C’erano e ci sono molti modi per ricordare che da 1.000 giorni l’Ucraina, il popolo ucraino, resiste all’aggressione russa. Uno, forse non graditissimo agli aedi della guerra, è stato quello di Gallup, il prestigioso istituto di analisi statistica e ricerca sociologica fondato quasi novant’anni fa a Washington. Nel primo di una serie di interventi, i ricercatori Usa hanno rilevato che oggi il 52% degli ucraini oggi vorrebbe arrivare al più presto a fermare la guerra con un negoziato, mentre il 38% vorrebbe continuare a combattere. Di quel 52%, più della metà sarebbe disposta ad accettare cessioni di territori in cambio della pace. La ricerca Gallup ci dice molte altre cose. Per esempio, che il consenso alla guerra è andato sempre in calando: dal 73% del 2022, subito dopo l’invasione, al 63% del 2023 all’attuale 38%. E che il sostegno all’idea di continuare a combattere è calato in tutte le regioni del Paese, da quelle più vicine a quelle più lontane dalla linea del fronte. Noi aggiungiamo qui un’ulteriore considerazione: che questa ricerca è stata realizzata proprio a partire dal periodo in cui il presidente Zelensky presentava il suo Piano per la Vittoria.
Un popolo che vede il proprio Paese invaso e affronta immani sofferenze per
difenderlo ha tutto il diritto di scegliere la propria strada. Lo pensavamo
ieri, quando gli ucraini erano convinti di poter sconfiggere la Russia sul
campo e recuperare la Crimea e tutti gli altri territori annessi alla
Federazione Russa, e lo pensiamo oggi. Per usare un’espressione retorica, gli
ucraini hanno comunque vinto la loro guerra, anche se si smettesse di
sparare domani e i russi si tenessero tutto ciò che hanno finora occupato.
Questo, però, vale solo per gli ucraini. Tutti gli altri, americani ed
europei, dopo questi mille giorni dovrebbero fare un serio esame di coscienza.
Servirebbe a migliorare il livello della nostra politica e della nostra
cultura. Noi, che siamo sempre stati sul “lato oscuro della forza”, abbiamo
sempre pensato che la cosa migliore da fare fosse PRIMA fermare la
guerra e POI cercare una pace giusta per l’Ucraina. Eravamo in
minoranza, la linea che è passata è quella opposta: PRIMA sconfiggiamo
la Russia sul campo e POI le imponiamo una pace giusta. Va bene così,
in democrazia decidono i Governi con l’avallo dei Parlamenti.
Ma adesso, dopo questi 1.000 orribili giorni, è giunta l’ora di ammettere
che la strategia scelta era quella sbagliata. Dopo quasi tre anni di guerra,
sappiamo con certezza che non ci sarà la sconfitta sul campo della
Russia e non ci sarà la “pace giusta” di cui si parlava. Se dopo due mesi
di guerra, nel 2022, si fosse per ipotesi siglata una tregua con quelle
trattative in Bielorussia, saremmo stati esattamente al punto di adesso. Con
500 mila ucraini morti in meno, un’Ucraina meno devastata e più solida di
adesso, molti profughi ucraini in meno. Molte più risorse, sia militari sia
economiche, almeno in Europa, per aiutare l’Ucraina a riprendersi. Molte meno
divisioni, almeno in Europa ma ora forse anche negli Usa, su come aiutarla a
proteggersi.
I “pacifisti” avevano ragione, come già l’avevano per l’Iraq, la Siria, la
Libia. I bellicisti avevano torto, come sempre. Perché alla fin fine ha ragione
il Papa quando dice che la guerra è la risposta peggiore, il male assoluto.
Certe strade, però, sono difficili da percorrere a ritroso. E così
assistiamo, anche dopo questi 1.000 giorni, a penosi rituali già visti. Come
quest’ultima decisione di Joe Biden sui missili a lungo
raggio. Un presidente che ha già un piede fuori dalla Casa Bianca ed è
totalmente privo di legittimità politica, essendo stato sfiduciato in primo
luogo dal suo partito, toglie le restrizioni all’uso dei missili a lunga
gittata da parte degli ucraini. Sommo esempio dell’ipocrisia che ha
guidato per 1.000 giorni le azioni dell’Occidente. Se questa è una
guerra contro l’impero del male russo, contro un asse di Paesi (Russia, Cina,
Iran e chissà chi altro) che vogliono imporre le pretese dell’autocrazia ai
diritti della democrazia, una guerra “esistenziale” per tutti noi, perché non
abbiamo dato tutto e subito agli ucraini che ci rimettono la pelle? E perché
non siamo andati a combattere anche noi, per primi i baltici, i polacchi, i
finlandesi, gli svedesi, cioè i Paesi che ci ripetono che Putin, se vincente in
Ucraina, passerebbe di certo ad altre aggressioni? E dopo di loro noi latini,
ovviamente, almeno i Paesi fondatori di questa Ue che non vuole esser messa
sotto tutela dell’imperialismo moscovita.
Nulla di tutto questo è successo. Nessuno degli obiettivi programmati o
anche solo auspicati (cambio di regime a Mosca, crollo dell’economia russa,
sconfitta sul campo della Russia, isolamento internazionale del Cremlino) è
stato finora raggiunto. Lo sarà in futuro? Forse. Da Mosca arrivano voci sulla
grande preoccupazione di Elvira Nabiullina, la governatrice della
Banca centrale di Russia, che avrebbe più volte ammonito Putin a frenarsi,
perché l’economia russa fatica sempre più ad assorbire lo sforzo bellico. Ma
dopo questi 1.000 giorni siamo ai “forse” e non è un gran risultato.
A proposito di rituali. A dispetto di ciò che la realtà (e ora anche gli
ucraini) indica con chiarezza, proseguono le campagne per convincerci che va
bene così, che siamo sulla strada giusta, che la vittoria è vicina.
Perfettamente in linea con una propaganda che fin dal primo minuto
dell’invasione russa si è preoccupata non di raccontare i fatti ma di bastonare
chiunque di quei fatti desse un’interpretazione diversa. Il termine
“putiniano”, quindi complice dell’invasore (roba che in un Paese normale
dovrebbe valere una querela dall’esito certo) usato come un manganello contro i
diversi pareri, assurdi o fondati che fossero. Per cui poteva essere definito
“putiniano” anche l’ex direttore di Avvenire, Marco
Tarquinio, ora europarlamentare del Pd, mentre noi non potremmo mai
definire imbecilli i molti che in 1.000 giorni non ne hanno azzeccata una. O
tutti quelli che hanno pubblicato come oro colato le più colossali baggianate,
compresa la famosa affermazione della Von Der Leyen sui microchip delle
lavatrici usati dai russi per far volare i missili.
E quindi si continua così, facendo finta che esista una realtà parallela in
cui le previsioni sbagliate diventano giuste, i russi si ritirano, gli ucraini
avanzano e con i missili Usa la democrazia trionfa. L’Europa invecchiata male
si balocca con una visione del mondo che, ormai, corrisponde solo ai suoi desideri.
Oggi sul Corriere della Sera l’ex ministro ucraino degli Esteri Kuleba (uno
dei tanti silurati da Volodymyr Zelensky) dichiara quanto segue:
“Se permettono a Putin di prevalere, non avranno perso solo l’Ucraina. Avranno
perso l’Occidente, perché chi segue questa guerra in Cina, in Africa, in
America Latina vedrà che l’Occidente non è capace di difendere i propri valori
di libertà, democrazia, Stato di diritto. E allora anche altri attaccheranno
gli interessi occidentali nel mondo, convinti che l’Occidente non sia più
quello che conoscevano».
Abbiamo già detto che i cittadini di un Paese invaso hanno diritto a fare e
pensare ciò che più credono. Ma a Kuleba bisognerebbe pur dirlo che
quanto lui teme è già successo. In Africa la Francia viene presa a calci
nel sedere ogni giorno. La Cina, non ne parliamo. L’America Latina? Vada a
vedere quel che succede con gli investimenti cinesi o le relazioni con la
Russia. Ed è successo non perché la Russia POTREBBE vincere questa guerra ma
perché l’ha fatta. Perché cerca di rovesciare un tavolo su cui le carte sono
sempre state distribuite dagli occidentali, con le loro monete, le loro
alleanze militari, le loro istituzioni. Cosa che molti non accettano più come
prima. Basta vedere quel che succede con i BRICS: da quando abbiamo iniziato a
demonizzare Russia e Cina è cresciuto in misura esponenziale il numero dei
Paesi che vogliono entrarvi, ultimi Tailandia e Colombia.
Tutto questo è bello, è giusto? Il potenziale “nuovo ordine mondiale” sarà
sicuramente meglio del vecchio? Certo che no. Ma un’epoca, per noi
indubbiamente felice, è finita. Prima ce ne renderemo conto, prima la
smetteremo di fare i nobili con le pezze al culo, e meglio sarà.
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