Qualche Cassandra ricorda che scuola e
armi non possono stare insieme, mai.
ecco qualche articolo interessante,
sui signori della guerra che dicono, giocando e scherzando: “lasciate che i
bambini vengano a me”.
Gita in caserma, i bambini
giocano a sparare. La protesta di un papà – Silvia Manzani
“Ma cosa vuoi che sia”, “alla fine i
bambini si sono divertiti”. Franco Ferrario se li
ricorda ancora i commenti dei genitori dei compagni di scuola di suo figlio. E
ancora oggi si sente criticare per aver voluto gettare fango
sull’istituto, mettendo in difficoltà anche il suo bambino. Lui, però, resta
convinto che la gita che durante lo scorso anno scolastico ha portato gli
alunni dalla prima alla quinta della primaria di Rocca San Casciano alla Caserma “De Gennaro” di Forlì sia
un non senso: diseducativa e fuori luogo.
E per questo ha lanciato una petizione
on-line per chiedere ai ministeri della Difesa e dell’Istruzione che nella
scuola vengano promossi percorsi didattici di educazione alla pace e
di risoluzione non violenta dei conflitti e sia condannata ogni iniziativa che coinvolga i
bambini nell’uso delle armi. Quest’ultimo, infatti, è il
motivo che ha fatto più arrabbiare Ferrario: “Quando ho saputo che i compagni
di mio figlio, che l’anno scorso frequentava la quarta, sarebbero andati a
visitare la caserma, ho deciso di tenerlo a casa. Ma la mia opposizione sarebbe
finita lì se non avessi scoperto, una volta fatta la gita, che agli alunni sono
state messe in mano delle armi a pallini per cimentarsi in una sorta di tiro al
bersaglio”.
Il papà ha chiesto spiegazioni alla
dirigenza della scuola, anche grazie al consiglio d’istituto nel quale è stato
eletto. E ha scoperto che nemmeno gli insegnanti sapevano che i bambini
avrebbero giocato a sparare: “La gita è stata offerta da un militare che vive
in zona e la scuola, per non opporsi, ha semplicemente aderito. Non ho nulla
contro il fatto che i bambini, tra di loro, giochino alla guerra. Ma che
vengano condotti appositamente in una caserma e che chi fa la guerra di
mestiere metta loro tra le mani un’arma è quanto di più anti-pedagogico ci
sia”. Per Ferrario la scuola avrebbe potuto cogliere l’occasione dell’invito in
caserma per rifiutare e discutere in classe di soldi pubblici e tasse: “I soldi
per le attività dell’esercito li paghiamo noi genitori attraverso le tasse:
questo si sarebbe potuto raccontare ai bambini. Invece si è posto l’accento sul
fatto che la gita fosse gratis e non ci si è preoccupati minimamente del
contenuto della visita”.
Il caso è diventato oggetto di
un’interrogazione parlamentare del deputato Sel Giovanni Paglia. Alla quale il
ministro della Difesa Roberta Pinotti ha replicato con parole che non sono
affatto piaciute al papà di Rocca San Casciano: “La risposta è stata che i
genitori erano stati messi al corrente di ciò che i bambini sarebbero andati a
fare in caserma. Cosa assolutamente non vera. Che lascia ancora di più l’amaro
in bocca”.
Qui il link alla
petizione
Ma che ‘Bellica Scuola’ –
Ermete Ferraro
In questi ultimi anni abbiamo sentito
parlare continuamente della “Buona Scuola”, l’autocelebrativa
etichetta che il governo Renzi ha voluto apporre sulla sua riforma
dell’istruzione in Italia. Ovviamente non tutti fra i docenti e gli stessi
dirigenti scolastici hanno condiviso questa enfatica definizione e,
soprattutto, una volta passata la sbronza delle slide e della propaganda, tale ‘rivoluzione’ educativa sta ormai
mostrando i propri limiti. A cambiare la scuola italiana ci
avevano già provato in tanti, con risultati generalmente poco apprezzabili, ma
è evidente che l’attuale Premier ha voluto imprimere
un’impronta più decisa e decisionista sulla sua riforma, utilizzando
l’aggettivo “buona” come segnale d’un
cambiamento epocale. In proposito, infatti, le frasi retoriche si sprecavano, a
partire dall’introduzione al documento [i] , dove si
parlava di: “soluzione strutturale alla disoccupazione”;
“meccanismo permanente d’innovazione, sviluppo e qualità della democrazia”;
“investimento di tutto il paese su se stesso”; “Un Paese intero… deciso a
mettersi in cammino”. La proposta proseguiva con altre affermazioni
fiere e combattive, tipo: “Il rischio più grande, oggi, è continuare a
pensare in piccolo, a restare sui sentieri battuti degli ultimi decenni”; “Ci
serve il coraggio di ripensare come motivare e rendere orgogliosi coloro che,
ogni giorno, dentro una scuola, aiutano i nostri ragazzi a crescere”; “Siamo
pronti a scommettere su di voi. A farvi entrare nella partita a pieno titolo, e
a farvi entrare subito. Ma a un patto: che da domani ci aiutiate a trasformare
la scuola, con coraggio. Insieme alle famiglie, insieme ai ragazzi, insieme ai
colleghi e ai dirigenti scolastici”; “Possibilità di schierare la “squadra” con
cui giocare la partita dell’istruzione”. Si avverte in
sottofondo una tonalità del linguaggio impostata alla sfida, che adopera parole
come “coraggio” e “scommessa” per lanciare un
appello ad una “trasformazione” che richiede un ‘gioco di squadra’, lasciando
intendere fra le righe che forze oscure, retrograde e conservatrici congiurino
invece per lasciare la scuola così com’è.
La riforma renziana, insomma, si è posta
come una mobilitazione generale per fare della scuola “l’avanguardia, non la retrovia del Paese”, sostenendo che essa “deve diventare poi la vera risposta
strutturale alla disoccupazione giovanile, e l’avamposto del rilancio del Made
in Italy.” Avanguardia, retrovia, avamposto: un orecchio
attento non può fare a meno di cogliere dietro tali parole il tono vagamente
marziale di chi ha inteso lanciare una vera e propria
‘campagna’ contro immobilismo e burocrazia, facendo della scuola il terreno
d’un cambiamento epocale. A distanza di due anni, però, di questa sedicente
rivoluzione educativa non sembra sia rimasto molto. L’enfasi sulla ‘autonomia’ scolastica, semmai, si
è paradossalmente trasformata in un ulteriore stimolo al conformismo ed
all’appiattimento della didattica, grazie ad un’omologazione delle priorità
formative, ad esempio attraverso la pedissequa adesione a format educativi
d’importazione. Penso, ad esempio, alla stucchevole retorica sulla “scuola digitale” – sulla quale mi sono soffermato in un
precedente articolo [ii] – ma anche
all’insistenza su concetti come qualità, valutazione e merito, cui finora non mi
pare che sia corrisposto altro che un indecoroso inseguimento delle direttive
di vertice, aumentando il già fin troppo ampio progettificio scolastico anziché
qualificare la didattica curricolare e valorizzare l’impegno ordinario dei
docenti. Penso anche alla speciosa retorica sull’aggiornamento degli insegnanti
– chiamato pomposamente ‘formazione continua obbligatoria’ – puntando ancora una volta sulla parola
magica ‘innovazione’, resa sinonimo delle
c.d. “nuove alfabetizzazioni”, sintetizzabili
in una dose massiccia di impronunciabili “competenze digitali”, nell’impulso allo studio dei principi
dell’economia nelle scuole secondarie ed in un’ulteriore enfasi
sull’apprendimento delle lingue straniere (leggi: inglese). [iii] In filigrana, dalla epocale riforma
renziana sembrerebbe dunque affiorare più che altro l’immagine di una
scuola-azienda, resa sempre più conforme ad un ben preciso modello di sviluppo
e di cambiamento sociale ed alla cultura dominante, fondata sulla legge del
mercato, sulla globalizzazione e su pericolose ‘monoculture della mente’.
2. “E ritornammo a riveder…le
stellette”
Va anche considerato un altro insidioso
aspetto – meno affrontato e discusso – della “buona scuola” propugnata
dall’attuale governo: l’introduzione nel percorso educativo del
modello militare. In effetti non è una caratterizzazione del
tutto nuova, visto che anche esecutivi precedenti hanno cercato d’inserire, più
o meno surrettiziamente, la ‘cultura’ militare all’interno della
programmazione didattica. Fatto sta che nel 2014 questo
processo è culminato nel Protocollo d’Intesa sottoscritto da MIUR e Min.
Difesa, nel quale si sancisce il discutibile principio secondo il quale nella
scuola c’è bisogno di attivare:
“…un focus sulla funzione
centrale che Ia ‘Cultura della Difesa’ ha svolto, e continua a svolgere, a favore della crescita
sociale, politica, economica e democratica del Paese”, per cui si propone
la: “…ricerca [di] soluzioni comunicative interattive espressamente
rivolte alle nuove generazioni, per affermare Ia conoscenza e il ruolo della Difesa al
servizio della collettivitàe
divulgare le opportunità professionali e di studio riservate alle fasce
giovanili di riferimento ” [iv].
Questa rinnovata intesa tra “libro e moschetto” – paradossalmente presentata come attuazione dei
nostri principi costituzionali e di quelli ispiratori dell’ONU – ha così
ufficializzato una collaborazione ‘formativa’ interministeriale, sulle cui
reali motivazioni mi sembra giusto ed opportuno interrogarsi.
«Lezioni di Costituzione
affidate a generali e ammiragli,
concorsi spaziali con tanto di premi offerti dalle aziende produttrici di
sistemi di morte, seminari e conferenze sulle missioni “umanitarie” delle forze
armate italiane in Afghanistan, Iraq, Somalia, Libano e nei Balcani. La buona scuola dell’era Renzi
sarà sempre più militare e militarizzata, riserva di caccia del complesso militare-industriale-finanziario
e megafono dei pedagogisti-strateghi della guerra globale. Dopo il Protocollo
d’Intesa sottoscritto nel settembre 2014 dalle ministre Stefania Giannini e
Roberta Pinotti, il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
scientifica (MIUR) e quello della Difesa varano una serie di iniziative
“didattiche e formative” per gli studenti delle istituzioni scolastiche di ogni
ordine e grado, statali e paritarie, con lo scopo di “favorire
l’approfondimento della Costituzione italiana e dei principi della
Dichiarazione universale dei diritti umani per educare gli alunni all’esercizio
della democrazia e favorire l’acquisizione delle conoscenze e lo sviluppo delle
competenze relative per l’esercizio di una cittadinanza attiva a tutti i
livelli del sistema sociale ». [v]
In una recente circolare del MIUR si
rilanciano infatti le iniziative sponsorizzate dal Ministero della Difesa,
consigliando alle istituzioni scolastiche di:
“trarre stimoli e risorse utili
per la loro progettazione didattica. Questi progetti ci permettono di costruire
relazioni positive con i ragazzi […] contribuendo ad arricchirne la
crescita personale e a far conoscere loro l’importanza della memoria storica”. [vi]
Di cosa si tratta? Basta consultare
l’apposita sezione del sito del MIUR [vii], come consiglia la
circolare, per prendere conoscenza di concorsi e conferenze che fanno parte di
questo ‘pacchetto’ grigio-verde. Si va dalla classica proposta
pseudo-storica su “Caporetto: oltre la sconfitta” a
quella meno spiegabile sullo “Articolo 9 della Costituzione” dedicato
allo “sviluppo della cultura e la ricerca
scientifica e tecnica” e alla “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e
artistico della Nazione.” Si lanciano poi conferenze nelle scuole –
svolte da personale militare affiancato da non meglio identificati
‘testimonial’ – sulla Costituzione e la cittadinanza attiva, precisando poi:
“con particolare attenzione al
ruolo che le Forze Armate svolgono al servizio della crescita sociale,
politica, economica e democratica del Paese. Quest’anno il focus sarà sulla Grande Guerra e sull’anniversario
della sconfitta di Caporetto, con particolare riguardo all’attività sportiva
militare e al settore paralimpico.” .
I nostri beneamati formatori militari,
però, non rinunciano ad avventurarsi in altri campi, non proprio di loro
competenza, come quello dell’educazione stradale (“La buona strada della sicurezza”) e
perfino in quello aero-spaziale, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale
Italiana (“Scuola: spazio al tuo futuro”).
Insomma, le martellante proposta inter-ministeriale – megafonata
attraverso i vari Uffici Scolastici Regionali alle singole scuole presenti nei
rispettivi territori – ufficializza de facto una nuova figura,
quella del militare-formatore, che dovrebbe venire a darci lezioni di storia
contemporanea, ad esaltare i valori costituzionali, a richiamarci al rispetto
del codice della strada e perfino a farci sognare avveniristiche esplorazioni
spaziali… E c’è perfino un divertente (si fa per dire) concorso in cui il
Ministero della Difesa esalta il ruolo delle Nazioni Unite nella salvaguardia
della pace nel mondo…
3. Pure questo ce lo chiede
l’Europa?
In effetti, leggendo il protocollo
stipulato da MIUR e MinDif non si ha la sensazione che si tratti di una campagna d’indottrinamento militare,
ma d’una normale collaborazione fra istituzioni nella formazione alla
cittadinanza civile dei nostri ragazzi. Bisogna allora cominciare a porsi
qualche domanda. Perché mai ad insegnare i principi-base della
Costituzione repubblicana dovrebbero essere proprio dei militari? Che
cavolo c’entra il Ministero della Difesa con l’educazione stradale? Per quale
strano motivo a sensibilizzare gli studenti alla tutela del patrimonio
paesaggistico, storico ed artistico sono reclutati degli istruttori con le
stellette? Siamo sicuri che i nostri militari non abbiano niente di meglio da
fare che giri di ‘conferenze’ sul rispetto dei limiti di velocità e
dell’ambiente naturale del nostro Paese? Ovviamente si tratta solo di
dare una legittimazione ufficiale, di facciata, ad
un’operazione propagandistica molto più subdola e pericolosa, che da anni ospita le ‘mimetiche’ dentro le scuole e le scuole
dentro caserme, basi militari e industrie belliche.
«Un tassello importante di
questa campagna per la creazione di consenso verso l’apparato militare è la
scuola. La ‘buona scuola’ non ha solo ‘riformato’ la scuola in senso
ancora più autoritario e repressivo […] Essa sta via via trasformando la scuola
nella fabbrica del consenso alla politica di aggressione dell’Italia nel bacino
privilegiato in cui attingere le indispensabili nuove e professionali leve per
la struttura militare sempre più impegnata sui fronti di guerra. […] Con il
Protocollo d’Intesa del settembre 2014 tra le ministre Stefania Giannini e
Roberta Pinotti e la circolare del 15 dicembre 2015, sono state avviate
iniziative “didattiche e formative” per “diffondere la cultura della Difesa” e
sponsorizzare il “ruolo delle Forze Armate italiane in missioni di pace nelle
aree di crisi, nella promozione e salvaguardia della stabilità e della pacifica
convivenza internazionale” tra gli studenti di ogni ordine e grado, statali e
paritarie. […] Secondo i dati forniti dal ministero della Difesa, sino all’inizio
di quest’anno sono stati realizzati negli istituti italiani oltre 3.100
dibattiti con la partecipazione di circa 254.000 studenti. Nel frattempo si
sono moltiplicate in tutta Italia le visite guidate di intere scolaresche a
caserme, aeroporti e porti militari, installazioni radar, poligoni e industrie
belliche, durante le quali gli studenti (persino bambini dell’elementari come
accaduto nella caserma De Gennaro di Forlì) possono provare “l’entusiamante”
esperienza di sparare con un fucile o effettuare un’attività di
familiarizzazione al volo su velivoli come l’Atlantic del 41° Stormo di
Sigonella». [viii]
Più che alla ‘buona scuola’ si direbbe che
siamo di fronte ad una ‘bellica scuola’, che
coglie ogni occasione (anche la più contraddittoria come quella della
promozione della pace nel mondo o del rispetto dei valori dell’unica repubblica
che ‘ripudia la guerra’ …) per
far irrompere le ‘teste di cuoio’ della Difesa
all’interno non solo dei nostri istituti secondari, ma perfino fra le
scolaresche delle classi elementari. Non si tratta certamente delle campagne
militariste svolte nelle scuole statunitensi dall’onnipotente Pentagono – che
fra l’altro che gestisce anche numerose scuole proprie, rivolte ai figli dei
propri ‘dipendenti’ all’estero [ix] . Fortunatamente
non si tratta neanche del programma di istruzione stile militare promossa dal
governo britannico, improntato al principio che la disciplina da caserma faccia
particolarmente bene agli scolari del Regno Unito.
« Resistenza alla fatica, capacità
di reagire alle difficoltà, gestione dello stress. Tre requisiti fondamentali
per ogni soldato che voglia sopravvivere, ma forse anche tre elementi
essenziali per ogni bambino destinato ad affrontare le sfide della crescita e
dell’età adulta. Tanto che in Gran Bretagna il governo ha deciso di
assegnare a programmi di stile militare un terzo dei fondi stanziati
all’interno del piano nazionale promosso a favore del rafforzamento del
carattere degli studenti. Per il nuovo anno saranno due milioni di sterline su
sei, destinati a rendere realtà progetti che dovrebbero sviluppare nei giovani
resilienza, ordine, disciplina e capacità di lavorare in gruppo negli alunni
tra i 6 e i 18 anni. […] Come quello chiamato Commando Joe, promosso
da ex militari, che vanno nelle scuole determinati ad «inquadrare» i bambini e
i ragazzi, in modo da prepararli ad un futuro di efficienza. Durante le lezioni
i docenti, che arrivano in classe in tuta mimetica, invitano i ragazzi a
condividere scelte strategiche, li sottopongono ad allenamenti fisici tra corsa
e flessioni, li invitano a smussare le tensioni in modo da ritrovare uno
spirito di gruppo. Nelle scuole che hanno abbracciato questa filosofia
militaresca sono stati raggiunti risultati interessanti, tanto che appunto il ministero
per i bambini e le famiglie, guidato da Edward Timpson, ha deciso di assegnare
un terzo dei fondi a sua disposizioni alle proposte che ricordano l’approccio
della Raf e dei soldati al fronte. Anche se qualche voce si oppone a questa
tendenza….» [x]
Niente a che fare, per fortuna, con
l’addestramento vistosamente paramilitare promosso nelle scuole della
Federazione Russa dal premier Putin, come apprendiamo da una corrispondente del
TIME che:
«…ha trovato una classe
di studenti – alcuni undicenni – che imparavano ad assemblare e caricare fucili
d’assalto Kalashnikov. Fuori, nel cortile scolastico, una lezione sulla
sicurezza si focalizzava sull’uso idoneo delle tute contro i rischi biologici,
in caso di disastro nucleare o chimico […] Vladimir Putin ha
recentemente fatto di questo curriculum una norma per l’intera nazione,
offrendo agli adolescenti una gamma d’istruzione in ideologia, religione e preparazione
alla guerra» [xi]
4. Difendere le scuole…dalla
Difesa
Niente del genere, almeno fino ad ora…
Quel che è certo, comunque, è che la nuova ondata di educazione in stile “Libro e moschetto” (o, se
preferite, “E-book e Kalashnikov”…) sta
rapidamente diffondendosi nelle altre istituzioni educative europee. In
Francia, ad esempio, il Ministero dell’Educazione Nazionale,
dell’Insegnamento Superiore e della Ricerca ha avviato
da tempo programmi di esplicita “educazione alla difesa”, a
partire dal protocollo Educazione-Difesa siglato nel 2007.
«La cultura della difesa e
della sicurezza nazionale è inserita nel fondamento comune delle conoscenze e
delle competenze che gli allievi devono conseguire nel loro percorso
nella scuola primaria ed in quella secondaria di primo e secondo grado […]
L’insegnamento della difesa e della sicurezza nazionale si articola intorno a
diverse questioni trasversali: la difesa militare, la difesa globale, i rischi
e le nuove minacce, i progressi della difesa europea, la sicurezza nazionale.
Non si tratta di una disciplina a sé stante. Essa è inserita nei programmi di
più insegnamenti: educazione morale e civica, storia, geografia ecc.» [xii]
In Italia i nostri governanti l’hanno
presa più alla lontana, ma l’indirizzo sembra sempre lo stesso: introdurre
l’educazione alla difesa nel curricolo scolastico, affiancandola a discipline –
come la storia o l’educazione alla convivenza civile – che , se ben svolte,
dovrebbero viceversa costituire il miglior antidoto ad ogni forma di
militarismo e bellicismo. Ecco perché da un’organizzazione pacifista di matrice
cattolica come Pax Christi, già da alcuni
anni è stato lanciato un programma di ‘smilitarizzazione delle scuole’, i
cui principi sono esplicitati nel Manifesto dal significativo titolo “La Scuola ripudia la guerra”. In
basa a questo documento, le scuole che lo hanno sottoscritto e che lo
sottoscriveranno, s’impegnano a:
« 1. Rafforzare l’impegno
nell’educazione alla pace e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti; 2.
Sottolineare e valorizzare l’educazione alla pace tra le finalità educative dei
POF, nelle discipline educative e didattiche e nella programmazione. 3.
Proporre uno spazio di confronto tra docenti per evidenziare l’incidenza
dell’educazione alla pace nella formazione degli studenti; 4. Prevedere un intervento
educativo per gli studenti al fine di rendere più esplicita la scelta di non
educare alla violenza e alla guerra; 5. Escludere dalle propria proposta
formativa le attività proposte dalle Forze Armate, in contrasto con gli
orientamenti fondamentali educativi e didattici della scuola; 6. Non esporre
manifesti pubblicitari delle FFAA né accogliere iniziative finalizzate a
propagandare l’arruolamento e a far sperimentare la vita militare. 7. Non
organizzare visite che comportino l’accesso degli alunni a caserme, poligoni di
tiro, portaerei e ogni altra struttura riferibile all’attività di guerra, anche
nei casi in cui questa attività venga presentata con l’ambigua espressione di
“missione di pace”. 8. Non accogliere progetti in partenariato con strutture militari
o aziende coinvolte nella produzione di materiali bellici. 9. Prevedere la
possibilità di arricchire la biblioteca di nuovi strumenti didattici per
l’educazione alla pace e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti. 10.
Affiggere all’ingresso dell’Istituto il logo della campagna, affinché sia
pubblicamente manifesta la scelta di lavorare in una scuola che educa alla
nonviolenza e non alla guerra.» [xiii]
Ebbene sì: dobbiamo difendere il sistema
scolastico italiano dall’ingerenza di un sistema militare-industriale che è lo
stesso che alimenta la “guerra mondiale a pezzi” denunciata
dal Papa e che minaccia la stessa convivenza civile e democratica. Ci siamo
purtroppo già abituanti ai soldati in mimetica e mitra fuori ai tribunali ed
alle autoblindo nelle piazze, come ho denunciato nel precedente articolo “Cittadini sotto assedio”.[xiv]. Il rischio è che ora ci abituiamo passivamente
anche alla presenza di militari in uniforme nelle scuole ed a bambini in
grembiule nelle caserme. E’ arrivato il momento di reagire e di contrapporre
valori alternativi e programmi di educazione alla pace e per la pace. [xv]
La Buona Scuola prepara i
giovani alla guerra – Rete campana contro la guerra ed il militarismo
…A dispetto, quindi, della propaganda
renziana sulla cooperazione civile e la “inclusione attraverso la cultura”, l’Italia, con i suoi oltre 7000
militari impegnati nelle missioni internazionali, è oggi uno dei Paesi al mondo
più attivi sul fronte della guerra e della militarizzazione. La presenza delle
forze armate italiane negli scenari più sensibili degli approvvigionamenti
strategici e delle risorse energetiche mostra chiaramente il carattere
imperialistico di questa proiezione internazionale, che nulla ha di difensivo
né, tanto meno, di “umanitario”.
L’utilizzo strumentale della lotta al terrorismo, la paura diffusa a
piene mani nei confronti del “pericolo islamico”, le campagne razziste e
xenofobe contro gli immigrati, sono parte della macchina di propaganda
finalizzata ad ottenere il consenso a questa politica di aggressione ed al
militarismo crescente e ad arginare e criminalizzare qualsiasi opposizione.
Un tassello importante di questa campagna per la creazione di consenso verso l’apparato militare è la scuola.
La “buona scuola” non ha solo “riformato” la scuola in senso ancora più autoritario e repressivo; non è solamente lo strumento con cui si è imposto il peggioramento delle condizioni di lavoro dei docenti e degli altri lavoratori dell’istruzione; non è soltanto il processo di definitivo asservimento alle esigenze delle imprese grazie all’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro. Essa sta via via trasformando la scuola nella fabbrica del consenso alla politica di aggressione dell’Italia e nel bacino privilegiato in cui attingere le indispensabili nuove e professionali leve per la struttura militare sempre più impegnata sui fronti di guerra.
Quindi, mentre da un lato, con l’alternanza scuola-lavoro, spacciata come esperienza formativa, si obbligano i giovani al lavoro gratuito “educandoli” e preparandoli da subito alla piena accettazione di un futuro fatto di precarietà e bassi salari, dall’altro con incontri e conferenze con membri dell’esercito, stage e concorsi in collaborazione con le forze armate e le industrie belliche, si inducono i giovani a guardare all’esercito come un posto e un reddito sicuro, come il portatore di civiltà e democrazia nel mondo ed alla guerra come male necessario.
Con il Protocollo d’Intesa del settembre 2014 tra le ministre Stefania Giannini e Roberta Pinotti e la circolare del 15 dicembre 2015, sono state avviate iniziative “didattiche e formative” per “diffondere la cultura della Difesa” e sponsorizzare il “ruolo delle Forze Armate italiane in missioni di pace nelle aree di crisi, nella promozione e salvaguardia della stabilità e della pacifica convivenza internazionale” tra gli studenti di ogni ordine e grado, statali e paritarie. Che si tratti di legalità o di sicurezza stradale, del centenario della Prima guerra mondiale o del 70° anno dalla costituzione dell’ONU, di bullismo e cyberbullismo, ad entrare nelle scuole sono ormai solo gli “esperti” con le stellette. Gli stage e la stessa alternanza scuola-lavoro vengono indirizzati presso i colossi militari-industriali che realizzano bombardieri, elicotteri, missili e i mille altri sistemi di distruzione e di morte.
Secondo i dati forniti dal ministero della Difesa, sino all’inizio di quest’anno sono stati realizzati negli istituti italiani oltre 3.100 dibattiti con la partecipazione di circa 254.000 studenti. Nel frattempo si sono moltiplicate in tutta Italia le visite guidate di intere scolaresche a caserme, aeroporti e porti militari, installazioni radar, poligoni e industrie belliche, durante le quali gli studenti (persino bambini dell’elementari come accaduto nella caserma De Gennaro di Forlì) possono provare “l’entusiamante” esperienza di sparare con un fucile o effettuare un’attività di familiarizzazione al volo su velivoli come l’Atlantic del 41° Stormo di Sigonella.
Ai musei, alle gallerie come ai siti archeologici o ai parchi, i presidi, tutori dell’ordine della buona scuola, preferiscono questi luoghi di sopraffazione contribuendo di fatto a promuovere le forze armate ed il loro operato. Una cosa che ci riguarda direttamente visto che la base NATO di Lago Patria, uno dei principali centri di comando delle operazioni belliche passate e presenti, è ormai un luogo di pellegrinaggio per tante scuole campane. Solo tra febbraio e aprile di quest’anno, secondo lo stesso Allied Joint Force Command Naples, sono stati 510 gli studenti che l’hanno visitata insieme a decine di insegnanti. La buona scuola di Renzi è, quindi, lo strumento di rafforzamento delle logiche di guerra e degli interessi politico-militari dell’Italia. Con il crescere delle tensioni internazionali e dell’impegno dell’esercito italiano nelle missioni di guerra anche la scuola sarà sempre più militare e militarizzata…
Un tassello importante di questa campagna per la creazione di consenso verso l’apparato militare è la scuola.
La “buona scuola” non ha solo “riformato” la scuola in senso ancora più autoritario e repressivo; non è solamente lo strumento con cui si è imposto il peggioramento delle condizioni di lavoro dei docenti e degli altri lavoratori dell’istruzione; non è soltanto il processo di definitivo asservimento alle esigenze delle imprese grazie all’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro. Essa sta via via trasformando la scuola nella fabbrica del consenso alla politica di aggressione dell’Italia e nel bacino privilegiato in cui attingere le indispensabili nuove e professionali leve per la struttura militare sempre più impegnata sui fronti di guerra.
Quindi, mentre da un lato, con l’alternanza scuola-lavoro, spacciata come esperienza formativa, si obbligano i giovani al lavoro gratuito “educandoli” e preparandoli da subito alla piena accettazione di un futuro fatto di precarietà e bassi salari, dall’altro con incontri e conferenze con membri dell’esercito, stage e concorsi in collaborazione con le forze armate e le industrie belliche, si inducono i giovani a guardare all’esercito come un posto e un reddito sicuro, come il portatore di civiltà e democrazia nel mondo ed alla guerra come male necessario.
Con il Protocollo d’Intesa del settembre 2014 tra le ministre Stefania Giannini e Roberta Pinotti e la circolare del 15 dicembre 2015, sono state avviate iniziative “didattiche e formative” per “diffondere la cultura della Difesa” e sponsorizzare il “ruolo delle Forze Armate italiane in missioni di pace nelle aree di crisi, nella promozione e salvaguardia della stabilità e della pacifica convivenza internazionale” tra gli studenti di ogni ordine e grado, statali e paritarie. Che si tratti di legalità o di sicurezza stradale, del centenario della Prima guerra mondiale o del 70° anno dalla costituzione dell’ONU, di bullismo e cyberbullismo, ad entrare nelle scuole sono ormai solo gli “esperti” con le stellette. Gli stage e la stessa alternanza scuola-lavoro vengono indirizzati presso i colossi militari-industriali che realizzano bombardieri, elicotteri, missili e i mille altri sistemi di distruzione e di morte.
Secondo i dati forniti dal ministero della Difesa, sino all’inizio di quest’anno sono stati realizzati negli istituti italiani oltre 3.100 dibattiti con la partecipazione di circa 254.000 studenti. Nel frattempo si sono moltiplicate in tutta Italia le visite guidate di intere scolaresche a caserme, aeroporti e porti militari, installazioni radar, poligoni e industrie belliche, durante le quali gli studenti (persino bambini dell’elementari come accaduto nella caserma De Gennaro di Forlì) possono provare “l’entusiamante” esperienza di sparare con un fucile o effettuare un’attività di familiarizzazione al volo su velivoli come l’Atlantic del 41° Stormo di Sigonella.
Ai musei, alle gallerie come ai siti archeologici o ai parchi, i presidi, tutori dell’ordine della buona scuola, preferiscono questi luoghi di sopraffazione contribuendo di fatto a promuovere le forze armate ed il loro operato. Una cosa che ci riguarda direttamente visto che la base NATO di Lago Patria, uno dei principali centri di comando delle operazioni belliche passate e presenti, è ormai un luogo di pellegrinaggio per tante scuole campane. Solo tra febbraio e aprile di quest’anno, secondo lo stesso Allied Joint Force Command Naples, sono stati 510 gli studenti che l’hanno visitata insieme a decine di insegnanti. La buona scuola di Renzi è, quindi, lo strumento di rafforzamento delle logiche di guerra e degli interessi politico-militari dell’Italia. Con il crescere delle tensioni internazionali e dell’impegno dell’esercito italiano nelle missioni di guerra anche la scuola sarà sempre più militare e militarizzata…
Nessun commento:
Posta un commento