di Marcello Foa
Tante volte
ci siamo chiesti come operi davvero l’élite globalista ma raramente otteniamo
risposte pertinenti e soddisfacenti. Una studiosa americana di grande
livello, Janine R. Wedel, ci è riuscita in un saggio, Shadow
Elite, uscito una decina di anni fa negli Stati Uniti ma ancora
straordinariamente attuale. Janine Wedel è un’antropologa americana e
professoressa universitaria presso la Schar School of Policy and Government
della George Mason University, e collabora con diverse istituzioni europee. È
un’intellettuale libera, controcorrente e molto autorevole, animata da una
passione viscerale per l’autenticità della nostra democrazia. Nei giorni scorsi
l’ho intervistata per il programma Giù la maschera che conduco
su Rai
Radio 1 e sono lieto di poterla proporre anche ai lettori di InsideOver. Sono
poche righe ma illuminanti sulle regole invisibili del potere ai tempi della
globalizzazione.
– Il professor Philips, nel suo libro Titans of capital lascia
intendere che il mondo sia guidato dalla grande finanza. Davvero è questa
l’èlite che detiene il vero potere?
“No, penso che il sistema finanziario sia cruciale e che abbia determinato
molte politiche e decisioni che caratterizzano il sistema in cui viviamo ma non
è l’unico ambito che bisogna considerare”.
– E allora quali settori dobbiamo considerare? Lei, nel suo famoso libro Shadow
elite ovvero l’élite ombra, spiega come questa élite governi la
globalizzazione e come sia fedele solo a se stessa. Cosa intende?
“Sì, quel che abbiamo visto negli ultimi 40 anni è la trasformazione
dell’élite. Quella di prima era mossa dal desiderio di governare ma anche di
restituire qualcosa alla società. La globalizzazione e la finanziarizzazione
hanno fatto emergere una nuova élite che non si sente più molto legata al
proprio Paese, infatti va dove paga meno tasse, ha più passaporti e cose di questo
genere. E questa evoluzione è stata dettata da alcuni cambiamenti strutturali
intrecciati gli uni con gli altri. Ne vedo in particolare quattro”.
– Ovvero quali sono questi cambiamenti?
“Innanzitutto, negli anni Ottanta con l’avvio del processo di outsourcing e
privatizzazione di molte attività dei Governi, cominciato sotto la presidenza
Reagan negli Stati Uniti e con la premier Thatcher in Gran Bretagna. Poi la
fine della Guerra Fredda ha spalancato le porte a una massiccia
privatizzazione, segnata tra l’altro dall’avvento di oligarchi in Russia, che
sono diventati ricchi dal mattino alla sera, derubando lo Stato e generando
molto denaro sporco. Da lì c’è stato lo sviluppo delle centri finanziari
offshore ovvero dei paradisi fiscali. Infine la digitalizzazione ha cambiato
tutto, favorendo la globalizzazione e la prevalenza di interessi privati a
scapito di quelli statali e nazionali, che si è manifestata anche con la
nascita delle ONG e di entità sempre private, talvolta legali e talvolta no.
Dunque è diminuita la fedeltà al proprio Paese, sono sorti nuovi modelli di
attività e di business, è aumentata la fedeltà alla propria élite che io chiamo
ombra”.
– E come funziona l’élite ombra?
“Si tratta di élite che ricoprano molteplici ruoli, che si rinforzano
vicendevolmente sia dentro sia fuori dal Governo. Ad esempio una persona è
consigliere dell’esecutivo, dunque esterno, non assunto, e al contempo lavora
per un think tank, il quale è finanziato da un’industria che ha interessi
proprio in quel ministero”.
– Ci faccia capire, Janine: lei sta descrivendo un sistema che funziona per
ogni settore, non solo quello finanziario, ad esempio quello militare,
farmaceutico, automobilistico. È così?
“Assolutamente sì, gli esempi sono molteplici in ogni settore. Ne prendo uno:
quello militare. Negli Usa un generale in pensione presta consulenza gratuita
al Governo nell’ambito di un advisory board, ma in quella posizione
ottiene informazioni confidenziali, da insider sulle intenzioni del Governo e
naturalmente può orientare anche certe decisioni. Al contempo è titolare di una
società di consulenza, che però ha clienti solo in ambito militare. Così si
intersecano interessi privati e pubblici. Come mi ha detto uno dei membri di
questa élite: non c’è conflitto di interesse perché noi definiamo l’interesse.
Questo generale potrebbe lavorare in alternativa al think tank per
un’istituzione accademica e questo è importante perché deve apparire
pubblicamente come un esperto neutrale. Così quando va alla Cnn o davanti a una
commissione parlamentare appare solo come il generale in pensione e ora docente
di una prestigiosa università, ad esempio Harvard”.
– Ma a livello globale chi prende le decisioni, chi determina le grandi
tendenze della nostra epoca, come digitalizzazione, l’agenda green,
l’industria 4.0, che poi vengono implementate nei singoli Paese? C’è chi
dice il World Economic Forum…
“È troppo facile dire che c’è un solo posto dove vengono prese ma quel che
vediamo è che a causa di questa trasformazione le decisioni sulle politiche
economiche o di altri tipi sono state rimosse dalle istituzioni democratiche
che dovrebbero elaborarle e che invece si limitano ad adottarle. E questo
perché ci sono molte altre entità che sono diventate importanti
nell’elaborazione delle grandi riforme, entità private e non elette, come il
World Economic Forum o il Gruppo dei Trenta che riunisce finanzieri e
accademici. Il direttore di questo Gruppo da me intervistato quando i Trenta
volevano dimostrare che il mercato dei derivati non richiedesse troppa
regolamentazione, mi disse: Noi non scriviamo le linee politiche ma le nostre
decisioni poi finiscono per diventare riforme politiche. Questo è un punto
cruciale, l’elaborazione delle linee politiche è diventata molto più indiretta
e dunque è sempre più difficile capire dove risiede, il vero potere, la vera
influenza. E questo spiega il proliferare delle teorie cospirazioniste: se i
cittadini non possono identificare chi esercita davvero e in modo trasparente
cercheranno risposte, trovandole anche nelle teorie complottiste”
– E quindi siamo impotenti? Cosa devono fare i cittadini, i giornalisti, gli
intellettuali?
“In realtà le dinamiche e gli interessi dell’èlite ombra possono essere
analizzati e investigati, io lo faccio da tempo come antropologa sociologica ma
possono farlo anche i giornalisti. Bisogna seguire questa élite che ha anche
ruoli pubblici. individuare le loro affiliazioni, ricostruire i legami, i ruoli
e gli interessi che si rafforzano vicendevolmente e si sovrappongono. Non è
scontato, non è facile ma si può fare”.
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