bolla
immobiliare che alle Baleari ha imposto il turismo come indiscusso pilastro
dell’economia, il bilancio non potrebbe essere più negativo. L’alto tasso di
disoccupazione è diventato normalità e i posti di lavoro creati per lo più in
questo settore, sono sempre più precari. In cambio i profitti dell’onnipotente
industria turistica hanno battuto ogni record. Per esempio il 20 aprile1 il Diario di Maiorca pubblicava la notizia
che negli anni 2011 e 2012 gli incassi registrati dagli hotel (benché una parte
non venga dichiarata, finendo direttamente nei paradisi fiscali) sarebbero
aumentati del 55% mentre nello stesso periodo di tempo sarebbe cresciuta solo
del 5,4% la spesa per i dipendenti (che devono accettare condizioni sempre più
precarie). Questo non ha fatto altro che allargare la disuguaglianza sociale e
la nostra dipendenza politica ed economica da coloro che manovrano e gestiscono
i flussi del turismo. In questo modo diventano molto più chiare le differenti
leggi in favore del turismo che tanto l’attuale governo come quello passato
hanno imposto.
In conclusione l’afflusso record di 13
milioni di turisti ci ha reso più poveri e più legati politicamente ai disegni
dell’oligarchia alberghiera. Inoltre, come sappiamo, il costo in termini
energetici e ambientali che paghiamo per poter accogliere una simile quantità
di calzini e sandali2 non accenna a diminuire. Ora, con la legge
Delgado la distruzione più aberrante sarà legalizzata. Le zone di Canyamel e
Fontanelles ne sono un ottimo esempio.
Dall’altro lato, non possiamo
dimenticare la banalizzazione di tutto ciò che il turismo calpesta né la sua
aggressività verso le culture locali.
Di fronte a questo panorama crediamo che
chi ha ancora un senso critico verso questo modello di società che c’impone la
monocultura turistica patrocinata dalle élites locali e internazionali,
dovrebbe metterla in discussione mettendo in discussione a sua volta il sistema
politico ed economico che lo rende possibile: il capitalismo.
1 [Ndt] 2014.
2 [Ndt] Espressione
ironica, riferita alle calzature dei turisti nordeuropei.
Uno stato sempre
“sottosviluppato”
Dagli
aiuti americani agli aiuti europei
Autore: Eliseu Casamajor
Traduttori: Christian e Franci
Traduttori: Christian e Franci
Gli accordi del secondo dopoguerra,
siglati tra Roosevelt, Churchill e Stalin (Jalta, 1945), disegnarono quello che
sarebbe stato l’ordine mondiale della Guerra Fredda. I nordamericani non
vollero ripetere gli errori degli accordi presi dopo la Prima Guerra Mondiale,
quando fecero pagare la ricostruzione agli sconfitti. In quel contesto, la Casa
Bianca lanciò dei programmi di salvataggio che nei primi anni, attraverso le
Nazioni Unite – recentemente create e controllate solidamente dagli Stati Uniti
– portarono a piani di aiuto per la ricostruzione europea che arrivarono a
20.000 milioni di dollari indirizzati tanto agli Stati capitalisti quanto a
quelli del blocco sovietico. Successivamente, i cambiamenti politici europei, i
movimenti di truppe sovietiche e l’escalation delle tensioni territoriali,
condussero ad una ridefinizione dei programmi di aiuto. Così in modo da
ottenere un maggior controllo e dominio sul processo di ricostruzione materiale
(ma anche istituzionale) europea, gli Stati uniti lanciarono nel 1947 il noto
piano Marshall (Piano per la Ricostruzione Europea), con ulteriori 15.000
milioni di dollari. Incaricata di gestire il piano Marshall, venne nello stesso
tempo creata l’OCSE (Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica).
Bisogna tenere presente che l’Europa
della metà degli anni ’40 era un continente devastato dai bombardamenti, ma
anche che le classi dominanti percepivano il serio rischio di non riuscire a
controllare il malcontento sociale. Ecco perché gli aiuti americani servivano
non soltanto per la ricostruzione fisica del continente, ma anche per
articolare alcune dinamiche politico-economiche che portassero da un lato
all’esplosione del consumo di massa e dall’altra al controllo finanziario del
blocco anglosassone. Il nuovo progetto per l’Europa era quello di diventare un
blocco di potere internazionale sotto il controllo degli Stati Uniti che agisse
soprattutto come contenimento di fronte alla minaccia sovietica.
Si sviluppò negli stessi anni in Europa
l’industria delle vacanze, sotto il controllo degli operatori turistici
britannici e tedeschi, strettamente connessi alle principali strutture del capitale
finanziario, dei gruppi commerciali e delle telecomunicazioni. Inoltre nel caso
della Germania, alcuni gruppi turistici sorsero direttamente dalla spoliazione
nazista ai danni degli ebrei; mentre nel Regno Unito il capitale proveniente
dall’oro e dai diamanti del Sudafrica dell’apartheid venne reinvestito
nell’industria turistica.
Nel frattempo la Spagna franchista non
navigava in buone acque avendo dovuto far fronte ad un lungo dopoguerra e non
avendo ricevuto aiuti diretti per la ricostruzione, nonostante avesse mantenuto
buone relazioni con gli americani. Inoltre le potenze occidentali imposero un
timido embargo alla Stato spagnolo come simbolo democratico della condanna
della dittatura in modo da salvare le apparenze. Tuttavia, agli inizi degli anni
’50 la politica economica di Franco si adattò progressivamente alle direttive
del capitalismo internazionale e venne reintegrata nell’orbita dell’Europa
occidentale. Pur non godendo degli aiuti del signor Marshall, come ironizzava
il film di Garcìa Berlanga1, la Spagna riceveva altre forme di sostegno.
Nel 1953 furono siglati i Patti di Madrid per la cooperazione economica e la
difesa tra Stato spagnolo e Stati Uniti. Come risultato di quegli accordi
arrivarono negli anni ’50 1300 milioni di dollari di aiuti. Frutto delle
medesime politiche risultarono buona parte delle installazioni militari
costruite dall’esercito americano, per esempio la base del Puig Major2. Anche El Dic de l’Oest3 fu una piattaforma fondamentale della
flotta americana del Mediterraneo.
Inoltre gli aiuti americani avevano una
componente tecnica ed ideologica chiara, con la quale imporre le direttive del
capitalismo nordamericano di cui il Piano di Stabilizzazione del 1959 è un
chiaro riflesso. Un anno prima, la Spagna fascista aveva fatto il suo ingresso
nel Fondo Monetario Internazionale e nella Banca Mondiale. Durante gli anni ’60
arrivarono ulteriori 416 milioni di dollari di prestiti che furono destinati
per lo più alla costruzione di nuove infrastrutture.
Nel 1963, due anni dopo la sua visita a
Maiorca, Paul Craig, tecnico della Banca mondiale, concesse un prestito di 238
milioni di pesetas per la costruzione della super-strada di collegamento
all’aeroporto Son Sant Joan e Palma di Maiorca.
Gli
aiuti americani avevano una componente tecnica ed ideologica chiara, con la
quale imporre le direttive del capitalismo nordamericano di cui il Piano di
Stabilizzazione del 1959 è un chiaro riflesso
Mentre il capitalismo europeo spingeva,
allargava anche i suoi confini. Così, Franz Joseph Strauss, filonazista e
Ministro delle Finanze tedesco, per permettere ai capitali accumulati nella
Germania occidentale di ricercare nuovi investimenti approvò la legge di sostegno
allo sviluppo che prevedeva sgravi fiscali per gli investimenti immobiliari nei
“paesi sottosviluppati”, e la Spagna era considerata tra questi. L’approvazione
di questa legge, denominata legge Strauss, coincise con il boom dell’edilizia
della fine degli anni ’60.
Contemporaneamente, le élite fasciste
preparavano il terreno per incorporare la Spagna nel progetto comunitario
europeo. Nel 1970 viene siglato l’Accordo Economico Preferenziale tra la CEE e
lo Stato spagnolo e una volta sepolto il dittatore Franco, lo spirito della
Transizione4 assume come obiettivo prioritario la
completa integrazione dello Stato spagnolo all’interno dell’“Europa del
capitale”. L’autentico consenso era in realtà il desiderio “comune” delle
classi politico-economiche dominanti. Per dissipare ogni dubbio sul vincolo
concreto con gli Stati Uniti, l’integrazione alla CEE andava legata
all’ingresso nella NATO.
Lo Stato spagnolo entra a far parte della
Comunità Economica Europea (1985) nel pieno della ristrutturazione capitalista
degli anni ’80 provocando così un ulteriore modellamento dell’economia
spagnola. Da allora inizia un lungo processo di “distruzione creativa” finanziato
con denaro europeo con aiuti che in totale arrivano a circa 90 mila milioni di
euro. Sotto il parametro della modernizzazione di un paese considerato
arretrato, si comincia un duplice processo distruttivo di molteplici attività
(per esempio l’agricoltura, i cantieri navali, etc.), dando spazio allo stesso
tempo ad un “piano di sviluppo” che neppure Franco avrebbe sognato.
La costruzione massiccia di
infrastrutture (sovvenzionate) ha portato la Spagna in cima all’Unione Europea
in quanto ad superstrade, aeroporti, treni ad alta velocità, ecc. Al termine
del XX secolo, l’economia spagnola avrebbe dovuto avere un ruolo di rilievo nei
piani finanziari immobiliari mondiali e per questo si rendeva necessario
l’adattamento del territorio attraverso un dispiegamento incredibile di
infrastrutture. Lo stretto vincolo che intercorre poi tra la speculazione
finanziaria ed immobiliare e quella del settore turistico hanno indotto nuovi
interventi in quelli che erano considerati i principali “punti di sottosviluppo”,
ovvero le zone litorali e insulari, che poi è dove la bolla immobiliare si è
sviluppata maggiormente.
Gli
aeroporti sono stati i principali progetti finanziati dall’Unione Europea, come
quello di Palma di Maiorca: 70 milioni di euro per portare a termine il suo
ampliamento; terminato nel 1997, precisamente quando veniva liberalizzato lo
spazio aereo europeo ed iniziavano ad operare le compagnie low cost
Gli aiuti provenienti dall’Unione Europea
si sono concentrati in alcuni ambiti e delineano degli intrecci difficili da
sbrogliare (per esempio FEGOA nell’agricoltura, FEP nella pesca, FSE nel
lavoro, FEDER nello sviluppo regionale). Dal trattato di Maastricht (1992) le
isole Baleari hanno ricevuto 520 milioni di euro provenienti dai Fondi per la
Coesione. La maggior parte di questo denaro è stato fondamentale per adattare
il territorio Baleare alle nuove logiche economiche. Così, gli aeroporti sono
stati i principali progetti finanziati dall’Unione Europea, come quello di
Palma di Maiorca: 70 milioni di euro per portare a termine il suo ampliamento;
terminato nel 1997, precisamente quando veniva liberalizzato lo spazio aereo
europeo ed iniziavano ad operare le compagnie low cost. Senza questi
aggiustamenti territoriali e normativi il boom sarebbe stato impensabile
giacché l’aeroporto da solo ha triplicato la capacità ricettiva della isola.
Ancora, i desalinizzatori necessari a coprire le esigenze idriche
dell’industria turistica hanno assorbito finanziamenti per 71 milioni di euro.
Inoltre, gli aiuti all’economia delle
Baleari non sono stati solo quelli destinati al territorio spagnolo, ma sono
stati aumentati anche grazie all’internazionalizzazione dell’economia stessa.
Così, le “multinazionali Baleari” hanno ricevuto anche degli aiuti che lo Stato
concede attraverso dispositivi connessi con le intromissioni del capitale
spagnolo nel “Sud Globale” (come il Fondo d’Aiuto Ufficiale ai paesi
sottosviluppati). La scusa della crisi ha permesso di cambiare in modo
definitivo gli aiuti al Sud, adottando una politica orientata
all’internazionalizzazione del capitale spagnolo, come ben dimostra la
creazione del Fondo per l’Internazionalizzazione dell’impresa nel 2011.
Ecco quindi che la storia recente del capitalismo delle Baleari appare come un progetto reso possibile solo dal drenaggio costante di denaro pubblico verso i profitti del grande capitale. José manuel Naredo sostiene che qualificando queste dinamiche come neoliberali si occultano le significative porzioni di intervento statale e suggerisce di parlare di neocaciquismo5.
Ecco quindi che la storia recente del capitalismo delle Baleari appare come un progetto reso possibile solo dal drenaggio costante di denaro pubblico verso i profitti del grande capitale. José manuel Naredo sostiene che qualificando queste dinamiche come neoliberali si occultano le significative porzioni di intervento statale e suggerisce di parlare di neocaciquismo5.
1 [Ndt] Il
riferimento è a Bienvenido Mr. Marshall, pellicola cinematografica di successo
internazionale di Luis García Berlanga. Il film, d’ispirazione neorealista, è
del 1953.
2 [Ndt] Il
Puig Major è la montagna più alta di Mallorca, la cui vetta è stata tagliata
per installare un radar dell’esercito americano, ed è ora inaccessibile poiché
convertita in base militare americana.
3 [Ndt] El
Dic de L’Oest è un porto di Palma di Mallorca.
4 [Ndt] Si
definisce Transizione (o Transizione alla democrazia) il periodo storico, in
Spagna, di passaggio dal regime franchista al regime democratico su modello
occidentale. Genericamente collocabile dal 1975 al 1979, ha come riferimenti
storici e formali fondamentali: la morte di Francisco Franco il 20 novembre
1975, la proclamazione di Juan Carlos I di Borbone Re di Spagna il 22 novembre
1975, la formulazione della nuova Costituzione il 29 dicembre 1978, le prime
elezioni dopo il franchismo, 1 marzo 1979.
5 [Ndt] Caciquismo,
da cacique, termine indicante il capo di una comunità, ha assunto nel tempo il
significato di grande proprietario terriero in grado di dominare la vita
politica, economica e sociale di una comunità, con particolare riferimento alle
regioni contadine. Fenomeno particolarmente legato al sud dello Stato spagnolo
e laddove era più forte il latifondismo, ha avuto nuovo sviluppo nell’epoca franchista
mantenendo ancora oggi una sua dimensione, con caratteristiche tipicamente
clientelari.
L’ideologia del turismo
Lottare
contro il turismo significa anche combattere i valori della classe media, base
del capitalismo moderno.
I LOVE CAPITALISMO
(…)
perché tutti vogliamo essere pacifici borghesi,
schiavi del mutuo
fedeli alla religione dell’individualismo proprietario,
perché nessuno vuole essere altro,
nessuno vuole lottare contro sé stesso
perché
il giorno in cui vorremo lottare contro noi stessi,
quel giorno
la classe media
brucerà.
perché tutti vogliamo essere pacifici borghesi,
schiavi del mutuo
fedeli alla religione dell’individualismo proprietario,
perché nessuno vuole essere altro,
nessuno vuole lottare contro sé stesso
perché
il giorno in cui vorremo lottare contro noi stessi,
quel giorno
la classe media
brucerà.
Antonio Orihuela
Autore: Antoni Pallicer Mateu
Traduttori: Christian e Franci
Traduttori: Christian e Franci
L’emergere del turismo così come oggi lo
conosciamo è legato all’espansione e al consolidamento delle cosiddette classi
medie. Solo dopo il dopoguerra e l’introduzione del welfare l’industria del
turismo ha iniziato la sua rapida espansione. Perciò, è proprio in quei paesi
che per primi hanno introdotto questo nuovo ordine sociale ed economico
(Svezia, Regno Unito, la Repubblica federale di Germania ecc.) che si
inaugurano i primi grandi blocchi alberghieri.
Come hanno indicato gli studi di Ivan
Murray e Joan Buades, l’espansione del settore turistico ha un primo impulso a
causa della tutela economica e politica degli Stati Uniti sulla vecchia Europa.
Ad esempio, nello Stato spagnolo queste linee guida (Piano di Stabilizzazione
Economica) sono quelle che incoraggiano Franco a fare della Spagna uno dei
principali recettori di questa industria emergente. Così, già negli anni ’60 i
turisti che visitano le coste della Spagna fascista sono nell’ordine dei
milioni. Per contro, in quegli stessi anni, e il paradosso é brutale, ha inizio
la grande migrazione degli spagnoli verso i paesi europei da cui proviene la
maggior parte dei turisti (secondo i dati ufficiali dell’Istituto Spagnolo
dell’Emigrazione (EIE) tra il 1959 e il 1973 sono emigrate verso il continente
europeo 1.066.440 persone); Nello stesso decennio, si produce quell’immenso
esodo rurale verso le città e le nuove zone turistiche della costa mediterranea
(tra il 1961 e il 1965 quasi 2 milioni di persone abbandonano i loro villaggi1).
Non è un caso che l’espansione turistica
e il consolidamento della società dei consumi viaggino parallelamente
all’abbandono delle aree rurali e alla conversione di buona parte della classe
operaia in classe media. Oggi si fa un gran parlare del declino di questo
gruppo sociale a causa della crisi. Ciò di cui non si parla molto, tuttavia,
sono le idee e i valori adottati da questa classe, che costituiscono la base su
cui risiede la modernità capitalista e, per estensione, una delle sue prime
industrie di oggi, il turismo.
Non
è un caso che l’espansione turistica e il consolidamento della società dei
consumi viaggino parallelamente all’abbandono delle aree rurali e alla
conversione di buona parte della classe operaia in classe media
L’ideologia della classe media attuale è
grosso modo erede di quella della piccola borghesia degli inizi della
rivoluzione industriale (diritto di proprietà, sicurezza, devozione al
progresso, conservatorismo, rifiuto del collettivismo, etc.). Ma é solo dopo il
trauma della seconda guerra mondiale che svilupperà i suoi tratti più
rappresentativi, dato che da questa contesa apocalittica emerse un nuovo ordine
mondiale, dominato dagli Stati Uniti da una parte e dall’Unione Sovietica
dall’altra. Il blocco occidentale (da cui sorge il turismo di massa) adottò in
generale politiche di stampo keynesiano e facciata social-democratico,
considerate dalle élite locali come la miglior via per rilanciare l’economia e la
miglior formula per disinnescare la minaccia di una rivoluzione proletaria.
Sono gli anni del benessere della classe operaia e dei suoi miglioramenti
sociali tra cui le ferie pagate. Ma questa prosperità2 va di pari passo con un insieme di valori
e idee che rendono questi benefici utili nuovamente agli interessi di
espansione del capitalismo. Grazie all’industria mediatica, in epoca di grande
espansione soprattutto attraverso la televisione, la propaganda diffonderà
costantemente i supposti benefici legati alla società dei consumi e la relativa
ideologia da adottare. Così, con una classe operaia convertita in euforica
classe media e con con il nuovo ruolo sociale che avranno le vacanze, era tutto
pronto per offrire al capitalismo il succulento piatto del turismo.
È
chiaramente molto difficile lottare contro la necessità di fuga, di viaggio,
che ha costruito il sistema, perché ne siamo contagiati tutti quanti
Inoltre, altri meccanismi di carattere
sociale hanno influito per rendere l’esperienza turistica una necessità. In una
società prevalentemente urbana, con mentalità individualista, dove la vita gira
intorno ad un lavoro alienante (catena di montaggio, uffici, settore dei
servizi, ecc), dove la noia si associa al disorientamento sul senso delle
esistenze, stressate dal dover possedere e godere sempre di più, e in cui
subiamo costantemente il bombardamento dell’industria dei sogni futili, ossia
l’industria dell’ozio e del consumo, la ricerca di evasione e fuga dalla realtà
diventa una necessità. E quale miglior rifugio da questa realtà ostile che una
manciata di giorni di scappatoia scelti tra la moltitudine di offerte che il
settore del turismo crea? Così, oggigiorno, chi cerca una via di fuga dalla
società può scegliere tra un soggiorno in un albergo sulla spiaggia del
tradizionale Mediterraneo o di destinazioni più esotiche, come le sabbie del
mare dei Caraibi o del Mar Cinese. Dall’altro lato, il capitalismo ha anche
creato una vasta offerta per rispondere a qualsiasi gusto ed interesse
nell’ambito turistico: gastronomico, culturale, festaiolo, avventuroso,
antropologico, rilassante, rurale, naturale, residenziale, sportivo, sessuale,
eccetera.
Contro questa necessità vitale d’evasione
costruita dal sistema è evidentemente molto difficile lottare perché ne siamo
contagiati tutti quanti. Ciononostante, diventa sempre più urgente opporsi al
turismo. Ma, giacché non si può obbligare ad eludere la necessità d’evasione,
come fare per cominciare a insinuare il cuneo della critica?
Primariamente, diffondendo tra la gente
le conseguenze nefaste che il turismo ha sull’ambiente e sulle comunità che lo
ricevono. Questo giornale e il precedente hanno proprio l’obiettivo di
cominciare a riflettere seriamente su questa tematica. Cominciando ad
affrontare la questione vedremo che il cosiddetto “diritto al turismo” è un
lusso3, perché solo un quarto della popolazione
mondiale può godere di questo privilegio, e questo proprio quando i processi
migratori (molti conseguenti alle guerre, alla spoliazione, ai cambiamenti
climatici) stanno aumentando; allo stesso modo vedremo la sua assoluta
insostenibilità e impossibile generalizzazione al resto dell’umanità.
Che fare dunque per contrastare la
necessità di evasione, del consumo di sensazioni che
il turismo vende?
Per cominciare, combattere la mentalità
individualista e l’ideologia4che è stata inculcata alle cosiddette classi
medie. Contro l’individualismo proprietario1 riprendere l’alternativa della
comunità, della vita in comune (fratellanza, solidarietà, mutuo appoggio,
autonomia); la cooperazione in opposizione alla competitività; l’autogestione
contro il consumismo di ogni tipo; la cultura contro i paraocchi
dell’ignoranza; la persona in opposizione alla massa; la responsabilità contro
la mentalità ingenua; la vita rurale contro la vita metropolitana; la
solidarietà internazionale contro il provincialismo piccolo borghese; la
cultura propria contro la cultura di massa globalizzata; la lotta contro la
passività.
Infine come diceva il poeta:
il giorno che vorremo lottare
contro noi stessi,
quel giorno
la classe media
brucerà.
quel giorno
la classe media
brucerà.
1 Capel, H. (1967). Los estudios acerca de
las migraciones interiores en España. Revista de Geografía,
I, 1, pp. 79-101.
2 La quale, se accostata ad una mentalità
diversa, avrebbe potuto utilizzare i progressi sociali come una base per
rafforzare la lotta contro il capitalismo.
3 Non dimentichiamo che é grazie al petrolio
che la gente può andare e venire rapidamente da un luogo all’altro.
4 Biagini, C. (2012). La ideologia del adosado. Ekintza Zuzena, número 39.
L’industria mondiale del
turismo divora il pianeta
Espropriazione
e saccheggio da parte di una “signora” di buona reputazione.
Autore: Eliseu Casamajor
Traduttori: Christian e Franci
Traduttori: Christian e Franci
Quando si parla dell’industria del
turismo spesso si tende, da un lato, a ridurla ad una serie di attività con una
forte base territoriale, come ad esempio gli alloggi turistici, e dall’altro ad
identificarla, sociologicamente, con la presenza di guiris1. Lungi dall’essere riducibile a questa visione
parziale e costruita dalle diverse espressioni del potere – soprattutto mass
media e mondo accademico -, la questione del turismo è qualcosa di molto più
complesso, questo settore industriale infatti va dai grandi tour operators2 ai venditori ambulanti e altri lavori
informali che proliferano nelle zone turistiche.
Nei tempi del capitalismo neoliberista,
il turismo ha avuto un importante ruolo nelle logiche finanziarie del casinò
globale. Di fatto, molte istituzioni finanziarie e relativi prodotti sono nati
all’interno del business del turismo, come la famosa American Express e i
traveller’s check che offrivano meccanismi di pagamento “sicuri” per i turisti
in viaggio, mentre garantivano enormi poteri alle agenzie incaricate della loro
emissione. Così, una delle basi del turismo è quella di controllare il
movimento di capitali, al fine di impedirne la dispersione e garantirne il
trasferimento ai centri di comando del capitale turistico. In questo modo si è
consolidato uno degli elementi centrali del business turistico, ovvero che allo
spazio di produzione turistica, in altre parole alle destinazioni, rimanesse la
parte più piccola della torta della rendita generata, cosicché la maggior parte
dei flussi di capitale generati dal turismo ritornassero nuovamente ai poteri
centrali e alle loro piattaforme finanziarie, i paradisi fiscali. In molti
casi, solo il 15% o il 20% della spesa dei turisti rimane nelle località
turistiche.
In
molti casi, solo il 15% o il 20% della spesa dei turisti rimane nelle località
turistiche
Un altro aspetto essenziale del settore
turistico è il ruolo giocato nell’ampliamento degli spazi di profitto. La
colonizzazione di aree periferiche da parte di questa industria ha prodotto
l’ulteriore mercificazione di comunità, spazi e risorse che spesso non erano
ancora state totalmente assorbite dalle logiche del capitale. Il capitale
turistico si appropria di spazi, come è accaduto, ad esempio, con le spiagge
delle Baleari e dei Caraibi, o delle risorse naturali, come l’acqua, molte delle
quali erano considerate, fino ad allora, bene comune. Il processo di
appropriazione da parte del capitale turistico causa gravi fratture sociali e
conflitti con le comunità rurali, spossessate ed espulse. In risposta alle
mobilitazioni sociali, le élite delle periferie turistiche hanno rafforzato i
meccanismi repressivi, aiutate dall’apparato statale e da mercenari privati al
soldo degli imprenditori.
Il
processo di appropriazione da parte del capitale turistico causa gravi fratture
sociali e conflitti con le comunità rurali, spossessate ed espulse
Inoltre, l’investimento iniziale nel
settore turistico, se confrontato con altre attività industriali, come per
esempio la petrolchimica, è relativamente basso. Così, se l’investimento è
infruttuoso, il rischio non è comunque elevato; se invece gli affari procedono,
attraverso il turismo si possono aprire e ampliare le frontiere del processo di
colonizzazione e di mercificazione. Ed ecco che i vari elementi dell’industria
turistica, oltre alle catene alberghiere, penetrano in profondità nelle nuove
periferie del mondo. Un caso esemplare è rappresentato dalla penetrazione di
Sampol Ingeniería y Obras SA nella Repubblica Dominicana con l’incarico della
fornitura elettrica alla catena alberghiera Riu. Da questo Sampol ha ottenuto
l’incarico dell’elettrificazione del metro di Santo Domingo.
La penetrazione turistica svolge poi un
ruolo fondamentale come base politica, per stabilire contatti e “comprarsi” le
volontà delle élites locali. Un fatto rilevante è che le principali catene
alberghiere di Maiorca hanno incontrato nelle dittature del Nord Africa, dei
Caraibi e delle aree del sud-est asiatico, le zone predilette per installare le
loro “fabbriche turistiche”.
Un aspetto da considerare è che
l’affluire del capitale turistico è generalmente ben accolto poi non solo dalle
élites ma anche dalle classi popolari. Ecco perché si dice che l’industria del
turismo è una delle vie di accumulazione che gode di miglior reputazione. Una
reputazione che dev’essere smontata, specialmente nei movimenti antagonisti,
che spesso considerano ancora il turismo un male secondario.
Frattura metabolica3 e
colonizzazione dei territori
Nella misura in cui spazi e comunità si
strutturano intorno alla monocoltura turistica, si rompono le fondamenta
sociali che prima le sostenevano. Il progressivo ingresso di valuta posiziona
queste aree in una situazione differente rispetto ad altre zone che non sono
toccate dalla bacchetta magica del turismo. Così vengono abbandonati i lavori
agricoli e gradualmente cresce la dipendenza dall’esterno. Una dipendenza che è
duplice: in primo luogo rispetto ai turisti che portano i soldi e, dall’altro,
rispetto alle risorse che sostengono questo metabolismo sociale.
Uno
degli aspetti più estremi della produzione turistica è rappresentata dai
“ghetti turistici”: zone separate dalle aree abitate dalla popolazione locale e
divise da mura
Le trasformazioni più estreme provocate
dal turismo si sono date negli spazi insulari, dove, con il caso paradigmatico
delle Baleari, la maggior parte delle risorse proviene dall’esterno. Essendo
qui fondamentale il trasporto motorizzato, e quindi il petrolio, ecco che
l’industria del turismo diventa una delle più dipendenti dall’oro nero. Da qui
l’interesse della lobby del turismo nel bloccare qualsiasi accordo
internazionale che possa diminuire le emissioni di gas che provocano
l’effetto-serra, in particolare quelle che provengono dall’areonautica. Il
turismo globale richiede 326 milioni di TEP4, con l’emissione di 1399 milioni di tonnellate
di CO2, equivalente alle emissioni congiunte di Spagna e Germania.
Tuttavia, l’espressione territoriale del
business turistico è tra quelle che generano più problemi, richiedendo una
potente trasformazione territoriale.
In termini globali, l’industria del
turismo occupa circa 514 948 km2, vale a dire un’area superiore a quella della
Spagna. Pertanto, è necessaria una forte integrazione tra il capitale e lo
Stato per adeguare il quadro normativo e permettere investimenti in
infrastrutture funzionali ad essa. Ecco perché gli investimenti pubblici si
indirizzano verso aeroporti e superstrade, piuttosto che verso scuole e
ospedali.
Uno degli aspetti più estremi della
produzione turistica è rappresentata dai “ghetti turistici”: zone separate
dalle aree abitate dalla popolazione locale e divise da mura. Si disegna così
una città duale, dove i residenti delle zone periferiche esterne penetrano nelle
zone turistiche, controllate da ampi dispositivi polizieschi, solamente per
lavorare. Dall’altro lato del muro abitano gli stessi lavoratori che vengono
sfruttati negli hotel, repressi dalla polizia e abbandonati dallo Stato.
Eppure, la propaganda continua con il ritornello del “un turista è un amico”.
Ancora oggi, nel laboratorio delle
Baleari, avviato dalla dittatura fascista, Bauzà5 e i suoi “ragazzi”, con la scusa della
crisi, mettono in moto nuove forme di dominio turisitico-immobiliare. Una
versione castigliano-Baleare della dottrina dello shock di Pinochet.
1 [Ndt] Termine
dispregiativo usato nello Stato spagnolo per definire i turisti
2 [Ndt] Come
la nota TUI.
3 [Ndt] Riferimento
all’espressione di Marx, frattura metabolica, che rimanda alla scissione ed
alienazione dell’essere umano dal suo ambiente, alla rottura del suo rapporto
con la natura.
4 [Ndt] Tonnellate
equivalenti di petrolio; il Tep rappresenta la quantità di energia rilasciata
dalla combustione di una tonnellata di petrolio grezzo e vale circa 42 GJ
(gigajoule).
5 [Ndt] José
Ramón Bauzá Díaz, politico spagnolo e uomo di punta del Partido Popular delle
isole Baleari; presidente della regione Baleare dal 2011 al 2015.
Smontando Airbnb
Appunti
critici sul caso di Barcellona.
Autore: Albert Arias Sans
Traduttori: Christian e Franci
Traduttori: Christian e Franci
La cosiddetta economia collaborativa1, emersa bruscamente negli ultimi anni, si
presenta come un nuovo paradigma economico basato sulla rivalorizzazione di
beni in disuso e sul rendere più semplice la connessione tra i potenziali
utenti in giro per il mondo. Una proposta che, secondo i suoi sostenitori,
elimina gli intermediari, promuove il riciclo e l’ottimizzazione delle risorse
e crea comunità di consumo al margine dei modelli del mercato tradizionale. Il
settore degli alloggi turistici è uno degli ambiti di maggiore sviluppo di
questa nuovo trend che, tuttavia, prende forma in modi differenti: dall’offrire
gratuitamente un divano, allo scambio simultaneo di appartamenti per un dato
periodo, fino all’affitto temporaneo di un bene immobile.
Qui proviamo ad analizzare criticamente
l’affitto a breve termine di appartamenti e abitazioni sotto questo nuovo
“paradigma” attraverso il caso di Barcellona, avvertendo che dietro la retorica
dell’emancipazione, della redistribuzione e dell’autenticità2 si nascondono pratiche di rendita privata
che possono avere costi sociali molto elevati. Per farlo ci concentreremo su
uno dei modelli di impresa più in voga nell’economia collaborativa: Airbnb.
Creata nel 2008, questa piattaforma on line mette in contatto i proprietari dei
beni immobili – i cosiddetti host – con i clienti – i cosiddetti ospiti -,
trattenendo per sé una commissione che varia rispetto al valore della transazione,
la quale è mediata dall’impresa stessa. Un’azienda con sede europea a Dublino e
con poco più di cinquecento lavoratori, ma che, nonostante ciò, ha un valore di
mercato superiore alla maggior parte delle catene alberghiere mondiali.
Secondo Airbnb, Barcellona è la quarta
destinazione mondiale per numero di offerte nel suo portale. I dati confermano
la sua importanza3: 6800 offerte di appartamenti e 4800 offerte di
stanze in affitto al maggio del 2014. Circa 30.000 posti letto stimati, che
corrispondono approssimativamente alla metà dei posti totali tra hotel,
pensioni e alberghi (68.000, secondo dati ufficiali del Comune). Non stiamo
parlando dunque di un fenomeno marginale di quattro entusiasti che condividono
aneddoti da viaggiatori, ma di migliaia di alloggi disseminati in edifici
residenziali. Un’offerta abbastanza significativa in termini assoluti sulla
quale proponiamo un’analisi critica esaminando i tre argomenti che, secondo
l’impresa, costituirebbero la sua particolarità: la distribuzione spaziale,
l’eccezionalità e la capacità redistributiva.
La
ricerca dimostra che, al contrario del mantra dell’impresa, l’offerta non è
distribuita tra i quartieri della città ma è altamente concentrata nei
quartieri centrali e precisamente dove vi é la più alta presenza di hotel
Vediamo in primo luogo la distribuzione
spaziale dell’offerta. La ricerca dimostra che, al contrario del mantra
dell’impresa, l’offerta non è distribuita tra i quartieri della città ma è
altamente concentrata nei quartieri centrali e precisamente dove vi é la più
alta presenza di hotel. Alcuni dati lo dimostrano: il 96% dell’offerta è
circoscritto alla metà dei quartieri. Il 60% dell’offerta totale si colloca nei
distretti della Ciutat Viella e Eixample, i più turistici, mentre il resto lo
troviamo soprattutto in quartieri storici e di classe media – Gracìa, Sants,
Poble Sec, Pobleneu -, proprio laddove cresce la presenza di movimenti sociali
che denunciano l’incipiente impatto provocato dagli appartamenti turistici. Da
questo punto di vista, non si vede come l’offerta possa portare benefici alle
periferie.
In secondo luogo, per quel che riguarda
l’eccezionalità del tipo di alloggio, occorre distinguere nuovamente tra i casi
in cui un proprietario affitta stanze dell’appartamento in cui vive, e la
locazione di appartamenti interi. Sebbene la prima tipologia è senza dubbio la
più eccezionale, attualmente non possiede una regolamentazione e non può essere
valutata in termini legali. Tuttavia, l’affitto di appartamenti interi per un
periodo inferiore a un mese è regolato a Barcellona dalla formula
dell’abitazione a uso turistico (Habitatges d’Us Turistic, HUT) della
legislazione catalana. A Barcellona esistono un totale di 9606 HUT, sia in
edifici interamente destinati a quest’uso sia sparpagliati in edifici
residenziali. Il numero di HUT è cresciuto di quattro volte dal 2012 fino a che
la concessione di nuove licenze non è stata sospesa4, in attesa dei cambiamenti legislativi verso
l’adattamento alla Direttiva Europea per i Servizi e l’approvazione di un Piano
Urbanistico Regolatore. Sebbene non si conosca la cifra esatta, si stima che
approssimativamente il 60% degli annunci di appartamenti (4000 circa) non
abbiano licenza. Ma c’è di più. La metà degli annunci irregolari li troviamo a
Ciutat Vella, un distretto che nel 2010 ha esplicitamente proibito nuove
licenze di HUT a causa del loro elevato impatto. Così, scopriamo che, con la
scusa dell’eccezionalità, Airbnb è il cavallo di Troia della deregolamentazione
urbanistica e dell’ipersfruttamento turistico.
Cifre
a parte, dovremmo prima domandarci se l’abitare può entrare a far parte di
questa logica “collaborativa” che rimane potenzialmente speculativa e con un
costo sociale molto alto
L’ultima questione è in relazione ai
supposti benefici dati dalla redistribuzione dei profitti generati
dall’immissione nel mercato di immobili o parti di immobili vuoti o
sottoutilizzati per essere consumati per un breve periodo.
Se guardiamo alla concentrazione della proprietà dell’offerta, i risultati sono evidenti. Il 2,5% dei locatari (molte sono imprese camuffate in profili personali) controlla il 30% dell’offerta di appartamenti. Il 60% degli annunci provengono da proprietari con più di un appartamento inserito nella piattaforma. Inoltre l’elemento insistente che attraverso questo modello di consumo diretto i visitatori aiuterebbero a redistribuire ricchezza svanisce quando ci si rende conto che la presenza nei quartieri periferici è minima. Cifre a parte, dovremmo prima domandarci se l’abitare, a differenza della condivisione di un’automobile o di un parcheggio, può entrare a far parte di questa logica “collaborativa” che rimane potenzialmente speculativa e con un costo sociale molto alto se pensiamo che il costo di un affitto temporaneo può essere tre o quattro volte più elevato di un affitto convenzionale di lungo periodo.
Se guardiamo alla concentrazione della proprietà dell’offerta, i risultati sono evidenti. Il 2,5% dei locatari (molte sono imprese camuffate in profili personali) controlla il 30% dell’offerta di appartamenti. Il 60% degli annunci provengono da proprietari con più di un appartamento inserito nella piattaforma. Inoltre l’elemento insistente che attraverso questo modello di consumo diretto i visitatori aiuterebbero a redistribuire ricchezza svanisce quando ci si rende conto che la presenza nei quartieri periferici è minima. Cifre a parte, dovremmo prima domandarci se l’abitare, a differenza della condivisione di un’automobile o di un parcheggio, può entrare a far parte di questa logica “collaborativa” che rimane potenzialmente speculativa e con un costo sociale molto alto se pensiamo che il costo di un affitto temporaneo può essere tre o quattro volte più elevato di un affitto convenzionale di lungo periodo.
Airbnb
è il cavallo di Troia della deregolamentazione urbanistica e dell’ipersfruttamento
turistico
Infine, affrontando così anche la
questione delle stanze condivise, sarebbe necessario porre l’attenzione sul
fatto che la redistribuzione della ricchezza prodotta dal turismo passa per le
possibilità di estrazione di rendita (anche se si tratta dell’affitto di una
porzione di appartamento) e mai per la tassazione delle attività economiche e
del lavoro. Ogni volta che qualcuno parla dell’utilizzo degli immobili come
forma di produzione di ricchezza si eludono alcuni elementi: la condizione di
proprietari, la disponibilità ad affrontare le spese e i rischi di un
investimento immobiliare o la disponibilità di una casa abbastanza grande da
accogliere ospiti. Bisognerebbe anche analizzare da dove deriva il discorso
dell’economia collaborativa che, dietro le ambiguità del “nuovo paradigma”,
annulla ogni responsabilità fiscale e fa sfumare pericolosamente il valore del
lavoro in un mix di rendita, lavoro di cura e monetarizzazione degli affetti.
Se pretendiamo un miglioramento delle nostre condizioni lavorative e una
responsabilizzazione del settore turistico tradizionale nel pagare i
contributi, perché dimenticarcene in questi nuovi scenari?
1 [ndt] L’economia collaborativa, o sharing economy (in Italia anche consumo collaborativo), rappresenta un insieme di
modelli economici basati sulla condivisione di beni, servizi, conoscenze. Si
propone, tra gli altri, gli obiettivi di ridurre l’impatto sociale del
consumismo, sia con motivazioni ecologiche, sia esperienziali, sia di mero
risparmio economico. Può essere improntato alla gratuità, alla condivisione o
alla semplice copertura delle spese vive oppure a costi più bassi rispetto al
mercato “normale”. Trova le sue espressioni concrete in diversi campi, come il
trasporto (car sharing, bike sharing, Blablacar ma anche Uber), il viaggio, l’ospitalità e ciò che vi è
connesso (coachsurfing, Airbnb, Tripadvisor), le conoscenze (le banche del tempo), il lavoro (coworking), la ristorazione (social eating e home
restaurant: queste ultime, forse meno conosciute, non sono altro
che la cucina e il consumo di pasti a casa propria, a pagamento, con degli
sconosciuti che vengono incontrati tramite le solite piattaforme on line; la
differenza è solo nella saltuarietà del social eating, laddove l’home
restaurant è un vero proprio ristorante a casa propria). Nella sua
codificazione, di solito le varie tipologie di sharing
economy vengono suddivise in due categorie: business to consumer (b2c) e consumer to consumer (c2c), per distinguere
laddove vi è profitto e dove no.
2 [ndt] Soprattutto
rispetto al “viaggio” e al turismo, alle pretese caratteristiche di “altro
consumo” succitate si aggiunge l’argomento della maggiore autenticità contro
una progressiva artificializzazione del mondo: il bed and breakfast (anche nella versione air) contro l’hotel, lo slow food e il kilometro zero contro
il cibo spazzatura, un maggior rapporto con la natura o con l’ambiente
autoctono contro l’uniformazione e museificazione dei contesti urbani di tutto
il mondo. Va da sé che queste siano le basi anche del cosiddetto turismo esperienziale, basato appunto sul concetto di
“vivere un esperienza”.
3 I dati riportati in questo articolo sono
il risultato della ricerca svolta congiuntamente con Alan Quaglieri, che si
pubblicò nel 2015. Arias-Sans, A., Quaglieri, A. “Unravelling Airbnb. The case
of Barcelona” in Richards, G., Russo, AP. (eds.) Reinventing the local in tourism. Travel communities and
peer-produced place experiences. London: Channelview
4 L’articolo è dell’estate 2015.
Due secoli di turismo a
Maiorca
Dai
viaggiatori romantici alla disumanizzazione dei maiorchini.
Autore: Pere J. Garcia
Traduttori: Christian e Franci
Traduttori: Christian e Franci
La storia del turismo a Maiorca è storia
lunga e complessa che si è sviluppata lungo gli ultimi due secoli e che ha
trasformato radicalmente i costumi, le tradizioni e i modi di vivere e
relazionarsi dell’ambiente maiorchino. Sono enormi i cambiamenti che si sono
prodotti dall’arrivo dei primi viaggiatori all’inizio del XIX secolo fino ad arrivare
all’odierna situazione di massificazione e disposizione piena e assoluta di
tutta l’isola al fenomeno turistico.
Gli inizi del turismo nell’isola di
Maiorca, nel secolo XIX, sono strettamente legati alla costruzione e
all’operare del primo vascello a vapore costruito nel 1837 per favorire la
corrispondenza postale tra Palma e Barcellona. Questa prima forma di turismo
era ancora in un’ottica antropologica. I pochi visitatori non venivano
solamente per vedere l’isola, ma anche per visitare i maiorchini, per studiare
i loro costumi, i modi di vivere e di relazionarsi. Da queste esperienze
numerosi studiosi, antropologi, viaggiatori hanno raccolto le loro sensazioni e
vissuti realizzando diversi libri di viaggi. Si tratta dei cosiddetti
“viaggiatori romantici”, gente con una discreta disponibilità economica, che
poteva permettersi le considerevoli spese che quei viaggi rappresentavano a
quei tempi.
Da qui si sviluppa un seguito di
scienziati, letterati e artisti spinti a Maiorca da un turismo antropologico e
scientifico. Così a partire da questa data, troviamo personaggi come l’artista
Joan Bautista Laurens, di Montpellier, che nel 1839 ritrae l’isola in una serie
di litografie e compila il libro Souvenirs d’un voyage d’art a
l’ile de Majorque. Altri esempi di viaggiatori “romantici” possiamo
rintracciarli nel 1865 quando arrivano a Palma due importanti scienziati
tedeschi, il chimico Robert Wilhelm Bunsen e il medico naturalista e direttore
del Museo Zoologico e del Museo di Storia Naturale di Amburgo, Herman Alexander
Pagenstecher. Tra gli altri, possiamo ricordare anche l’illustratore e
letterato francese Gaston Vuillier, a Maiorca nel 1888, che pubblicò una serie
di incisioni sull’isola nella rivista Le Tour du Monde.
Ma viaggiatori di questo tipo non se ne vedono più fino all’inizio del secolo
XX. Nomi importanti come Ruben Dario, Santiago Rusiñol, J. Virenque e molti
altri lasceranno per iscritto o incideranno le loro esperienze turistiche nella
Maiorca di quei tempi sempre da un punto di vista antropologico, cercando di
mostrare al mondo com’era la vita, i costumi, i vestiti e le città di quella
piccola isola nel mezzo del Mediterraneo.
I
pochi visitatori non venivano solamente per vedere l’isola, ma anche per
visitare i maiorchini, per studiare i loro costumi, i modi di vivere e di
relazionarsi
Ma all’inizio del XX secolo il modello
turistico comincia a cambiare. Nascono i primi hotel, stabilimenti di lusso
dedicati a turisti ricchi che venivano a Maiorca in cerca di pace e
tranquillità, in un’isola ancora non massificata. Nei primi anni ’30 del XX
secolo si avvia la costruzione di doversi alberghi, di piccole dimensioni, non
solamente a Palma, ma in molte altre zone costiere. Nello stesso tempo le
primissime piccole linee aeree turistiche compaiono con la compagnia Aero-Taxi
Maiorca, creata nel 1934. Già nel 1935 viene inaugurata la prima linea regolare
tra Maiorca e Madrid. Nel 1939 Iberia e Lufthansa svilupperanno nuove linee
regolari. Questa crescita e creazione di nuovi voli si spiega con l’arrivo sempre
più grande di turisti.
Un incremento che prosegue negli anni ad
alti e bassi e subìsce una forte crisi durante la guerra civile e nel
dopoguerra.
Il colpo di grazia a questo turismo che
possiamo definire più o meno d’élite e minoritario arriva con la costruzione
delle grandi infrastrutture come l’aeroporto di Son Sant Joan. Nasceva il
turismo di massa. L’aeroporto è inaugurato ufficialmente nel 1960 e da allora
il transito cresce esponenzialmente: ogni anno, a partire dal 1962, si celebra
l’arrivo del milionesimo turista, accolto dall’autorità e festeggiato. Ma già
nel 1965 si superano i 2 milioni di passeggeri in arrivo a Maiorca attraverso
l’aeroporto. Nel 1980 arrivavano Maiorca più di 7 milioni di turisti. Nel 1995
i passeggeri (turisti e locali) superavano i 15 milioni. Negli ultimi anni si è
superata la cifra di 22 milioni di passeggeri.
Il
colpo di grazia a questo turismo che possiamo definire più o meno d’élite e
minoritario arriva con la costruzione delle grandi infrastrutture come
l’aeroporto di Son Sant Joan
L’incremento senza freni di visitatori ha
reso necessarie tutta una serie di infrastrutture d’accoglienza per fargli
posto, soprattutto tenendo in considerazione la concentrazione nei mesi estivi.
Ecco perché a partire dagli anni ’60 Maiorca subisce un processo di
urbanizzazione e creazione di servizi senza precedenti: nuovi villaggi
fioriscono in ogni dove, ma soprattutto nelle zone costiere; nuovi depuratori
si mettono in moto per sopperire al problema del consumo smisurato d’acqua;
grandi discariche per difendersi degli enormi quantitativi di spazzatura; nuove
cave nelle montagne per garantire la costruzione di sempre più strade, sempre
più chalet e sempre più servizi di ogni tipo, tutti destinati a quei milioni di
turisti che invadevano Maiorca ogni anno. Addirittura negli anni ’60, per
riferirsi a questa cementificazione senza misura e senza alcuna pianificazione
(con relativa distruzione totale delle coste e del territorio) si diffonde in Francia
il termine dispregiativo di balearizzazione.
Ma non sono solo il territorio e
l’ambiente a subire le conseguenze del turismo di massa. A partire dagli anni
’60 l’economia subisce un processo di terziarizzazione, con il passaggio da
un’economia agricola e industriale ad un’economia di servizi ed edile (nel 1969
l’edilizia e il settore servizi rappresentavano il 55% del totale, ma già nel
1981 questi due settori erano arrivati al 77%). Ne è conseguita la
precarizzazione delle attività lavorative. Soprattutto da quando, durante la
cosiddetta transizione democratica, si diffonde il contratto fisso discontinuo,
con il quale i padroni potevano assumere e licenziare i lavoratori a piacere quando
ne avevano bisogno: nei mesi estivi. La strada verso la concentrazione della
stagione turistica era aperta. Ogni anno che passava si riducevano ancora di
più i tempi di apertura degli hotel, con l’immediata conseguenza di centinaia
di persone che perdevano lavoro per entrare a far parte delle liste di
disoccupazione. Come si può supporre, gli affari e la ricchezza non erano mai
suddivisi, ma la grande maggioranza è rimasta concentrata nelle mani delle
grandi catene alberghiere, che a poco a poco (e molte volte con la scusa della
crisi economica) sono riusciti a divorare i piccoli stabilimenti monofamiliari,
e degli operatori turistici stranieri, che hanno sempre avuto il potere
decisionale sul turismo che arrivava nell’isola. Così, per esempio, gli anni che
vanno dal 1974 al 1981, approfittando della crisi internazionale, a Maiorca
chiudono 257 piccoli hotel. Il settore si “rinnova” rimanendo nelle mani delle
grandi catene alberghiere e dei tour operators.
Tuttavia, negli ultimi trent’anni il
turismo non ha mai smesso di evolversi. Da anni la sua forma predominante è
quella del turismo di breve durata in località come Magaluf o s’Arenal, zone
create solo ed esclusivamente per soddisfare l’ozio economico e la necessità di
spiaggia di quei turisti con poco interesse per la cultura e l’etnografia
locali.
Maiorca
non è più l’isola che venivano a “conoscere” i viaggiatori romantici del secolo
XIX , né la località estiva tranquilla e familiare degli anni 60
E con il mutare del modello turistico
sono cambiate anche le relazioni sociali dei maiorchini, il loro sguardo sul
mondo e molti dei loro valori sono andati perduti. Concludendo, il modello
turistico che subiamo oggigiorno, forgiato lungo gli ultimi due secoli ma
soprattutto a partire dagli anni ’60 con il boom turistico, ha portato ad uno
scenario dove noi stessi maiorchini ci siamo sottomessi e siamo caduti in una
dipendenza totale dal turismo, ad una disumanizzazione che raggiunge i limiti
estremi quando si sentono alcuni rallegrarsi delle guerre del sud del Mediterraneo,
giacché quelle morti ci garantiscono un ulteriore incremento del turismo dalle
nostre parti, benché non vi sia alcun beneficio per la gran maggioranza della
popolazione.
Il turismo residenziale
Ovvero
quando l’alternativa turistica agli alberghi porta ancora più distruzione e
speculazione.
Autore: Antoni Pallicer Mateu
Traduttore: Christian
Traduttore: Christian
Il turismo residenziale in questi ultimi
anni ha portato quasi alla totale urbanizzazione delle nostre coste e
dell’entroterra marchiando il territorio di grigio, verde e blu col cemento, i
prati all’inglese e le piscine.
Un turismo discreto, che non si muove col
pullman, che non riempie le spiagge o le discoteche, ma gli appartamenti
residenziali1 o i molti chalet che sono stati costruiti
appositamente. Di fatto, questo settore si sta consolidando come alternativa
turistica all’albergo convenzionale, tanto che l’estate scorsa è entrato in
concorrenza diretta con i padroni alberghieri che hanno fatto pressione sul
governo delle Baleari per l’approvazione di una Legge sul Turismo Residenziale
che proteggesse i loro interessi. Per dimostrare la forza del settore e la sua
opposizione alla reazione della lobby alberghiera, il presidente
dell’Associazione per il Turismo Residenziale, Joan Estarrellas, il 10 agosto
2013 affermava a mallorcadiario.com che “ci sono circa un milione di
appartamenti a Maiorca che rappresentano una fonte di ingresso data da questa
attività. Calcoliamo circa € 1100 di guadagno al mese per ogni appartamento. Si
vuole davvero rinunciare a queste entrate?” Ecco un bell’esempio sul concetto
di economia e società che questa gente desidera.
Inoltre, in conseguenza alla crisi,
questa tipologia di turismo sta diventando attraente per molti. Così, famiglie
che, durante lo sfrenato boom economico precedente alla crisi, si erano
costruite un villino in campagna o nelle zone costiere con l’intenzione di
goderselo, ora non riescono più a mantenerlo o a terminare il mutuo, e hanno
iniziato ad affittarlo a turisti. Nei mesi estivi si arriva persino ad
affittare la prima, e unica, residenza alla ricerca di ingressi extra che per
arrivare alla fine del mese. La dinamica è ben comprensibile, sarebbe normale e
accettabile in una situazione di turismo a bassa intensità, ma nell’attuale condizione
di brutale massificazione turistica a cui siamo arrivati è un esempio evidente
della nostra dipendenza dal turismo (dei ricchi del Nord). Stando così le cose,
coloro che vogliono vivere o costruire una società giusta e in armonia con
l’ambiente naturale non possono tollerare questa “alternativa” economica di
svendita e affitto del proprio territorio: un’economia incentrata su un turismo
che ci condanna a lavori precari connessi solamente a questo settore, sulla
disuguaglianza economica, sul dominio politico dell’industria turistica, sulla
distruzione e banalizzazione del nostro territorio.
1 [Ndt] Ci
si riferisce agli appartamenti normalmente adibiti ad abitazione di residenza
durante tutto l’anno.
La marginalizzazione delle
campagne
Autore: Miquel Villalonga Maimó
Traduttori: Christian e Franci
Traduttori: Christian e Franci
Non si può negare che lo sviluppo
dell’economia turistica in società contadine provochi rapidamente la
marginalizzazione dell’attività agricola, Maiorca ne è un buon esempio. La
condanna al disuso che colpisce l’attività contadina influisce direttamente
sulla cultura, l’economia e il tessuto sociale della popolazione: si è passati
da una società rurale che, fuori da ogni mito, destinava molte energie
all’autosussistenza, ad un modello capitalista, urbano e consumista, con tutte
le disuguaglianze e lo spreco di risorse che comporta. All’inizio l’aumento dei
profitti per una parte della popolazione crea il miraggio di una falsa
abbondanza che nasconde il lato devastatore di questo processo.
Tuttavia, nonostante il ripetitivo
discorso istituzionale che propaganda l’ottimismo per il settore turistico, a
livello popolare (in alcuni contesti) si comincia a percepire la sensazione di
camminare verso un precipizio, e che la massimizzazione dei benefici e
l’occultamento dei costi derivanti dall’attività turistica non può durare. La
“monocultura” turistica porta a dei livelli di insostenibilità brutali ed è
sempre più evidente che la disuguaglianza sociale è uno dei pilastri
dell’attività del terziario. Per questo diventa imprescindibile affrontare il
problema del ruolo che può giocare l’agricoltura nella costruzione di una
società più giusta e sostenibile che non dipenda dall’approdo di milioni di
turisti.
Gli
effetti del turismo nelle campagne
Sebbene la complessità delle conseguenze
del turismo sull’agricoltura non sia affrontabile nell’ambito di un solo breve
articolo, possiamo comunque guardare a tre fattori, imprescindibili
dell’attività agraria, che hanno un ruolo chiave per comprendere le rapide e in
molti casi irreversibili conseguenze che il turismo sta causando all’agricoltura:
la popolazione, la terra e l’acqua.
La
speculazione urbanistica ha portato il prezzo della terra a dei livelli
completamente irraggiungibili per le attività agricole
In primo luogo, il passaggio della
popolazione attiva dall’agricoltura all’industria turistica fin dagli anni ‘60,
ha depotenziato il settore primario, quello agricolo, in modo preoccupante,
provocando anche una frattura generazionale difficile da superare se teniamo
conto che la trasmissione dei saperi popolari da una generazione all’altra è
fondamentale per lo sviluppo della piccola produzione contadina.
Parallelamente, l’ingresso nel mercato globale ha fatto sì che solo le grandi
colture intensive potessero affrontare la concorrenza, approfittando al massimo
di un nuovo fattore: la manodopera immigrata.
In secondo luogo la speculazione
urbanistica ha portato il prezzo della terra a dei livelli completamente
irraggiungibili per le attività agricole. La colonizzazione immobiliare del
territorio è stata totale, e possiamo distinguere tre fasi chiare in questa
ondata costruttrice: la prima, negli anni ‘60, produsse l’urbanizzazione
intensiva delle prime linee costiere. La seconda inizia negli anni ‘80 con una
timida protezione degli ambienti naturali che sono sopravvissuti alla prima. Infine
un terzo momento di questa colonizzazione si può individuare negli anni ‘90 e
colpisce direttamente le campagne e l’entroterra; quest’ultima tappa è quella
che più ha cambiato la fisionomia rurale, giacché ha comportato la costruzione
di un’infinità di villette, agriturismi e seconde case.
In terzo luogo, l’uso ludico dell’acqua
proprio dell’economia turistica, indirizzato soprattutto ai campi da golf, alle
piscine, alle irrigazioni dei giardini ornamentali e dei prati all’inglese,
porta i livelli di consumo molto al di sopra delle risorse naturali dell’isola.
Oltretutto, molti metodi tradizionali d’approvvigionamento dell’acqua che
provenivano dalla cultura agraria sono stati cancellati senza pensarci due volte:
pozzi d’assorbimento distrutti da superstrade, abbandono dell’orticultura a
secco, spreco dell’acqua piovana etc. Una netta contraddizione emerge tra il
proliferare delle piscine e il degrado del Pla de Sant Jordi, la zona a coltivo
umido probabilmente più importante dell’isola che ora si trova totalmente
limitata dalla crescita urbana periferica alla città: depositi d’idrocarburi,
l’aereoporto di Son Sant Joan, grandi magazzini.
La necessità di un nuovo paradigma rurale
La situazione in cui si trovano le
campagne dopo più di mezzo secolo di “monocoltura turistica” e agricoltura
industriale, relegate nel ruolo meramente paesaggistico e romantico o come
fonte di profitto di pochi padroni rende più che necessario un cambio di
paradigma, che già sta cominciando. Il conflitto esistente tra due forme
generali di intendere l’agricoltura si situa al centro della discussione. Da un
lato abbiamo il modello di agro-industria neoliberale, per cui ogni territorio
dovrebbe specializzarsi nelle attività che gli portano maggiori profitti ed
integrarsi nell’economia globale; dall’altro lato abbiamo il modello della
sovranità alimentare, di un’agricoltura pensata per il consumo locale con una
base cooperativa e articolata attraverso le piccole produzioni.
Il modello neoliberale, insinuatosi tra i
contadini attraverso i progressi tecnologici, nasconde un’ideologia molto
concreta che riempie le tasche dei soliti. La logica di questo modello è che la
priorità dell’agricoltura deve essere modellare la produzione in base alle esigenze
di mercato. Da qui l’utilizzo intensivo della terra, l’uso di prodotti chimici
e di semi transgenici, grandi macchinari, ecc. Indirizzare la produzione verso
ciò che può essere esportato porta alla vendita di prodotti al di sotto dei
costi di produzione, distruggendo le economie locali.
L’ingresso dell’agricoltura nel mercato
globale favorisce solamente gli impresari più grandi e influenti a livello
politico. A Mallorca, per esempio, abbiamo impresari di origine franchista come
Antoni Fontanet – specializzato nella speculazione dei cereali – o altri di
facciata più democratica, come i fratelli Company, che, avendo grande influenza
nelle istituzioni, sviluppano un’agricoltura completamente basata sulle
sovvenzioni statali. Infatti gli aiuti allo sviluppo rurale sono concessi da
tre imprese pubblico/private, FOGAIBA, IBABSA, I SEMILLA. Non a caso, molti
contadini identificano con l’entrata nell’Unione Europea del 1986 l’inizio della
fine delle piccole colture locali. In conclusione il modello agricolo
capitalista ci ha portati all’occupazione dei campi per parte di grandi
imprese, a un nuovo tipo di dispotismo nell’ambito agrario e all’abbandono
delle piccole produzioni.
Non
a caso, molti contadini identificano con l’entrata nell’Unione Europea del 1986
l’inizio della fine delle piccole colture locali.
Per fortuna ci arrivano alcune buone
notizie in direzione opposta. Il consolidamento del movimento agro-ecologico
prosegue. Cooperative come, “Això és vida”, “Ecoxarxa” “Coanegra”,
l’organizzazione APAEMA, e molte altre iniziative dimostrano che la spinta di
questi movimenti è forte. Le loro proposte sono chiare: produzione ecologica,
economia locale e relazioni orizzontali. Tuttavia, anche il prodotto ecologico,
paradossalmente, è ormai inglobato nel mercato capitalista, e per questo il suo
commercio è nelle mire di impresari opportunisti che lungi dal puntare a un
cambiamento sociale, cercano solamente il beneficio economico o passarsi le
giornate nelle loro moderne masserie. Un esempio significativo, a Mallorca, si
può trovare nella villa “es Fangar”, situata tra le città di Felanitx e di
Manacor: 500 metri quadrati di produzione ecologica di proprietà del grande
magnate tedesco Eisenmann, proprietario, allo stesso tempo, della sezione di
sviluppo robotico della Mercedes Benz.
È
fittizio parlare di sovranità alimentare se si ricevono 10 milioni di turisti
ogni anno
Evidentemente diventano necessarie alcune
considerazioni e lo sviluppo di un dibattito, iniziando col riconoscere che
l’ecologismo di per sé non è sufficiente a combattere le disuguaglianze del
capitalismo. Per formare un movimento agro-ecologico rivoluzionario, oltre alla
sostenibilità ecologica delle coltivazioni dobbiamo anche riflettere su come
costruire economie locali coerenti che vadano al di là dei piccoli gruppi di
consumo. Inoltre dovremmo cominciare a discutere di come affrontare la
“monocoltura turistica” partendo dal mondo rurale giacché nelle campagne non è
possibile né collaborarvi né girarsi dall’altra parte, ed è fittizio parlare di
sovranità alimentare se si ricevono 10 milioni di turisti ogni anno e infine
occorre pensare a come riuscire a rendere fattibili i nostri progetti di
trasformazione negli ambienti rurali.
La mercificazione e
banalizzazione delle campagne maiorchine tramite l’agro-turismo
Mercato
esclusivo, all’ombra di un carrubo e al lato di una piscina.
Autore: Antoni Pallicer Mateu
Traduttori: Christian e Franci
Traduttori: Christian e Franci
Chiunque abbia un minimo di senso può
rendersi conto della varietà di danni che produce il turismo sulle nostre
coste. Percorrendole si ha un quadro abbastanza completo: spiagge disseminate
di grandi blocchi alberghieri di fronte al mare, i quali sono spazi urbani che
d’estate celebrano la grande orgia del consumo e che d’inverno mostrano la loro
oscura realtà. In più, che milioni di turisti mangino e caghino ogni anno sulla
nostra isola comporta portare l’isola stessa ai limiti dell’insostenibilità,
come già annuncia la campagna del GOB “Maiorca verso il collasso”1.
Come
accade nelle zone costiere, anche le campagne si sono trasformate in uno spazio
riservato al consumo e alla speculazione
Però la cattiva fama che il turismo
balneare ha negli ambienti di sinistra contrasta con l’accettazione del turismo
rurale.
Tra l’uno e l’altro le differenze sono
ovvie, però il risultato, come cercheremo di spiegare, è lo stesso.
Primariamente bisogna riconoscere che lo
sviluppo di questo tipo di turismo fu frutto di un’ingenua speranza o del
tentativo di generare un’alternativa. L’idea di ristrutturare case fuori città
che la cui prospettiva era quella di cadere a pezzi, di rivitalizzare spazio
rurali minacciati dalla desolazione, di dare una spinta economica
all’agricoltura, di convertire il volgare ed incosciente turismo da “sole e
spiaggia” in piccoli gruppi di persone che presumibilmente sarebbero
interessate a conoscere la vera essenza dell’isola, era una buona scommessa per
chi ha a cuore Maiorca. Però la realtà nascosta tra i cespugli e gli olivi
selvatici dei boschi maiorchini è un’altra.
Intanto, le case dei contadini, o di
antichi padroni, oggi sono circondate da giardini dello stile delle riviste
patinate, con prati all’inglese come ornamento, con piscine2 da spot pubblicitari e con i servizi e le
comodità proprie degli alberghi convenzionali.
E, visto che Maiorca è in cima alla lista
delle mete turistiche di lusso – per coloro che possono permetterselo -, la
cosa prende velocità e si converte in un lucroso affare. Di fatto, se il
turismo balneare ha trasformato la costa in uno spazio riservato al consumo e
alla speculazione, controllati dalle grandi imprese, ora questa dinamica si
produce similmente anche nelle campagne.
D’altro canto, l’emergere di questo nuovo
business condanna ancora di più l’attività agricola dell’isola. Ed ecco che la
principale azione economica della vecchia fattoria che si è convertita in
agriturismo non è più la produzione strettamente agricola ma lo sfruttamento
degli spazi destinati ai clienti dato che i guadagni ricavabili sono superiori.
In questo modo il lavoro del contadino non è più coltivare la terra ma
gestirla: l’agricoltore diventa un giardiniere, un gestore del paesaggio, della
merce che deve essere commercializzata e consumata. Allo stesso tempo questo
tipo di business turistico è amministrato da poche compagnie (molte delle quali
straniere) che controllano tutti i flussi della clientela e che, in realtà,
sono coloro che governano e decidono le regole del gioco, imponendo al
contadino o al piccolo proprietario del terreno le loro condizioni e necessità.
Bisogna aggiungere che la trasformazione del mondo rurale in una reclame
turistica comporta anche la sua banalizzazione.Per esempio, i mandorli o le
pecore non sono più lì perché devono produrre frutti o agnelli, ma perché la
loro presenza costituisce un ornamento in più nella decorazione del paesaggio
in vendita. Ugualmente, masserie storiche che hanno dato il nome ad una determinata
zona si sono convertiti in autentici hotel con un’estetica che nulla a che
vedere con il luogo, con offerta di ristoranti di lusso che non hanno nemmeno i
prodotti ecologici del piccolo orto che coltivano.
l’agriturismo
non può rappresentare un’alternativa reale per il mondo rurale che ha bisogno
di produttori e non di gestori del paesaggio
Quindi, se intendiamo lo spazio agricolo
come un territorio che produce alimenti di cui ha bisogno la società, e
l’agricoltura come l’attività primaria e suprema dell’umanità, l’agriturismo
non può rappresentare un’alternativa reale per il mondo rurale e neanche
lontanamente una sua rivitalizzazione, perché la sua funzione è quella
descritta, funzione che provoca la morte dell’attività contadina così come si è
conosciuta storicamente. Conseguentemente, l’agro-turismo deve anch’esso
entrare nello sguardo critico di chi vuol combattere la conversione di Maiorca
in una colonia esclusiva delle classi medie e alte europee.
1 [Ndt] GOB
è un’organizzazione ecologista fondata a Maiorca negli anni ’70 che si dedica a
lotte territoriali sull’isola attraverso la produzione di materiale
informativo, l’organizzazione di campagne, azioni di riforestazione, ecc., nei
limiti imposti dalla legge. La campagna “Maiorca verso il collasso” era una
campagna di denuncia della condizione ambientale dell’isola .
2 Maiorca ha già 20.000 piscine (Ivan
Murray, 2010). Benché sia circondata dal mare!
Né mezzi termini né mezze
misure
Non
c’è alternativa riformista, perché tutto marcia insieme
Autore: Antoni Palicer Mateu
Traduttori: Christian e Franci
Traduttori: Christian e Franci
Da quando il turismo ha segnato la nostra
isola nella sua mappa affaristica non si è mai avuto un movimento o anche solo
una voce che si sia opposta. Le differenti mobilitazioni per fermare progetti
specifici, come superstrade, porti, campi da golf o nuove progetti edilizi,
hanno sempre cercato di offrire un’alternativa più o meno fattibile e
accettabile per il sistema. Non si sono mai sviluppate visioni complessive che
oltre a mettere in discussione il singolo progetto criticassero le sue
connessioni con l’industria turistica. Si tratterebbe in effetti di un
proposito audace e radicale che ben pochi approverebbero, perché molti
direbbero, senza pensarci due volte, “e quindi, di cosa mangeremmo?”, come ben
ripete Antoni Gomila in Acorar1, Altri, la minoranza critica che comunque
accetta buona parte di questo modello, deve pensare che sia impossibile
criticare l’industria turistica di per sé e che l’alternativa sia la ricerca di
un turismo “sostenibile”, che non è molto diverso da scommettere su un sistema
sostenibile.
La favola che ci è sempre stata raccontata
sul turismo come fonte di profitto e progresso per tutti quanti e biglietto
d’entrata nelle cosiddette società avanzate è la grande menzogna a cui tutti a
destra e sinistra abbiamo creduto. Se i maiorchini prima del turismo mangiavano
solamente le briciole, c’erano evidentemente delle ragioni. La gente non è
povera per qualche causa naturale, ma perché i grandi notabili, locali hanno
sempre salvaguardato il loro ordine, la loro Maiorca, anche a costo di spargere
sangue, come nel golpe del 1936 e nella successiva dittatura. C’è anche stata
una politica volta a disprezzare e respingere la società rurale condannando la
sua economia di sussistenza e la sua cultura e costumi arcaici, quando in
realtà molti saperi che ha generato, come l’utilizzo delle risorse disponibili
ed ogni conoscenza sulla gestione sostenibile agricola e forestale, rimangono
fondamentali tutt’oggi. Questa strategia2, unitamente alla straordinario sviluppo della
tecnologia, ha portato alla società del consumo e al turismo come principale
motore economico ha portato ai grandi dogmi dell’attuale società: il consumo e
il turismo come motore economico dell’isola, i quali ci hanno aiutato a
rinnegare il nostro passato più prossimo e a ricevere a braccia aperte tutto
ciò che odora di denaro.
Avendo questo in mente e riconoscendo la
realtà attuale maiorchina, infettata di corruzione, cacicchismo3, disuguaglianze sociali, con una classe
dirigente che da tempo ha messo in vendita il nostro territorio, prendere
posizione chiaramente contro questo modello è il miglior modo di lasciare
un’eredità dignitosa alle generazioni future.
A partire da questi dati , per lottare
contro l’industria turistica – considerando anche la sua estensione – bisogna
lottare contro le cause e le condizioni che l’hanno favorita e generata,
laddove a grandi linee possiamo indicare genericamente il sistema capitalista,
e più concretamente l’industria dell’ozio e del consumo, la terziarizzazione
dell’economia e lo sviluppo del trasporto aereo. Alla società che comincia ad
aprire gli occhi su questa spoliazione non possiamo indicare altra alternativa
che non sia una rivoluzione sociale integrale che sconvolga l’attuale
condizione e ci incammini verso una società giusta, in armonia con l’ambiente,
dove la sovranità sia veramente esercitata dal popolo in modo assembleare e
federale, dal basso verso l’alto e dai margini verso il centro; dove il senso
della vita possa andare oltre un lavoro con scopi tanto banali e infantili come
possedere molti oggetti, accumulare potere e ricchezze o per imprese disastrose
per l’umanità,; dove il viaggio possa essere motivato dall’impazienza di
conoscere altre culture e paesaggi, nella reciprocità, che si potrà raggiungere
solamente quando il mondo navigherà in un mare di uguaglianza e fratellanza tra
i differenti popoli che lo abitano.
Giunti
a questo livello di dipendenza dal turismo e di conseguenza dai tour operator,
dagli hotel, dai promotori immobiliari e dagli altri speculatori, l’opzione è
dir no al turismo e al capitalismo
Però, dato che la menzionata rivoluzione
sociale, in questa fase, rappresenta più una fantasia che una realtà, dobbiamo
cominciare a costruire un’alternativa a partir da adesso, passo a passo e
obiettivo dopo obiettivo. Quindi se vogliamo che nel futuro il turismo smetta
di essere una delle industrie più redditizie e con più possibilità nel mondo,
la prima cosa che dobbiamo fare come individui é non partecipare limitando i
nostri viaggi in aereo. Per come la vediamo noi, il turismo non è un diritto e
non è sostenibile una sua dimensione universale, per ragioni banali: 6 miliardi
di persone possono forse fare tutti il turista? Dunque, concentrandoci su
quello che succede a casa nostra, la lotta per uscire dal gioco turistico deve
diventare intollerabile per coloro che stanno costruendo e ristrutturando gli edifici
proprio con quelle finalità. Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica delle
Baleari attualmente ci sono 71.225 case vuote (giornale Ultima Hora 18/04/2013)
e nel 2011, apparivano registrate 85.717 seconde case, alle quali va aggiunto
l’immenso parco immobiliare destinato al turismo residenziale che conta circa
un milione di appartamenti, secondo il presidente dell’Associazione per il
Turismo Residenziale Joan Estarellas (10/08/2013 Mallorcadiario.com). La cosa è
semplice, se aumentano le offerte aumentano le domande, se diminuiscono le
offerte ci sono più possibilità di ridurre il numero di visite. Questa lotta
però dovrà contare sulla collaborazione dei politici che si considerano di
sinistra, ovvero coloro che possono imporre moratorie o ordini di demolizione.
Ciò nonostante questi per la prima volta in democrazia dovranno dimostrare il
coraggio di sfidare i poteri, cosa che potrà succedere solamente con un grande
movimento popolare, forte, organizzato su scadenze proprie, che eserciti la sua
forza e pressione nelle strade. Allo stesso tempo, se vogliamo che arrivino
meno turisti dovremo organizzare grandi campagne di propaganda per i potenziali
visitatori, tanto qui come nel loro paese.
D’altro canto, per uscire dalla
dipendenza economica dal turismo nella quale ci hanno incastrato, dobbiamo
necessariamente creare un’alternativa concorde con il nostro obbiettivo di
arrivare a una società sovrana, egualitaria e sostenibile. Perciò dovremo
costruire un’economia cooperativa e collettivista incentrata sull’autoconsumo e
che abbia come principali settori l’agricoltura ecologica e l’industria e
l’artigianato locali. Impresa difficile che si sta già cominciando a seminare
con differenti iniziative come le cooperative di produzione e consumo ecologico
o mediante progetti come Ecoxarxa4.
Iniziative lodevoli, di cui è però giusto
rilevare la debolezza e che sono perlo più interpretate dalla popolazione
(ovvero dalla minoranza che le conosce) come un’altra faccia della società
consumista sullo stile dell’ozio alternativo (musica, concerti, bar), una
percezione che potrà essere superata solo quando questi progetti
rappresenteranno veramente una controeconomia e si troveranno in sintonia con
una imprescindibile lotta politica basata sull’azione diretta contro le attuali
caste locali e globali, che in un mondo tanto interconnesso come l’attuale,
sono quelle che muovono il destino di tutti noi. A questo punto, la prima cosa
che manca è la gente: persone con la testa sulle spalle che si organizzino, che
abbiano costanza e riescano a creare un movimento forte e strutturato, di ampie
prospettive e di lunga durata, che possa anche convincere gran parte della
popolazione e della gente in visita del suicidio collettivo verso il quale ci
sta incamminando il capitalismo.
1 [Ndt] Nella
sua opera teatrale sull’identità collettiva dei maiorchini.
2 Nell’articolo Uno stato sempre
sottosviluppato, Eliseu Casamajor mostra come le differenti élites hanno
determinato le condizioni per trasformare Maiorca in una destinazione perfetta
per ogni tipo di turismo.
3 [Ndt] Caciquismo,
da cacique, termine indicante il capo di una comunità, ha assunto nel tempo il
significato di grande proprietario terriero in grado di dominare la vita
politica, economica e sociale di una comunità, con particolare riferimento alle
regioni contadine. Fenomeno particolarmente legato al sud dello Stato spagnolo
e laddove era più forte il latifondismo, ha avuto nuovo sviluppo nell’epoca
franchista mantenendo ancora oggi una sua dimensione, con caratteristiche
tipicamente clientelari.
4 [Ndt] L’Ecoxarxa
di Mallorca è una piattaforma nata dopo il 15M basata sull’esempio di altre
località catalane. Lo scopo era promuovere un’economia collaborativa attraverso
una moneta sociale e la creazione di reti d’appoggio per l’auto-impiego.
Cos’è la gentrificazione e
perché il turismo ne ha bisogno?
Quando
il neoliberismo si appropria dei quartieri e delle nuove aree esclusive.
Autore: Sònia Vives Miró
Traduttori: Christian e Franci
Traduttori: Christian e Franci
Il concetto di gentrificazione si
riferisce ad un processo di trasformazione urbana che si da, da un lato tramite
la rivalutazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare esistente,
dall’altro con la sostituzione della popolazione residente con una popolazione
più benestante.
Si tratta quindi di un processo in cui la
questione di classe è al centro della strategia urbana.
Il termine gentrificazione deriva dall’inglese gentry,
alta borghesia o nobiltà, ma quando si utilizza quest’espressione si vuole
intendere un processo in cui un segmento di popolazione è sostituita non
dall’alta borghesia, ma da uno strato sociale semplicemente superiore, di
solito professionisti bianchi della classe media. Malgrado ciò, il termine
gentrificazione rimane quello più comunemente utilizzato per riferirsi a questi
processi, anche se sono usati, più di rado, i termini “imborghesimento” ed
“elitizzazione” come suoi.
Il termine venne usato per la prima volta
da Ruth Glass nel 1964, nei suoi studi sul ritorno della gentry nel centro
storico di Islington (Londra), fenomeno che ha rappresentato la trasformazione
delle dinamiche residenziali tradizionali del quartiere (Glass, 1964). A partire
dagli anni ’70, geografi marxisti hanno ripreso il concetto per descrivere il
processo di sostituzione delle classi operaie in alcune aree degradate e
abbandonate della città, con settori sociali medio alti: un processo che è
stato legato alle politiche pubbliche di riqualificazione urbana (Smith, 1979;
Harvey, 1977).
Il
termine gentrificazione rimane quello più comunemente utilizzato per riferirsi
a questi processi, anche se sono usati, più di rado, i termini
“imborghesimento” ed “elitizzazione” come suoi sinonimi
Dalla fine degli anni ’60 in poi, nella
letteratura specifica si fa riferimento a tre ondate di sviluppo della
gentrificazione. La prima colpisce, nel dopoguerra, le città dei paesi a
capitalismo avanzato, tra il 1968 e il 1973, prima della crisi fordista. Si è
trattato di casi specifici e sporadici di gentrificazione, incoraggiati dalle
autorità locali attraverso investimenti nei centri urbani per contrastare il
declino economico del mercato privato e rinvigorire quello immobiliare (Lees,
Slater e Wyly, 2008). Questo processo ha avuto luogo nei quartieri delle grandi
città del nord-est degli Stati Uniti, dell’Europa occidentale e dell’Australia,
come il Greenwich Village a New York; Glebe a Sydney; Islingston a Londra;
Society Hill a Philadelphia.
La seconda ondata di questo processo
prende forma tra il 1978 e il 1988. Qui non si tratta più di casi isolati ma
risulta evidente un processo di ristrutturazione urbana sempre più grande e più
integrato. Non si tratta di investimenti della borghesia in un quartiere
degradato, ma questa strategia diventa l’opzione residenziale delle classi
medie (Smith, 1996). La gentrificazione si consolida come un processo di
cambiamento urbano e si espande geograficamente. Nello stesso periodo prendono
piede le politiche neoliberali e queste rappresentano un cambiamento del ruolo
delle città nelle logiche di accumulazione. Alcuni dei casi più significativi
in quest’epoca sono i quartieri di Soho, Tompkins Square Park e Lower East Side
a New York.
Dall’inizio
degli anni 1990 la gentrificazione è diventata una strategia urbana praticata a
livello globale
Dall’inizio degli anni 1990, con la sua
terza ondata, la gentrificazione è diventata una strategia urbana praticata a
livello globale. Anche se in quest’epoca continuano processi con le
medesime condizioni delle ondate precedenti – come il caso Gerreria a Ciutat1, per esempio – l’elemento innovativo è una
ristrutturazione del processo in sé stesso attraverso nuove forme spaziali
(costruzione di nuovi quartieri residenziali o aree commerciali, nuove alleanze
tra imprenditori privati e le amministrazioni locali, ecc). Pertanto, il
termine non è più utilizzato solo per processi che si verificano nelle zone
centrali delle città, ma anche nelle zone di recente costruzione e
precedentemente disabitate come le aree risultanti dalla riconversione
industriale o dalla conversione di ex uffici in case. A questo proposito, si
avvia uno dei dibattiti più contemporanei, ovvero se sia corretto utilizzare il
termine gentrificazione quando il processo a cui ci si riferisce non comporta
l’espulsione del corpo sociale. Così quest’ultima dinamica ha iniziato a essere
definita coll’espressione “new build gentrification”, concetto che viene esteso
alle aree in disuso delle metropoli (zone industriali o portuali abbandonate)
come il London Riverside (Davison, 2005). Nei primi anni novanta si è anche
parlato di “supergentrification”, un’evoluzione del fenomeno tesa ad indicare
gli spazi urbani già oggetto di gentrification nei decenni precedenti, che
tornano a ricevere investimenti ad alta intensità per essere impiegati da
dirigenti finanziari che hanno fatto fortuna: i “super-ricchi”.Un esempio è
Brooklyn Heights (Lees, 2003).
Ma qual è il rapporto tra turismo e
gentrificazione? Perché il turismo ha bisogno della gentrificazione, ed essa
del turismo? Perché la gentrificazione è una delle strategie di marketing
dell’urbanismo neoliberale per attrarre investimenti stranieri e turistici.
Senza gentrificazione non c’è mercato urbano, senza mercato urbano non vi è
ascesa della città nelle gerarchie urbane globali, senza una buona posizione in
questa gerarchia, non c’è attrazione di flussi di capitale e turistici.
Per capire questo fenomeno occorre vedere
il senso della gentrificazione nell’urbanistica neoliberista. Nello scenario
globale post-fordista, le città sono diventate spazi centrali nella
progettazione di strategie politico/ideologiche, hanno acquisito un nuovo ruolo
economico e raggiunto una nuova forma di governo. Le metropoli, quindi,
cercano di assurgere a questo nuovo ruolo attraverso la cosiddetta urbanistica
neoliberista, una riformulazione dell’urbanismo che, con una produzione di
spazio urbano coerente ai processi di ristrutturazione economica globale, si
propone di raggiungere il successo nel contesto di una rete urbana globale
gerarchizzata e marcata dalla competitività (Smith, 2002).
Questo nuovo ruolo economico è legato
alla necessità di un nuovo tipo di governance urbana, propria del urbanismo
neoliberale, che si è sviluppata mediante l’applicazione di criteri politici di
efficacia ed efficienza che classificano le città attraverso criteri di
competitività economica (Ceballos Gonzalez, 2007). Le città vengono
gestite sempre più come aziende e manager ed operatori privati sono incorporati
nei processi decisionali. Ovvero, “i governi locali si comportano sempre di più
come promotori urbani” (González Ceballos, 2007:10).
Con il consolidamento di questi ruoli
abbiamo ormai delle città “imprenditrici” (Harvey, 1989). In questo senso, “le
nuove funzioni di queste città diventano la promozione e il marketing, attirare
investimenti, il miglioramento della competitività e l’impulso alla creazione
di nuove imprese all’interno della stessa località” (González Ceballos,
2000:4). Davanti a questo scenario urbano impostosi a livello globale, i
governi locali hanno dovuto trovare i modi per inserirsi nelle logiche di
sistema e far si che la città seguisse la corsia vincente. L’adozione di simili
politiche urbane risponde al movimento di capitale descritto, ovvero,
all’adeguamento delle pratiche di amministrazione dei governi locali che
facilitino l’estrazione di plusvalore. E’ quanto accaduto a Palma di
Maiorca a partire dagli anni ’90, con il progetto Urban come punta di partenza
del processo di gentrificazione della Gerreria2.
Pertanto,
nel caso delle città turistiche, ad esempio Palma le strategie di
gentrificazione consentono la riconversione dello spazio urbano in zone di
consumo e d’ozio attraenti per il turismo
Infine, nell’analizzare processi urbani
di trasformazione politico-spaziale risulta essenziale capire che, nonostante i
processi generali, ogni città trova e sviluppa la sua via d’integrazione nelle
trasformazioni sociali e le forme della competitività si costruiscono intorno
ad elementi particolari e differenti in ogni situazione e luogo. Pertanto, nel
caso delle città turistiche, ad esempio Palma le strategie di gentrificazione
consentono la riconversione dello spazio urbano in zone di consumo e d’ozio
attraenti per il turismo, senza le quali non sarebbe possibile alcuna ascesa
nella gerarchia globale, e quindi, lo stesso turismo non sarebbe in sé
trainante di alcun processo.
1 [Ndt] Con
Ciutat si intende la città di Palma di Maiorca, la cui storia è piuttosto
articolata: fondata dai Romani col nome di Palma, subì il passaggio di Vandali
e Bizantini fino al dominio arabo nel 902. Gli Arabi la ribattezzarono Medina
Mayurqa, nome che in seguito passò ad indicare l’intera isola. Nel 1229 venne
invasa dagli Aragonesi – prendendo nel XIII secolo il nome di Ciutat de
Mallorca – e, nel tempo, rimase sotto il dominio spagnolo dopo l’unificazione
delle corone di Castiglia e d’Aragona. Nel XVIII secolo la città divenne la
capitale della provincia delle Baleari, recuperando il toponimo romano Palma.
Cambiando nome ulteriori volte, dal 2008 la città è ufficialmente denominata
Palma. Molti abitanti locali però insistono a chiamarla Ciutat.
2 [Ndt] Gerreria
è un quartiere del centro di Palma ed uno dei primi ad aver subito un violento
processo di gentrificazione.
Riferimenti bibliografici:
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Tra il falso e il
possibile
A
proposito dell’uccisione di Venezia e di chi non vi si rassegna.
Bronse Coverte
Ultimamente, su non pochi media nazionali
ed esteri, si è tornati a parlare della «morte di Venezia», causata dal turismo
di massa. La questione è, in realtà, tutt’altro che nuova anche se, a parere di
chi scrive, negli ultimi quindici anni ha effettivamente assunto dei connotati
di irreversibilità su cui vale la pena interrogarsi. Per fare ciò è però
necessario sgomberare il campo da alcune falsità prodotte dalla narrazione
dominante che, volta a eliminare il possibile sviluppo di una critica radicale
al fenomeno, presenta in sostanza il turismo come una calamità naturale subita
da una popolazione autoctona compattamente refrattaria.
La macchina turistica di Venezia è un
modello economico integrato, all’interno del quale chiunque contribuisce alla
sua riproduzione. L’indotto creato da questo tipo di economia è, negli ultimi
anni, diventato da maggioritario a totalizzante, avendo fagocitato ogni altro
tipo di attività lavorativa ed essendosi diffuso in maniera capillare nel corpo
sociale. Divenuta l’unica fonte di ricchezza possibile, i veneziani stessi (con
le dovute ma sempre minoritarie eccezioni) sono divenuti un ingranaggio
primario di questa macchina, mettendo a reddito le loro proprietà in funzione
esclusiva delle esigenze dei visitatori. Ne sono un esempio concreto il gran
numero di B&B, decuplicati in quindici anni dopo le liberalizzazioni, ma
anche i tanti negozi di quartiere trasformati in rivendite di souvenir, a
scapito di chi potrebbe ancora vivere la città come tale e non come un
gigantesco parco giochi.
L’indotto
turistico è passato negli ultimi anni ad essere da maggioritario a totalizzante
Le radici di questo processo vanno
ricercate nel secondo dopoguerra, con la terziarizzazione dell’economia dovuta
alla progressiva dismissione delle industrie in città, avviate nei primi anni
del secolo e sviluppate durante il fascismo. Questo ha portato ad una
ri-organizzazione metropolitana del territorio, con operai e classi meno
abbienti trasferite nell’entroterra e la città governata come un «centro
storico» da cui estrarre valore in ogni angolo. In questo senso risulta
fuorviante anche riferirsi alla categoria della gentrificazione, l’espulsione
dei poveri a vantaggio degli investimenti dei grossi capitali è qualcosa che,
nella maggior parte di Venezia, è già avvenuto. La fase attuale vede piuttosto
una guerra, silenziosa e strisciante, condotta verso ogni forma di vita non
conformata alla monocultura del turismo, combattuta ai ferri corti casa per
casa e strada per strada.
Gli aspetti sociali di questa situazione
hanno, nel quotidiano, molteplici conseguenze. Risulta sempre più arduo trovare
contratti di affitto che durino più di un anno e, ancora più difficile, trovare
un proprietario che permetta di stabilire la propria residenza ufficiale. Ne
consegue che una consistente fetta degli abitanti di Venezia non vi sia
formalmente residente, non potendo quindi contare sui diritti basilari come
l’accesso alla sanità e all’istruzione nel comune dove, di fatto, si vive. Alla
luce di ciò andrebbe letto anche il dato, spettacolare e per questo sempre
riportato, sullo spopolamento della città, scesa l’anno scorso sotto la soglia
dei 55000 residenti, appunto, «ufficiali». Un numero che non comprende quello
degli studenti fuori sede, della manodopera immigrata o di chi, per scelta o per
necessità, si è trasferito senza un contratto regolare. Categorie, queste,
tutt’altro che marginali o esigue, di cui va compresa la differenza di
posizionamento quando parliamo di resistenze al turismo.
Nel corso dell’ultimo anno, a nome di
associazioni di cittadini o di gruppi creati appositamente, sono state
organizzate alcune proteste volte a sensibilizzare sul problema dello
spopolamento e del turismo di massa1 2. Tralasciando la
natura di questi soggetti, per lo più politicanti o commercianti esasperati dal
«degrado» del visitatore mordi e fuggi, queste manifestazioni hanno avuto un
carattere reazionario nel momento in cui, fregiandosi di una «venezianità»
intesa come diritto di nascita, non hanno fatto altro che chiedere
all’amministrazione una migliore gestione dei flussi. Proposte che verranno
probabilmente accolte in un futuro prossimo: nella prospettiva di zonizzazione
e maggiore controllo dello spazio urbano non sorprenderebbe ritrovarsi con un
biglietto da pagare per visitare Piazza San Marco o con la chiusura cadenzata
degli accessi alla città, sbarrando le porte al visitatore giornaliero che non
consuma abbastanza. Un modo di esternare il malcontento facilmente recuperabile
proprio perchè, nuotando con la corrente, incontra le nuove esigenze di
gestione di chi governa, per cui un controllo più pervasivo dello spazio
pubblico è sempre funzionale a una sua più pervasiva monetizzazione.
In questo quadro profondamente
compromesso risulta difficile, all’oggi, immaginare una critica, e una lotta,
al turismo che non si fermi alla forma, ma ne riesca ad attaccare il contenuto.
Esattamente come ogni critica al capitalismo, senza una messa in discussione
radicale del proprio modo di vivere, è destinata a rimanere lettera morta.
Il
problema del turismo, come ogni critica al capitalismo, senza una messa in
discussione radicale del proprio modo di vivere, è destinata a rimanere lettera
morta
Frammenti di questa prospettiva possono
essere raccolti nelle lotte nate attorno a questioni specifiche, lì dove si è
dato come inevitabile anche un salto sul piano etico. E’ il caso delle
occupazioni di spazi universitari destinati a diventare alberghi, delle
occupazioni di case (politicamente organizzate come no) e delle opposizioni a
progetti di speculazione nocivi per il territorio. Queste lotte, nate negli
ultimi anni sotto il segno dell’esasperazione alla monocultura turistica,
contengono in potenza i germi della distruzione di quest’ultima più per le loro
potenzialità inespresse che per i risultati effettivamente conseguiti. Al di là
degli intenti di chi le ha promosse, le energie messe in circolo in questi
contesti sono riuscite a mettere sul piatto possibilità inedite, percorribili
anche al di fuori dei classici percorsi militanti. Occupare una casa per abitare
in una città dove ogni appartamento è un bed and breakfast. Combattere una
grande opera, o un piano urbanistico, organizzandosi per vivere al di là di
questa. Liberare uno stabile vuoto per non farlo diventare un albergo, ma anche
per far sì che diventi subito qualcosa di completamente altro. Incazzarsi per la nuova privatizzazione di un
giardino, per mettere in discussione ogni proprietà di ciò che si vorrebbe
comune. Non chiedere più nulla al potere di turno ma battersi per riconquistare
gli spazi dove non è più nemmeno possibile camminare.
Ricomporre questi frammenti, questi
possibili inespressi, è il da farsi di
chi vorrà vivere e lottare a Venezia nei prossimi tempi. Non sarà, per forza di
cose, un affare di tutti nè si potrà fare a meno di pestare i piedi a qualcuno.
Ma di sicuro ne vale la pena.
1 Redacción (2016, 13 de novembre) Venecia protesta contra la
invasión del turismo masivo. Diario Córdoba.
2 Euronews (2016, 13 de setembre) Los vecinos de venecia se rebelan
contra la invasión de turistas. Euronews.
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