Leggo su un’autorevole rivista online che si occupa di scuola e istruzione che Christian
Raimo, docente e scrittore, è stato sospeso dall’Ufficio scolastico
regionale del Lazio per tre mesi dall’insegnamento. Questa è la durissima
sanzione per punirlo del fatto di aver osato, nel corso della Festa
nazionale di Alleanza Verdi e Sinistra, criticare l’operato del ministro
Valditara (https://volerelaluna.it/societa/2024/10/10/la-scuola-caserma-e-i-docenti-caporali-non-solo-raimo/). Christian Raimo non è un anonimo
docente ma un intellettuale conosciuto, che ha immediatamente ricevuto la
solidarietà di altri intellettuali e che, nonostante tutto, nonostante il
clamore che l’intenzione di sanzionarlo aveva destato, è stato esemplarmente
condannato in sede amministrativa.
La gravità
del fatto è enorme: si colpisce Raimo per opinioni espresse lontano dal
luogo di lavoro, nel corso di un incontro di natura politica. Cosa gli si
vuol far pagare, il fatto di sputare nel piatto in cui mangia? Il fatto di dare
un giudizio negativo sull’operato di un ministro che, a ben vedere, più che
essere paragonato alla “Morte Nera” di Star Wars, come
gentilmente ha fatto Raimo, dovrebbe essere paragonato, nei suoi
momenti migliori, all’asino di Buridano, sempre indeciso se umiliare gli
studenti o comprenderli, digitalizzare la scuola o vietare i cellulari,
promuovere l’insegnamento dell’educazione civica o andare a manifestare, lui
ministro, contro i magistrati che stanno giudicando il suo sodale Salvini?
Raimo, a ben vedere, è stato cortese verso il Ministro del Merito (mi pare che
l’Istruzione sia migrata da qualche altra parte): ne ha descritto
suggestivamente la natura ma non ha affondato il coltello nelle piaghe che
affliggono la scuola italiana e che, nei due anni di ministero Valditara, non
sono certo in via di guarigione.
Dobbiamo
aggiungere che ciò che è accaduto a Raimo accade, nelle nostre scuole,
a molti lavoratori che, non essendo personaggi noti, subiscono come possono il
giro di vite disciplinare di cui questo governo sembra andare orgoglioso.
Quelle vicende si consumano nell’ombra, molto spesso nella difficoltà di
difendersi dall’ingiustizia subita, in un clima in cui il dissenso dalla linea
ufficiale, di cui si fa portatore spesso e volentieri il capo d’istituto, è, di
per sé colpevole.
Al caso
Raimo voglio accostare un fatto recente (l’informazione si trova sul sito
di Rainews del 6 novembre e sul Gazzettino): una
docente ha pubblicato un post su Facebook lunedì
4 novembre, in occasione della visita a Venezia del presidente
Mattarella e del ministro Crosetto. Su Piazza San Marco, quel giorno si
esibivano le Frecce tricolori. Pare che su Facebook il commento della
professoressa non fosse il solo; parecchi residenti nel centro storico di
Venezia si lagnavano per il frastuono provocato dalle prove e dall’esibizione
degli aerei. Il commento della docente è stato icastico: “Frecce
tricolori di merda“. A ruota segue la dichiarazione della dirigente
scolastica del Liceo “Foscarini” professoressa Alessandra Artusi: «Me
ne sto occupando da stamane, è un fatto molto grave e
insensato […]. Da oggi sto compiendo le verifiche per quanto di mia
competenza e non è escluso che possano essere presi provvedimenti
disciplinari». Dove stia la gravità e l’insensatezza varrebbe la pena di
spiegarlo, ma tant’è. La replica della professoressa “incriminata” non
tarda: «E chi ha offeso le forze armate? Ce l’ho con l’inquinamento
acustico e atmosferico (gas serra) provocato, nonché con la pericolosità (non
solo per le persone fisiche ed edifici, ma anche per animali, specialmente
volatili e uccelli migratori) per non parlare dei costi». E
aggiunge: «Passo per ‘fomentatrice’ di qualsiasi evento sgradevole
accaduto nell’Istituto scolastico, di cui, ovviamente, non ho nessuna
responsabilità. […]. Si ipotizza pure che io nelle mie classi non faccia
altro che parlare male delle Forze armate (sic!). Ma quando mai? Viviamo
in un regime o cosa? Mi pare proprio di sì».
A detta
dell’articolo sul Gazzettino che presenta l’episodio, la
professoressa rischierebbe sanzioni, sia dal punto di vista penale sia dal
punto di vista amministrativo. Il vicepresidente dell’ANP (Associazione
nazionale presidi), intervistato a proposito, cita il DPR n. 62/2013
(Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici), in
quanto la dipendente avrebbe infangato (sic!) la reputazione
dell’Amministrazione pubblica. Se, nella sua istruttoria, la dirigente
scolastica trovasse traccia di reato, allora si potrebbe procedere con l’azione
penale e incriminare la docente per vilipendio della Repubblica, delle
istituzioni della Repubblica e delle forze armate (art. 250 del codice di
procedura penale).
Ma, dico io,
per un fatto così grave, pesante, insensato, lesivo della dignità del mondo
intero, perché non proporre la fucilazione all’alba nel cortile del Liceo
“Foscarini”?
Una
democrazia è in chiara sofferenza quando la regola dei “due pesi e due misure”
diventa consuetudine sfacciata. Ci avviamo verso un mondo in cui ai
potenti è concesso tutto mentre al popolo è negato il dissenso e il diritto di
esprimere la propria opinione. Un ministro, a suo parere nelle
grinfie della magistratura, ha forse esitato a dire che «per colpa di
alcuni giudici comunisti che non applicano le leggi, il Paese
insicuro ormai è l’Italia»? E, per lui, il termine “comunista”
aveva la stessa connotazione di insulto dell’espressione che la
professoressa veneziana ha appioppato alle
Frecce (con una qualche ragione – credo – posto che le scie
delle Frecce tricolori grondano letteralmente sangue: lo scorso anno,
nel corso di una loro esibizione a Caselle, vicino a Torino, è rimasta uccisa
una bambina di cinque anni e, nello stesso anno, è morto in un incidente di
volo anche un pilota esperto. Le parolacce invece, ammesso che un pavido “di merda”
sia tale, le ha sdoganate un buon numero di nostri rappresentanti
politici che, quanto a idee e comportamenti offensivi del loro stesso
ruolo istituzionale nonché a capacità di “infangare” altre istituzioni dello
Stato, non conoscono rivali.
Oggi tutti noi
siamo impegnati a difendere la libertà di opinione e di parola: i due casi
appena citati ci siano di monito. Alla domanda della professoressa veneziana
(“Viviamo in un regime?) la risposta è che no, non viviamo ancora
in un regime ma che ci sono in giro un po’ troppe persone che desiderano
fortemente questo passaggio. Quindi, è il momento di opporsi con tutte
le nostre forze affinché il diritto di esprimere la propria opinione sia di
tutti. Poi dovremo darci da fare affinché la libertà di opinione e di parola
non siano viti spanate, che girano a vuoto, ma divengano il lievito per agire e
costruire una società più giusta.
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