Rappresenta
sicuramente una data nella storia delle lotte. La storia delle lotte
sui territori, delle lotte per delle terre. Il 17
gennaio peraltro ci ha messo del tempo per
iniziare. Prima delle 13 non c’era nulla o quasi. Un elicottero della
gendarmeria sorvolava il boschetto, come fosse un richiamo alla individuazione
di una zona percorsa da tensioni. Dei giornalisti si aggiravano come dei cani
in un prato. Le mucche, che ruminavano dietro la siepe, sono indifferenti al
tempo noioso dell’attesa. A quattro chilometri dal borgo di Notre-Dame des
Landes, nella zona chiamata La Rolandiére, nella sala al pianterreno della
biblioteca, una quarantina di zadisti, cioè degli attivisti della “Zona di
sfruttamento razionale differito”, (per loro Zona da Difendere) ascoltano la
radio, scalpitando nell’attesa del discorso del primo ministro. Una eccitazione
molto forte, dei sorrisi ininterrotti, e questi commenti sugli scenari
possibili che uomini e donne hanno tante volte messo a punto. Per alleviare l’attesa,
si realizza con mezzi di fortuna una specie di striscione, da srotolare sul
faro, alto come un posto di vedetta, collocato su un traliccio su un lato della
casa. Si discute su cosa scriverci e alla fine si decide: “E TOC! Appuntamento
il 10 febbraio”, la data della manifestazione che festeggia la fine della
dichiarazione di utilità pubblica. “Ma se il progetto non fosse abbandonato?”,
“Beh, non esponiamo lo striscione!” E invece alla fine lo hanno esposto.
Quando
finalmente il discorso di Edouard Philippe suggella la vittoria, esplodono
in urla di gioia, tutti si abbracciano, tutti sorridono fino
alle orecchie, alcuni piangono di gioia. Con
quattro fumogeni accessi in pugno tutto il gruppo si arrampica con lo
striscione sul traliccio trasformato in faro. Un posto di osservazione che
domina la costruzione trasformata in biblioteca e centro stampa. La banda
ritrova la capacità di inventare slogan: “A chi appartiene la ZAD? È nostra!” e
di produrre immagini come: “E uno, e due e tre a zero!” dei sostenitori delle
squadre di calcio che fa sorridere i vecchi militanti contadini: “Lo vedi che i
giovani fanno proprio come noi!”.
Un
gruppo di zadisti prepara un altro striscione,
con su scritto: “Merci”, per
ricordare i contadini storici che hanno iniziato e tenuto in piedi le lotte a
partire dagli anni Settanta. L’unità
tra le diverse componenti, i ringraziamenti e gli abbracci sottolineano il
rinnovato incontro tra i militanti accorsi per festeggiare l’evento.
Fotografi e operatori si muovono continuamente per cogliere questi momenti di
emozione, con una aggressività talvolta quasi da guardoni. Stessa confusione
all’inizio degli interventi delle diverse componenti del movimento, alla
Vacherit, a cinquecento metri di distanza. La massa compatta dei giornalisti
stringe contro un muro i portavoce del movimento contro l’aeroporto.
“Liberate
i nostri compagni!” gridano alcuni zadisti. “La ZAD, è una zona di rispetto
degli altri. E si può essere in favore e rispettosi”, sottolinea un fotografo
indipendente. Chi ha una macchina fotografica si fa strada a gomitate, si insultano
tra di loro, non si sente più nulla. Questa confusione patetica presentata dai
mezzi di comunicazione in un branco di individualisti e individualiste avrebbe
proprio bisogno di un corso di formazione in autogestione, almeno tanto quanto
di uno spazio per le inquadrature. Una volta che la bolgia si è più o meno
sistemata, e il brusio si è un po’ calmato, si riesce a sentire: “… La
necessità che gli agricoltori che sono nati nella zona e chi vi abita possano
veder rispettati i loro diritti il più presto possibile. Il rifiuto di
qualunque espulsione di coloro, donne e uomini, che sono venuti a viverci
questi ultimi anni nel boschetto per difenderlo e che desiderano continuare a
viverci e di prendersene cura. Una volontà di prendersi a carico a lungo termine
delle terre della ZAD da parte di un movimento in tutte le sue diverse
articolazioni – contadini, naturalisti, abitanti rivieraschi, associazioni,
antichi e nuovi abitanti”.
I militanti che non si
sono ancora incontrati si abbracciano o inviano dei messaggi, “Abbiamo vinto!” alternato
a “Quando ci beviamo sopra?”. E sempre ancora dei baci, delle braccia
avvolgenti, e degli abbracci tra persone che non si sono mai sentite così
vicine, così insieme, con le lacrime agli occhi. Un
autista di camion passa sulla strada, il finestrino aperto, le dita a V per
salutare la vittoria. Tipo di bardo con la chitarra di
ogni manifestazione, Dominique Loquais ha composto una nuova canzone: “Le mani
nelle mani, non abbiamo mai abbassato le braccia. Mani nelle mani, non
abbandoneremo mai”, ripresa dei canti, intonati dentro il capannone da persone
di ogni età e di qualunque prospettiva. “Erano
quarantadue anni che sentivo questa spada di Damocle sulla testa. E ora non c’è
più”, esulta Dominique Fresneau, presidente della Acipa.
Ma in realtà non è finita. Ora
dobbiamo scrivere la storia del futuro della ZAD”. La
proiezione nell’avvenire immediato è unanime. “Questa vittoria, è una nuova
tappa per rendere duraturo tutto ciò che è stato fatto qui, abitazioni,
progetti agricoli, organizzazione della vita sociale – sorride Geneviève
Coiffard, instancabile pilastro operaio del coordinamento degli oppositori”. “È
necessario che questo continui a essere un laboratorio di esperienze basate
sugli scambi tra persone”, dice una vicina arrivata nel 1983, quando il
progetto era stato un po’ dimenticato, un fantasma vagamente minaccioso.
Sulla
strada ingombra di auto, nel locale davanti al capannone agricolo dove si sono
tenute così tante assemblee, ci si scambia dei “Grazie, grazie… Grazie molte,
ma in realtà è un ringraziamento collettivo. È la diversità che ha vinto!”.
“Con
la commemorazione del Maggio 68, Macron ha una opportunità da cogliere, quella
di lasciare esistere la ZAD come una Zona di utopia in marcia”, si lascia
sfuggire Christophe Dougè, consigliere regionale EELV. Una idea che seduce
l’antico scaricatore del porto Gilles Denigot, e che la suggerirà al suo amico
Dany Cohn-Bendit, il quale viene ascoltato da Macron, in particolare in queste
ultime settimane sul tema di Notre-Dame des Landes. Gilles Denigot pensa
perfino che Macron abbia fatto una mossa di strategia locale e di calcolo
politico, giocando di anticipo rispetto alle prossime elezioni municipali del
2020, nella speranza di poter riconquistare due grandi città, Nantes e
Saint-Nazaire controllate da un Partito socialista che ha portato avanti il progetto
di aeroporto e che questa sconfessione ha destabilizzato ancora di più. Figure
del movimento, l’antica eletta Francoise Verchère, non aspetta che il momento
di poter esprimere davanti ai microfoni la sua “mescolanza di gioia, di
sollievo, di emozione e di sfinimento,
dopo una lotta irragionevolmente lunga. Spero che ciò permetterà una
riflessione critica sulle metodologie delle decisioni pubbliche. Io sono
arrivata a pensare che i sostenitori del progetto facessero parte di
quell’infima parte di francesi che credono che la terra sia piatta. Per
opporsi alle loro argomentazioni, siamo stati obbligati a fare qualunque cosa,
parlare della resistenza dei materiali, delle tecniche aeroportuali, di
geologia, architettura, diritto… Un lavoro che non è stato certo una passeggiata.
Siamo quasi arrivati a dover pilotare un aereo…. Spero che a partire da tutto
ciò non sarà più possibile ‘sistemar’ distruggendo. Il Primo ministro non ha
parlato né di espulsioni né di evacuazioni. Abbiamo un po’ di tempo per
discutere della fase di inizio del futuro”.
Le
regolamentazioni e i margini di tolleranza nei negoziati relative alle
esperienza agricole in corso hanno senza dubbio tutto l’inverno per precisare
le loro aree di accordo con le istanze amministrative ufficiali.
Ma
il futuro immediato ha un nome in codice: D281,
dal nome della strada dipartimentale che attraversa la ZAD, tre piccoli
chilometri e mezzo, chiusi dalle amministrazioni nel 2013. “Le baracche che
occupano parte della strada devono essere evacuate, gli ostacoli ritirati, la
circolazione ristabilita. Se ciò non avverrà, le forze dell’ordine procederanno
alla operazioni necessarie”, ha detto Edouard Philippe nel corso del consiglio
dei ministri.
Questo
‘percorso a ostacoli’ che i gendarmi avevano soprannominato ‘La strada Mad
Max’, costituisce una immagine ben definita delle volontà di un ritorno molto
visibile alla normalità. Ciò vuol dire una riapertura alla circolazione, senza
buche nell’asfalto ne restringimenti della carreggiata. I nuovi abitanti delle
baracche ai suoi lati sperano tuttavia di poter restare, di ottenere
dei dorsi d’asino e delle limitazioni di velocità e di conservare le tracce di
questa decorazione dei resti delle barricate, delle carcasse di auto riempite
di terra dove l’erba ha cominciato a crescere. Più in
generale, il movimento (contadini, Acipa, coordinamento, zadisti) non vuole
perdere tutto per questo solo simbolo. “Il movimento si impegna a rispondere
lui stesso a questa richiesta per evitare un intervento della polizia che non
farebbe che avvelenare la situazione”.
La
spinta urgente è quindi diretta a pervenire ad un
accordo pacifico tra gli occupanti del bordo della
strada e le diverse componenti del movimento. “Malgrado le nostre differenze di
organizzazione, che spesso non sono delle divergenze, siamo riusciti a non
frammentarci durante tutta questa lotta. Io sono veramente contenta di aver
vissuto questo momento di costruzione e di ricomposizione”, sottolinea una
zadista piena di fiducia.
“Questa
sera si farà festa, ma da domani abbiamo una Assemblea Generale dalle 10 della mattina,
per parlare delle utilizzazioni, degli impegni immediati, come pensiamo insieme
che dovrebbero diventare i terreni ceduti per il progetto”, confida un altro
zadista. Siamo pronti ad entrare in una fase di negoziazione, a discutere dei
progetti in un contesto ufficiale o fuori di contesto, dei luoghi occupati che
saranno in tal modo riconosciuti come legittimi, poiché il governo ha stabilito
che la resistenza è stata legittima e ha contribuito all’abbandono del
progetto….”. Mercoledì sera, in ogni caso, senza discussioni: abbiamo fatto la
festa!
(Pubblicato
su Reporterre.net il 19 gennaio e qui con il consenso dell’editore - Traduzione
di Alberto Castagnola per Comune.)
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