lunedì 18 novembre 2024

Il punto di non ritorno su medici e infermieri - Nicoletta Dentico


La carenza di personale è il segno più grave del collasso della sanità pubblica. I mancati investimenti tradiscono il diritto alla salute. La rubrica di Nicoletta Dentico

Tratto da Altreconomia 275 — Novembre 2024

Nonostante derivi dall’ambiente manageriale, il termine “risorse umane” evidenzia il valore intrinseco del personale, per le sue competenze e professionalità. Questa accezione risulta di particolare rilevanza quando parliamo di servizio sanitario, un settore in cui i livelli professionali elevati sono necessariamente diffusi e le capacità relazionali fondamentali. L’attività svolta da medici e infermieri, e da altre tipologie di personale della salute pubblica, è la chiave di volta di un servizio dedicato alla persona, una voce non comprimibile di spesa a fronte del mantenimento di qualità e accessibilità.

Quando la Fondazione Gimbe racconta il collasso della sanità pubblica italiana -come ha fatto di recente con la presentazione del settimo Rapporto sul Servizio sanitario nazionale (Ssn)-, proiettando “una tenuta prossima al punto di non ritorno” e contando “quasi 4,5 milioni di persone che nel 2023 hanno rinunciato alle cure”, racconta gli effetti sistemici e non congiunturali di una strategia di contenimento della spesa sanitaria che in Italia è stata largamente attuata con la riduzione del personale (i famosi tetti di spesa introdotti nel 2004 dal secondo Governo Berlusconi, e poi riconfermati).

A differenza della produzione di oggetti, quella di servizi -specialmente in ambito sanitario- ha come perno la scelta di puntare sugli investimenti nelle risorse umane, sia sotto il profilo qualitativo -con la formazione continua, la valorizzazione di competenze ed esperienze- sia quantitativo, con la programmazione degli accessi all’università e la capacità di attrarre e trattenere le professionalità all’interno del sistema sanitario pubblico. Non fare questa scelta significa tradire il diritto alla salute, i principi costituzionali di universalismo, equità e uguaglianza, fondamentali per uno Stato responsabile e per un compiuto sviluppo della società.

Dopo la pandemia da Covid-19, non fare questa scelta significa tradire la popolazione italiana tout court. Soprattutto perché si registra nel Paese un accanito incremento delle fasce socioeconomiche più deboli, un aumento dei bisogni assistenziali dovuto alle modifiche della struttura familiare e all’invecchiamento della popolazione (nel 2050 il 34,9% degli italiani avrà più di 65 anni, a fronte della drastica riduzione di quelli in età lavorativa al 53,4%), per non parlare di quanti vivono nel Mezzogiorno e nelle aree interne, sempre più disagiate.

È del 55% la percentuale di medici italiani con oltre 55 anni di età. La media dei Paesi Ocse è del 33%, mentre è del 9,2 quella del numero di infermieri per mille abitanti. L’Italia ne ha solo 6,2. Si stima che il personale infermieristico dovrebbe essere incrementato di circa 350mila unità (Crea 2023).

Queste tendenze pongono sfide sanitarie decisive: il consumo di farmaci, il ricorso a visite mediche, i ricoveri ospedalieri e le patologie per le quali non esistono ancora strumenti di prevenzione e di terapia risolutivi -la demenza, il Parkinson, l’Alzheimer- sono tutti fenomeni correlati all’età. E che dire poi della salute mentale che dopo la pandemia da Covid-19, lo abbiamo già raccontato, colpisce con effetti diretti anche le giovani generazioni? Un altro fattore, dopo il 2020, ci impone di incrementare le risorse umane in ambito sanitario: le emergenze epidemiche, ricorrenti prima e dopo Covid-19 (basti pensare al vaiolo delle scimmie, alla influenza aviaria, alla “pandemia silente” della resistenza antimicrobica), legate a doppio filo al rapporto malato dell’umanità con la natura che la circonda.

Ogni Paese deve essere enormemente grato al proprio personale sanitario e assistenziale: “Questo non è mai stato più evidente che al culmine della pandemia da Covid-19, quando i professionisti sanitari si sono schierati come principale difesa […] spesso a grande rischio personale, mettendo a repentaglio la propria vita” (Organizzazione mondiale della sanità, 2022). Sosteniamo le loro battaglie, invece di attaccarli in corsia.

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