Si chiamava Omar Chan, ed era originario del Gambia. Era un ragazzo
timidissimo e dai modi gentili. Aveva lo sguardo triste e spaesato. Era
semianalfabeta, dicono, e per questo forse parlava poco. È scivolato tra le
rotaie mentre camminava accanto alla strada ferrata con le cuffie nelle
orecchie. Non si è buttato, è stato solo un incidente. Dicono così. Le cronache
gli hanno restituito un nome e un’identità solo un giorno dopo. Nei commenti
alle pagine dei giornali che raccontavano della sua morte qualcuno ha detto che
era meglio così, che era uno in meno. Aveva diciotto anni, Omar e le cuffie
sulle orecchie. Ascoltava musica e non ha sentito il treno che arrivava.
Era sabato e soffiava
maestrale. Avevo messo un vestito leggero per uscire di casa, uno dei miei
preferiti: quello nero con dei fiori ghiaccio e ocra stampati sul tessuto. La
giornata sembrava mite, il vento ancora leggero. Sarei dovuta tornare presto, l’avevo
promesso anche a mia figlia che non avrei fatto tardi. Avevo lavorato fino alle
18 e venti minuti dopo sedevo su una delle panchine di marmo, alla stazione di
Cagliari e aspettavo il treno che mi avrebbe riportata a casa.
Intanto il maestrale era di nuovo
salito, mi sferzava gelido in faccia. Provavo a nascondermi dietro un’enorme
sciarpa di lana senza trovare riparo e ristoro. Avrei dovuto coprirmi di più,
pensavo, questo vestito è troppo leggero. Maledetta Trenitalia, mi dicevo,
senza sapere. Intanto il treno per Oristano accumulava minuti di ritardo,
cominciavano a inseguirsi le cancellazioni mentre l’altoparlante lanciava un
messaggio che suonava sinistro e preoccupante: parlava di ritardi, parlava di
problemi tra Assemini e Cagliari, parlava di accertamenti della polizia
giudiziaria. Finché, sul telefono, mi è arrivata notizia di un incidente e
sulla banchina le voci hanno cominciato a inseguirsi. Qualcuno si è buttato
sulle rotaie; finché non arriva il magistrato per il riconoscimento la linea rimarrà
chiusa, dicevano. Non si trova il corpo, diceva qualcun altro.
E’ così che un giorno
qualunque la mia vita ha inciampato su quella di uno sconosciuto. Era sabato,
indossavo un vestito leggero a fiori, c’era vento e un treno che non arrivava
mai. Io volevo solo rientrare a casa, da mia figlia ed era tardi. Omar era
rimasto sui binari, per volere o per sfortuna. Chissà lui cosa voleva.
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