Potrebbero essere di fabbricazione italiana le
bombe che sabato scorso hanno colpito l’edificio a Sana’a in Yemen dove era in
corso una cerimonia funebre causando 155 morti e più di 530 feriti. Il
corrispondente della tv britannica ITV, Neil Connery, che è entrato
nell’edifico poco dopo il bombardamento, ha infatti pubblicato via twitter la
foto di una componente di una bomba che, secondo un ufficiale yemenita, sarebbe
del tipo Mark 82 (MK 82).
Altre immagini pubblicate via
twitter sono più precise: riportano la targhetta staccatasi da una bomba con la
scritta: «For use on MK82, FIN guided bomb». Segue un numero seriale:
96214ASSY837760-4. L’ordigno sarebbe stato prodotto su licenza dell’azienda statunitense
Raytheon per essere usato su una bomba MK82. Ma non è chiara l’azienda
produttrice e il paese esportatore. Che potrebbe essere anche l’Italia.
Bombe del tipo MK82, infatti,
sono prodotte nella fabbrica di Domusnovas in Sardegna dalla Rwm Italia,
azienda tedesca del colosso Rheinmetall, che ha la sua sede legale a Ghedi, in
provincia di Brescia. E sono state esportate dall’Italia, con l’autorizzazione
da parte dell’Unità per le autorizzazioni di materiali d’armamento (Uama).
La conferma, seppur in modo
indiretto, l’ha data mercoledì scorso (il 12 ottobre) la ministra della Difesa,
Roberta Pinotti, rispondendo a una interrogazione del deputato Luca Frusone
(M5S): «La ditta Rwm Italia – ha detto la ministra Pinotti – ha esportato in
Arabia Saudita in forza di una licenza rilasciata in base alla normativa
vigente».
All’azienda Rwm Italia nel
biennio 2012-13 sono state infatti rilasciate da parte dell’Uama autorizzazioni
all’esportazione per bombe aeree di tipo MK82 e MK83 destinate all’Arabia
Saudita per un valore complessivo di oltre 86 milioni di euro. Impossibile
invece sapere quante e quali bombe siano state esportate dall’Italia all’Arabia
Saudita nell’ultimo biennio: le voluminose relazioni inviate al parlamento dal
governo Renzi riportano infatti solo il valore complessivo delle autorizzazioni
all’esportazione verso i singoli paesi e le generiche tipologie di armamento
(munizioni, veicoli terrestri, navi, aeromobili, ecc.).
Nel biennio 2014-15 il
ministero degli Esteri ha autorizzato l’esportazione verso l’Arabia Saudita di
un vero arsenale militare per un valore complessivo di quasi 420 milioni di
euro. Tra questi figurano «armi automatiche» che possono essere utilizzate per
la repressione interna, «munizioni», «bombe, siluri, razzi e missili», «apparecchiature
per la direzione del tiro», «esplosivi», «aeromobili» tra cui componenti per
gli Eurifighter «Al Salam», i Tornado «Al Yamamah» e gli elicotteri EH-101,
«apparecchiature elettroniche» e «apparecchiature specializzate per
l’addestramento militare». Nel medesimo biennio sono stati consegnati alle
reali forze armate saudite sistemi e materiali militari per oltre 478 milioni
di euro.
Anche le dettagliate tabelle
compilate dal ministero degli Esteri allegate alla relazione governativa che
riportano tutte le singole autorizzazioni rilasciate alle aziende produttrici
mancano di un dato fondamentale: il paese destinatario. Si può cioè sapere, ad
esempio, che nel 2015 alla Rwm Italia sono state rilasciate 24 autorizzazioni
per un valore complessivo di oltre 28 milioni di euro, ma non si possono sapere
i paesi destinatari.
E si può sapere che, sempre nel
2015, alla RWM Italia è stata concessa la licenza ad esportare 250 bombe inerti
MK82 da 500 libbre insieme ad altre 150 bombe inerti MK 84 per un valore
complessivo di oltre 3 milioni di euro, ma la tabella ministeriale non riporta
il paese acquirente, rendendo così impossibile il controllo parlamentare e dei
centri di ricerca. Informazioni che erano invece riportate fin dai tempi delle
prime relazioni inviate al parlamento dai governi Andreotti. E che, incrociando
le tabelle dei vari ministeri, si potevano evincere fino ai governi Berlusconi.
Ha un bel dire la ministra
Pinotti che la relazione governativa al parlamento consentirebbe «l’attività di
verifica e di controllo così come spetta al parlamento»: se non sa cosa di
preciso si esporta verso un paese, come fa il Parlamento a controllare?
Un dato però è certo: nel
biennio 2014-5 il governo Renzi ha autorizzato esportazioni verso l’Arabia
Saudita per un valore complessivo di quasi 419 milioni di euro: un chiaro
“salto di qualità” se si pensa che una decina di anni fa le autorizzazioni per
armamenti destinati alle forze militari saudite non superavano i dieci milioni
di euro.
Ma c’è un altro fatto certo.
Nei mesi tra ottobre e dicembre dello scorso anno dall’aeroporto civile di
Elmas a Cagliari sono partiti almeno quattro aerei Boeing 747 cargo della
compagnia azera Silk Way carichi di bombe prodotte nella fabbrica Rwm Italia di
Domusnovas in Sardegna: i cargo sono atterrati alla base della Royal Saudi Air
Force di Taif in Arabia Saudita. È proprio su queste spedizioni e su tutti i
sistemi militari che l’Italia sta inviando in Arabia Saudita che lo scorso
gennaio la Rete italiana per il disarmo ha presentato un esposto in varie
Procure. Esposto sul quale in Viceprocuratore di Brescia, Fabio Salamone, ha
aperto un’inchiesta “verso ignoti” per presunte violazioni della legge sulle
esportazioni di materiali miliari. La Legge n. 185 del 9 luglio 1990 sancisce
che l’esportazione «di materiale di armamento nonché la cessione delle relative
licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa
dell’Italia» e che «tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i
principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali». La Legge vieta specificamente
l’esportazione di materiali di armamento «verso i Paesi in stato di conflitto
armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni
Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le
diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere
delle Camere», nonché «verso Paesi la cui politica contrasti con i principi
dell’articolo 11 della Costituzione».
Dal marzo del 2015, infatti,
l’Arabia Saudita si è posta a capo di una coalizione che, senza alcun mandato
internazionale, è intervenuta militarmente nel conflitto in corso in Yemen. La
risoluzione n. 2216 approvata il 14 aprile del 2015 dal Consiglio di sicurezza
dell’Onu non legittima, né condanna, l’intervento della coalizione a guida
saudita: solo «prende atto» della richiesta del presidente dello Yemen agli
Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo di «intervenire con tutti i mezzi
necessari, compreso quello militare, per proteggere lo Yemen e la sua
popolazione dall’aggressione degli Houti».
Cosa sia successo da quel
momento è sotto gli occhi di tutti: ad oggi sono almeno 4.125 i civili uccisi e
oltre 7.200 i feriti. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha
ripetutamente condannato i raid aerei sauditi che hanno colpito centri abitati,
scuole, mercati e strutture ospedaliere, come quelle di Medici senza Frontiere:
un terzo dei loro raid ha fatto centro proprio su obiettivi civili. «Effetti
collaterali», hanno commentato i sauditi.
Lo scorso agosto, l’Alto
commissario per i diritti umani, il principe Zeid bin Ra’ad Al Hussein ha
chiesto di avviare un’inchiesta indipendente e imparziale sulle violazioni del
diritto umanitario perpetrare da tutte le parti attive nel conflitto in Yemen.
La richiesta era sostenuta dai paesi dell’Unione europea, tra cui l’Italia, ma
poi è stata ritirata dall’Ue senza alcuna motivazione. A seguito delle
pressioni saudite la proposta è stata accantonata e pertanto si continuerà con
l’inchiesta da parte delle autorità yemenite.
A fronte della catastrofe
umanitaria che sta subendo la popolazione yemenita, già lo scorso febbraio il
Parlamento europeo ha votato ad ampia maggioranza una risoluzione con cui ha
chiesto all’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica
di sicurezza e Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, di
«avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’Unione europea
e di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita», alla luce delle
gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate
dall’Arabia Saudita nello Yemen. Risoluzione che la ministra Pinotti non ha
menzionato nel suo intervento in Parlamento. Forse anche perché finora è
rimasta inattuata.
Sono continuate invece le
esportazioni di armamenti dei paesi europei e gli affari militari con le
monarchie del Golfo. Per combattere l’Isis, viene detto; che però approfittando
del conflitto ha guadagnato terreno anche in Yemen.
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