giovedì 21 novembre 2024

La normalizzazione degli insegnanti: il caso Raimo e non solo - Giovanna Lo Presti

  

Leggo su un’autorevole rivista online che si occupa di scuola e istruzione che Christian Raimo, docente e scrittore, è stato sospeso dall’Ufficio scolastico regionale del Lazio per tre mesi dall’insegnamento. Questa è la durissima sanzione per punirlo del fatto di aver osato, nel corso della Festa nazionale di Alleanza Verdi e Sinistra, criticare l’operato del ministro Valditara (https://volerelaluna.it/societa/2024/10/10/la-scuola-caserma-e-i-docenti-caporali-non-solo-raimo/). Christian Raimo non è un anonimo docente ma un intellettuale conosciuto, che ha immediatamente ricevuto la solidarietà di altri intellettuali e che, nonostante tutto, nonostante il clamore che l’intenzione di sanzionarlo aveva destato, è stato esemplarmente condannato in sede amministrativa.

La gravità del fatto è enorme: si colpisce Raimo per opinioni espresse lontano dal luogo di lavoro, nel corso di un incontro di natura politica. Cosa gli si vuol far pagare, il fatto di sputare nel piatto in cui mangia? Il fatto di dare un giudizio negativo sull’operato di un ministro che, a ben vedere, più che essere paragonato alla “Morte Nera” di Star Wars, come gentilmente ha fatto Raimo, dovrebbe essere paragonato, nei suoi momenti migliori, all’asino di Buridano, sempre indeciso se umiliare gli studenti o comprenderli, digitalizzare la scuola o vietare i cellulari, promuovere l’insegnamento dell’educazione civica o andare a manifestare, lui ministro, contro i magistrati che stanno giudicando il suo sodale Salvini? Raimo, a ben vedere, è stato cortese verso il Ministro del Merito (mi pare che l’Istruzione sia migrata da qualche altra parte): ne ha descritto suggestivamente la natura ma non ha affondato il coltello nelle piaghe che affliggono la scuola italiana e che, nei due anni di ministero Valditara, non sono certo in via di guarigione.

Dobbiamo aggiungere che ciò che è accaduto a Raimo accade, nelle nostre scuole, a molti lavoratori che, non essendo personaggi noti, subiscono come possono il giro di vite disciplinare di cui questo governo sembra andare orgoglioso. Quelle vicende si consumano nell’ombra, molto spesso nella difficoltà di difendersi dall’ingiustizia subita, in un clima in cui il dissenso dalla linea ufficiale, di cui si fa portatore spesso e volentieri il capo d’istituto, è, di per sé colpevole.

Al caso Raimo voglio accostare un fatto recente (l’informazione si trova sul sito di Rainews del 6 novembre e sul Gazzettino): una docente ha pubblicato un post su Facebook lunedì 4 novembre, in occasione della visita a Venezia del presidente Mattarella e del ministro Crosetto. Su Piazza San Marco, quel giorno si esibivano le Frecce tricolori. Pare che su Facebook il commento della professoressa non fosse il solo; parecchi residenti nel centro storico di Venezia si lagnavano per il frastuono provocato dalle prove e dall’esibizione degli aerei. Il commento della docente è stato icastico: “Frecce tricolori di merda“. A ruota segue la dichiarazione della dirigente scolastica del Liceo “Foscarini” professoressa Alessandra Artusi: «Me ne sto occupando da stamane, è un fatto molto grave e insensato […]. Da oggi sto compiendo le verifiche per quanto di mia competenza e non è escluso che possano essere presi provvedimenti disciplinari». Dove stia la gravità e l’insensatezza varrebbe la pena di spiegarlo, ma tant’è. La replica della professoressa “incriminata” non tarda: «E chi ha offeso le forze armate? Ce l’ho con l’inquinamento acustico e atmosferico (gas serra) provocato, nonché con la pericolosità (non solo per le persone fisiche ed edifici, ma anche per animali, specialmente volatili e uccelli migratori) per non parlare dei costi». E aggiunge: «Passo per ‘fomentatrice’ di qualsiasi evento sgradevole accaduto nell’Istituto scolastico, di cui, ovviamente, non ho nessuna responsabilità. […]. Si ipotizza pure che io nelle mie classi non faccia altro che parlare male delle Forze armate (sic!). Ma quando mai? Viviamo in un regime o cosa? Mi pare proprio di sì».

A detta dell’articolo sul Gazzettino che presenta l’episodio, la professoressa rischierebbe sanzioni, sia dal punto di vista penale sia dal punto di vista amministrativo. Il vicepresidente dell’ANP (Associazione nazionale presidi), intervistato a proposito, cita il DPR n. 62/2013 (Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici), in quanto la dipendente avrebbe infangato (sic!) la reputazione dell’Amministrazione pubblica. Se, nella sua istruttoria, la dirigente scolastica trovasse traccia di reato, allora si potrebbe procedere con l’azione penale e incriminare la docente per vilipendio della Repubblica, delle istituzioni della Repubblica e delle forze armate (art. 250 del codice di procedura penale).

Ma, dico io, per un fatto così grave, pesante, insensato, lesivo della dignità del mondo intero, perché non proporre la fucilazione all’alba nel cortile del Liceo “Foscarini”?

Una democrazia è in chiara sofferenza quando la regola dei “due pesi e due misure” diventa consuetudine sfacciata. Ci avviamo verso un mondo in cui ai potenti è concesso tutto mentre al popolo è negato il dissenso e il diritto di esprimere la propria opinione. Un ministro, a suo parere nelle grinfie della magistratura, ha forse esitato a dire che «per colpa di alcuni giudici comunisti che non applicano le leggi, il Paese insicuro ormai è l’Italia»? E, per lui, il termine “comunista” aveva la stessa connotazione di insulto dell’espressione che la professoressa veneziana ha appioppato alle Frecce (con una qualche ragione – credo – posto che le scie delle Frecce tricolori grondano letteralmente sangue: lo scorso anno, nel corso di una loro esibizione a Caselle, vicino a Torino, è rimasta uccisa una bambina di cinque anni e, nello stesso anno, è morto in un incidente di volo anche un pilota esperto. Le parolacce invece, ammesso che un pavido “di merda” sia tale, le ha sdoganate un buon numero di nostri rappresentanti politici che, quanto a idee e comportamenti offensivi del loro stesso ruolo istituzionale nonché a capacità di “infangare” altre istituzioni dello Stato, non conoscono rivali.

Oggi tutti noi siamo impegnati a difendere la libertà di opinione e di parola: i due casi appena citati ci siano di monito. Alla domanda della professoressa veneziana (“Viviamo in un regime?) la risposta è che no, non viviamo ancora in un regime ma che ci sono in giro un po’ troppe persone che desiderano fortemente questo passaggio. Quindi, è il momento di opporsi con tutte le nostre forze affinché il diritto di esprimere la propria opinione sia di tutti. Poi dovremo darci da fare affinché la libertà di opinione e di parola non siano viti spanate, che girano a vuoto, ma divengano il lievito per agire e costruire una società più giusta.

da qui

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