Ho scritto ieri sui social, quasi a
caldo, che dopo l'arresto di Raffaele Marra la sindaca di Roma avrebbe dovuto
dimettersi.
Non perché Marra è di sicuro colpevole dei reati di cui è
indagato - ci sono i processi, e siamo tutti innocenti fino alla Cassazione etc
- ma perché il personaggio a cui aveva dato tanto potere nel governo della
città era del tutto incompatibile con i principi di trasparenza e di alterità
rispetto alle relazioni clientelari della vecchia politica.
Stiamo parlando - questo è indubbio e al netto delle
imputazioni - di un signore legatissimo all'«immobiliarista della casta»
Scarpellini (così veniva definito dal M5S, quando era all'opposizione), ma
anche vicino a Franco Panzironi, oggi sotto processo per Mafia Capitale, e a
Mauro Masi, quello della Rai berlusconiana che «neanche in Zimbabwe».
E che, per sua stessa ammissione, aveva cercato
di farsi assumere nei servizi segreti attraverso la raccomandazione di un
vescovo e di Gianni Alemanno. E che cosa c'entri tutto questo con l'etica quasi
palingenetica del Movimento - tanto più a Roma - dio solo lo sa.
Penso ancora di più che Raggi dovrebbe dimettersi dopo
aver visto la sua "conferenza stampa" (va tra virgolette, non avendo
lei consentito alcuna domanda) perché lì, semplicemente, ha mentito ai
cittadini, ai suoi elettori, agli attivisti del suo Movimento.
Lo ha fatto quando ha detto che Marra era solo uno dei 23
mila dipendenti del Comune di Roma.
Non è vero. Marra era il suo potente braccio destro in
Campidoglio. Era uno dei dei “quattro amici al bar”, come si chiamavano tra loro su WhatsApp - fino a ieri mattina
- Marra, la stessa Raggi, il segretario generale Salvatore Romeo e il
vicesindaco Daniele Frongia. Ed era questo il vertice politico e decisionale
della giunta, sempre fino ieri mattina.
Ecco, quella di Raggi, ieri, in conferenza stampa, è
stata una menzogna. E un politico che mente ai cittadini - su una casa come su
una laurea, tanto più sulla distribuzione dei poteri - perde legittimità, perde
il rapporto di fiducia.
Il 67 per cento dei romani (quorum ego) al secondo turno
delle elezioni amministrative, il 19 giugno scorso, ha chiesto a Raggi e al M5S
di far voltare pagina a una città di cui centrodestra e centrosinistra avevano
fatto per decenni carne di porco - a turno ma anche insieme.
È stata una rivolta civile e pacifica - nelle urne -
contro un ceto politico che al di là dei simboli di partito si era comportato
più o meno allo stesso modo, mettendo i propri interessi di potere e talvolta
economici davanti a quelli della città, della qualità della vita. È stato anche
un urlo - sempre pacifico, sempre declinato con una ics a matita sulla scheda -
contro la rete di relazioni di convenienze, di spartizioni, di dazioni e di
malaffare con cui centrodestra e centrosinistra avevano avvolto la città fino a
soffocarla.
Bene: oggi non credo che quel 67 per cento abbia la
sensazione che quella soffocante rete sia stata sollevata e buttata nel
cassonetto. Non credo che abbia la sensazione di respirare più profondamente e
aria più pulita.
Eppure questo respirare aria pulita era - è - la ragion
d'essere del voto del 19 giugno. Credo che sia anche la ragion d'essere del
Movimento 5 Stelle stesso.
Ci sono ottimi assessori nella giunta Raggi, lo so.
Qualcuno un po' ne conosco da prima, direttamente o no (Marzano, Berdini,
Bergamo) e sono stato felice per la loro nomina. È anche per loro, per fiducia
in loro, che avevo sperato in un colpo d'ala che sciogliesse la cappa del
gruppo WhatsApp di cui sopra prima di un evento deflagrante. Invece ci sono
volute le manette.
Le scuse non bastano, lo ha detto ieri anche qualche
esponente nazionale del M5S. Tanto più se accompagnate da un bugia. Le
dimissioni di Raggi non sarebbero un'ammissione che «erano meglio quelli di
prima», cioè Pd e centrodestra. Ma al contrario un segnale che come quelli di
prima non si è e non si vuole essere. Che si sia del M5S, di altre simpatie o
liberi da ogni affiliazione, ma comunque "persone verticali".
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