un libro divertente e paradossale (?), con un buon ritmo
e molti colpi di scena.
Quim Monzó sa catturare e poi intrattenere chi
legge.
non un capolavoro, certo, ma non dispiace - franz
una bella intervista a Quim Monzò sulla traduzione:
intervista a Quim Monzò
una bella intervista a Quim Monzò sulla traduzione:
intervista a Quim Monzò
(a cura di Gina Maneri)
Noto scrittore tradotto in tutto il
mondo, giornalista, sceneggiatore, conduttore di programmi radiofonici, Quim
Monzó (Barcellona, 1952) è stato anche traduttore.
Lo abbiamo incontrato nel suo studio di
Barcellona lo scorso febbraio per fare una chiacchierata proprio sulla
traduzione.
Quim, oltre a tutti i libri che hai
scritto ne hai anche tradotti diversi. A proposito, quanti?
Non lo so, ora non me lo ricordo. La mia
esperienza come traduttore si limita agli anni ‘80. Poi, a partire dagli anni
’90, ho fatto solo qualcosa per il teatro, perché mi divertiva. Negli anni ’80
vivevo a New York e in quella città ho tradotto Frankenstein di
Mary Shelley e Jude l’oscuro di Thomas Hardy: un libro
deprimente, per poco mi taglio le vene, un romanzo con un ragazzo che fa il
muratore e vorrebbe studiare. Una volta tornato a Barcellona ho tradotto cose
di Hemingway, Salinger, Truman Capote…
Come hai cominciato?
A tradurre? Non so… con molta faccia
tosta, a tradimento. La mia padronanza delle lingue non è che sia poi eccellente…
Ho smesso di tradurre regolarmente negli anni ’90, perché è un lavoro pagato
malissimo, qui in Spagna almeno è un’ingiustizia, non so come sia nel resto
d’Europa…
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