giovedì 21 novembre 2024

1000 giorni di guerra in Ucraina e non abbiamo imparato (quasi) niente - Fulvio Scaglione

 

C’erano e ci sono molti modi per ricordare che da 1.000 giorni l’Ucraina, il popolo ucraino, resiste all’aggressione russa. Uno, forse non graditissimo agli aedi della guerra, è stato quello di Gallup, il prestigioso istituto di analisi statistica e ricerca sociologica fondato quasi novant’anni fa a Washington. Nel primo di una serie di interventi, i ricercatori Usa hanno rilevato che oggi il 52% degli ucraini oggi vorrebbe arrivare al più presto a fermare la guerra con un negoziato, mentre il 38% vorrebbe continuare a combattere. Di quel 52%, più della metà sarebbe disposta ad accettare cessioni di territori in cambio della pace. La ricerca Gallup ci dice molte altre cose. Per esempio, che il consenso alla guerra è andato sempre in calando: dal 73% del 2022, subito dopo l’invasione, al 63% del 2023 all’attuale 38%. E che il sostegno all’idea di continuare a combattere è calato in tutte le regioni del Paese, da quelle più vicine a quelle più lontane dalla linea del fronte. Noi aggiungiamo qui un’ulteriore considerazione: che questa ricerca è stata realizzata proprio a partire dal periodo in cui il presidente Zelensky presentava il suo Piano per la Vittoria.

Un popolo che vede il proprio Paese invaso e affronta immani sofferenze per difenderlo ha tutto il diritto di scegliere la propria strada. Lo pensavamo ieri, quando gli ucraini erano convinti di poter sconfiggere la Russia sul campo e recuperare la Crimea e tutti gli altri territori annessi alla Federazione Russa, e lo pensiamo oggi. Per usare un’espressione retorica, gli ucraini hanno comunque vinto la loro guerra, anche se si smettesse di sparare domani e i russi si tenessero tutto ciò che hanno finora occupato.

Questo, però, vale solo per gli ucraini. Tutti gli altri, americani ed europei, dopo questi mille giorni dovrebbero fare un serio esame di coscienza. Servirebbe a migliorare il livello della nostra politica e della nostra cultura. Noi, che siamo sempre stati sul “lato oscuro della forza”, abbiamo sempre pensato che la cosa migliore da fare fosse PRIMA fermare la guerra e POI cercare una pace giusta per l’Ucraina. Eravamo in minoranza, la linea che è passata è quella opposta: PRIMA sconfiggiamo la Russia sul campo e POI le imponiamo una pace giusta. Va bene così, in democrazia decidono i Governi con l’avallo dei Parlamenti.

Ma adesso, dopo questi 1.000 orribili giorni, è giunta l’ora di ammettere che la strategia scelta era quella sbagliata. Dopo quasi tre anni di guerra, sappiamo con certezza che non ci sarà la sconfitta sul campo della Russia e non ci sarà la “pace giusta” di cui si parlava. Se dopo due mesi di guerra, nel 2022, si fosse per ipotesi siglata una tregua con quelle trattative in Bielorussia, saremmo stati esattamente al punto di adesso. Con 500 mila ucraini morti in meno, un’Ucraina meno devastata e più solida di adesso, molti profughi ucraini in meno. Molte più risorse, sia militari sia economiche, almeno in Europa, per aiutare l’Ucraina a riprendersi. Molte meno divisioni, almeno in Europa ma ora forse anche negli Usa, su come aiutarla a proteggersi.

I “pacifisti” avevano ragione, come già l’avevano per l’Iraq, la Siria, la Libia. I bellicisti avevano torto, come sempre. Perché alla fin fine ha ragione il Papa quando dice che la guerra è la risposta peggiore, il male assoluto.

Certe strade, però, sono difficili da percorrere a ritroso. E così assistiamo, anche dopo questi 1.000 giorni, a penosi rituali già visti. Come quest’ultima decisione di Joe Biden sui missili a lungo raggio. Un presidente che ha già un piede fuori dalla Casa Bianca ed è totalmente privo di legittimità politica, essendo stato sfiduciato in primo luogo dal suo partito, toglie le restrizioni all’uso dei missili a lunga gittata da parte degli ucraini. Sommo esempio dell’ipocrisia che ha guidato per 1.000 giorni le azioni dell’Occidente. Se questa è una guerra contro l’impero del male russo, contro un asse di Paesi (Russia, Cina, Iran e chissà chi altro) che vogliono imporre le pretese dell’autocrazia ai diritti della democrazia, una guerra “esistenziale” per tutti noi, perché non abbiamo dato tutto e subito agli ucraini che ci rimettono la pelle? E perché non siamo andati a combattere anche noi, per primi i baltici, i polacchi, i finlandesi, gli svedesi, cioè i Paesi che ci ripetono che Putin, se vincente in Ucraina, passerebbe di certo ad altre aggressioni? E dopo di loro noi latini, ovviamente, almeno i Paesi fondatori di questa Ue che non vuole esser messa sotto tutela dell’imperialismo moscovita.

Nulla di tutto questo è successo. Nessuno degli obiettivi programmati o anche solo auspicati (cambio di regime a Mosca, crollo dell’economia russa, sconfitta sul campo della Russia, isolamento internazionale del Cremlino) è stato finora raggiunto. Lo sarà in futuro? Forse. Da Mosca arrivano voci sulla grande preoccupazione di Elvira Nabiullina, la governatrice della Banca centrale di Russia, che avrebbe più volte ammonito Putin a frenarsi, perché l’economia russa fatica sempre più ad assorbire lo sforzo bellico. Ma dopo questi 1.000 giorni siamo ai “forse” e non è un gran risultato.

A proposito di rituali. A dispetto di ciò che la realtà (e ora anche gli ucraini) indica con chiarezza, proseguono le campagne per convincerci che va bene così, che siamo sulla strada giusta, che la vittoria è vicina. Perfettamente in linea con una propaganda che fin dal primo minuto dell’invasione russa si è preoccupata non di raccontare i fatti ma di bastonare chiunque di quei fatti desse un’interpretazione diversa. Il termine “putiniano”, quindi complice dell’invasore (roba che in un Paese normale dovrebbe valere una querela dall’esito certo) usato come un manganello contro i diversi pareri, assurdi o fondati che fossero. Per cui poteva essere definito “putiniano” anche l’ex direttore di AvvenireMarco Tarquinio, ora europarlamentare del Pd, mentre noi non potremmo mai definire imbecilli i molti che in 1.000 giorni non ne hanno azzeccata una. O tutti quelli che hanno pubblicato come oro colato le più colossali baggianate, compresa la famosa affermazione della Von Der Leyen sui microchip delle lavatrici usati dai russi per far volare i missili.

E quindi si continua così, facendo finta che esista una realtà parallela in cui le previsioni sbagliate diventano giuste, i russi si ritirano, gli ucraini avanzano e con i missili Usa la democrazia trionfa. L’Europa invecchiata male si balocca con una visione del mondo che, ormai, corrisponde solo ai suoi desideri. Oggi sul Corriere della Sera l’ex ministro ucraino degli Esteri Kuleba (uno dei tanti silurati da Volodymyr Zelensky) dichiara quanto segue: “Se permettono a Putin di prevalere, non avranno perso solo l’Ucraina. Avranno perso l’Occidente, perché chi segue questa guerra in Cina, in Africa, in America Latina vedrà che l’Occidente non è capace di difendere i propri valori di libertà, democrazia, Stato di diritto. E allora anche altri attaccheranno gli interessi occidentali nel mondo, convinti che l’Occidente non sia più quello che conoscevano».

Abbiamo già detto che i cittadini di un Paese invaso hanno diritto a fare e pensare ciò che più credono. Ma a Kuleba bisognerebbe pur dirlo che quanto lui teme è già successo. In Africa la Francia viene presa a calci nel sedere ogni giorno. La Cina, non ne parliamo. L’America Latina? Vada a vedere quel che succede con gli investimenti cinesi o le relazioni con la Russia. Ed è successo non perché la Russia POTREBBE vincere questa guerra ma perché l’ha fatta. Perché cerca di rovesciare un tavolo su cui le carte sono sempre state distribuite dagli occidentali, con le loro monete, le loro alleanze militari, le loro istituzioni. Cosa che molti non accettano più come prima. Basta vedere quel che succede con i BRICS: da quando abbiamo iniziato a demonizzare Russia e Cina è cresciuto in misura esponenziale il numero dei Paesi che vogliono entrarvi, ultimi Tailandia e Colombia.

Tutto questo è bello, è giusto? Il potenziale “nuovo ordine mondiale” sarà sicuramente meglio del vecchio? Certo che no. Ma un’epoca, per noi indubbiamente felice, è finita. Prima ce ne renderemo conto, prima la smetteremo di fare i nobili con le pezze al culo, e meglio sarà.

da qui

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