Com’era prevedibile, il meteorite della rielezione di Donald Trump, da molti prevista nell’esito finale ma non nelle clamorose proporzioni, ha generato un rumore di fondo quasi incontrollabile. Con l’insediamento lontano ancora due mesi e le nomine fondamentali per il Governo degli Usa ancora da decidere, rischiamo di essere travolti da un’onda di supposizioni, illazioni, fake news e presunte rivelazioni che sono quasi sempre basate sul nulla, o sulla fantasia dei giornalisti. Il fatto che quasi sempre queste “informazioni” arrivino dalle stesse fonti, pubbliche o private, che da anni provvedono a diffondere analoghe “informazioni” (il Nord Stream l’hanno fatto saltare i russi, i russi usano i microchip delle lavatrici per i missili, i russi combattono con le pale perché non hanno armi, ecc. ecc.), ovviamente non contribuisce a rallegrarci. Ed è quasi buffa l’idea che Trump possa tra poco entrare nella Sala Ovale, sedersi al Resolute Desk e con un tratto di penna mandare alla deriva l’Ucraina e far tornare gli Usa pappa e ciccia con la Russia.
Faccio questi esempi non solo perché l’invasione russa e la guerra in
Ucraina sono un tema fondamentale per noi europei ma anche perché il buco
temporale e decisionale tra l’uscita dalla Casa Bianca di Joe Biden e
l’ingresso di Trump dovrebbe essere il momento giusto per tenersi
ancorati all’essenza delle cose. Soprattutto per noi europei, vuol dire questo:
la rielezione di Trump, comunque vada, chiunque lo affiancherà al Governo,
qualunque decisione verrà presa, scrive la parola fine alla narrazione che ha
dominato dal momento dell’invasione russa del 24 febbraio del 2022: ovvero,
che il conflitto si potesse concludere solo con la sconfitta sul campo
della Russia, il suo collasso economico sotto il peso delle sanzioni, il
suo isolamento internazionale e, meglio ancora, con un cambio di regime a
Mosca. Ipotesi ottimale: tutte queste cose più la disgregazione della
Federazione Russa.
Certo, è un mantra che viene ancora ripetuto. Lo ha fatto Josep
Borrell, che sta per lasciare l’incarico di Alto commissario alla politica
Estera e di Difesa della Ue, pochi giorni fa, durante il suo sesto e ultimo
viaggio a Kiev. L’ha fatto anche Giorgia Meloni. Ma si percepisce
ormai la stanchezza, la sfiducia, la ritualità delle dichiarazioni fatte per
abitudine. Nella realtà, che certo non sfugge a politici di quel livello,
l’Occidente (non l’Ucraina, che si è sacrificata a livelli quasi inconcepibili
per respingere la Russia) ha perso la guerra: la Russia non è stata sconfitta,
la sua economia non è crollata, Putin è saldo al potere e non è isolato nel
mondo, la Federazione non si è disgregata. La Russia ha grosse difficoltà, è
ovvio. Ma l’obiettivo era annichilirla, non crearle problemi.
Il ritorno di Trump sulla scena internazionale manda appunto questo
messaggio: no, da questa guerra si può uscire anche in un altro modo.
Trattando, negoziando, mettendo in qualche modo d’accordo. Anche con l’invasore
russo, anche con Putin che ha stracciato tutti o quasi i trattati
internazionali, anche con un’Ucraina amputata della Crimea e magari
anche di altri territori. Non è giusto? Certo che non lo è. Ma da
quando i rapporti tra le potenze sono improntati al senso di giustizia?
Attualmente il termine generico “Occidente”, di cui tutti abusiamo, in
questo fallimento serve solo fino a un certo punto. Il Giappone non
perde quanto la Germania. L’Italia perde assai più della Norvegia,
diventata fornitore di gas al posto della Russia. La Polonia guadagna, la
Francia recede. La Finlandia si sente più sicura per essere entrata nella Nato
ma ora sta riaprendo il confine con la Russia perché il
traffico frontaliero le rendeva dei bei soldoni. E così via.
Quello che è certo è questo: gli Usa ci guadagnano, l’Europa ci rimette.
Gli Usa hanno ottenuto concreti vantaggi (anche solo nel settore energetico) e
un vantaggio politico inestimabile: aver tagliato il legame tra l’Europa (con
la Germania a far da testa di ponte) e la Russia, eliminando con questo
l’unica, anche se vaga, ipotesi di blocco davvero concorrenziale con gli Usa
dal punto di vista politico ed economico. L’Europa, ora, è costretta a
inventarsi un nuovo modello di sviluppo, diverso da quello energia a
basso costo – manifatture – esportazioni che il rapporto con la Russia
le aveva consentito per decenni e che l’aveva fatta prosperare. E
nell’emergenza della guerra alle porte ha rinunciato a qualunque
ipotesi di organizzazione collettiva di difesa, abbandonandosi a una corsa
al riarmo “ognuno per sé” di dubbia efficacia e in definitiva affidando le
proprie sorti alla Nato a trazione Usa, ora perfettamente sovrapposta ai
confini della Ue.
Noi abbiamo sempre scritto che la guerra in Ucraina, nata dalla violazione
dei trattati internazionali operata dalla Russia con l’invasione del 2022,
andava soffocata quanto prima e non fomentata, non alimentata
nell’illusoria speranza di una vittoria totale sul campo. La Von der Leyen,
Borrell e i loro seguaci avevano torto e noi avevamo ragione. Quello che si
prospetta ora, Trump o non Trump, è esattamente ciò che si prospettava nel 2022
se si fosse perseguita una tregua ma in peggio, molto peggio:
l’Ucraina oggi può rimetterci più territori di allora ed è più distrutta di
allora, tra Russia e Ucraina è morto un milione di persone, altri milioni di
ucraini sono dispersi in Europa e altrove come rifugiati e chissà quanti di
loro torneranno in patria. Dell’Europa abbiamo detto, dell’ascesa dei Brics
potremmo dire, del mal funzionamento dell’Unione Europea ha già parlato abbastanza Mario
Draghi nel suo recente rapporto.
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