Sicuramente
ricorderete la vicenda di
Parma, su alcuni ragazzi accusati di stupro di gruppo
dentro uno spazio autogestito e “antifascista” ai danni di una ragazza che era
del tutto incosciente. Il processo che vede imputati i ragazzi scaturisce
dall’indagine su un video in cui si vede quello che era successo e che è
diventato prova per una accusa di stupro di gruppo. A margine della vicenda che
vede la ragazza abbastanza sola ad affrontare le udienze c’è l’indifferenza o,
peggio, la banalizzazione da parte di compagni e compagne che fanno muro a difesa
degli accusati invece che a difesa della “presunta” vittima. A rompere il
silenzio sono intervenute alcune realtà (Generiot, ArtLab Occupato,
Casa Cantoniera Autogestita, Rete Diritti in Casa, Parma
Antifascista).
Un’altra
realtà prende la parola oggi con questo comunicato [QUI il
pdf che eventualmente potete stampare e fare leggere nelle vostre realtà]
firmato come Romantic Punx assieme ad un gruppo di
Guerriere Sailors. Stanno raccogliendo adesioni e se avete voglia di
aderire potete scrivere all’indirizzo mail: romantikpunx@gmail.com
Un abbraccio
alla donna che sta affrontando un processo sulla propria pelle, in termini
giudiziari e sociali, fino all’ostracismo nei suoi confronti in sedi e ambienti
politici. Un abbraccio a chi riflette sul sessismo nei movimenti perché è
necessario guardarlo a fondo per combatterlo. Buona lettura!
>>>^^^<<<
Circa i fatti di Parma nella sede della RAF: come
riparare 4 crepe prima che qualcosa si rompa per sempre.
Nel
settembre del 2010 in via Testi a Parma un numero imprecisato di individui (da
4 a 6) ha preso parte attivamente e/o come spettatore ad uno stupro di
gruppo ai danni di una ragazza, che da poco aveva compiuto diciotto
anni.
La violenza
è avvenuta su un soggetto totalmente incosciente, condizione
che pare impossibile possa essere stata causata soltanto dal (poco) vino che
lei ricorda di aver bevuto. Al momento dello stupro era incapace di dare il suo
consenso o di opporre resistenza fisica o verbale. Lo sappiamo perché i
suoi stupratori hanno ripreso la scena con un cellulare. Quello che si vede
in quel video non lascia alcun dubbio in merito alla natura della violenza di
cui sono colpevoli. Colpa, già di per sé terribile, aggravata dalla volontà di
infierire attraverso la penetrazione coatta di un fumogeno.
Non avremmo
voluto entrare così nel dettaglio; questo elemento tuttavia è importante dal
momento che quell’oggetto, o meglio, la parola con cui viene identificato
–fumogeno-, nei mesi successivi allo stupro è diventato il
nomignolo dispregiativo con cui la vittima è stata chiamata. La ragazza
del fumogeno non poteva davvero immaginare che i fatti di quella
notte, mai denunciati per paura, vergogna o per incolmabile voglia di buttar
tutto alle spalle e dimenticare; fossero diventati un fenomeno “virale”.
Quel video è
stato visto da decine e decine di persone, guardato e riguardato fino a farlo
diventare il simbolo della loro prevaricazione e della sua
umiliazione, un osceno spettacolino di cui ridere o vantarsi.
E fin qui
tutto male. Anzi malissimo… Eppure il peggio deve ancora arrivare, perché in
via Testi a Parma non c’era un pub, una discoteca o un’abitazione privata e
neanche un bosco oscuro e minaccioso o un vicolo buio e degradato di un
quartiere pericoloso. In via Testi c’era un edificio come ce ne sono tanti nel
nostro Paese. Quei blocchi tutti uguali che si confondono uno con l’altro…
questo era diverso perché in quel blocco banale di cemento armato c’era
la sede della RAF (la Rete Antifascista di Parma) ed i soggetti
coinvolti in questa storia di orrore e violenza sono uomini e donne che
appartenevano o frequentavano la RAF.
E qui qualcosa
si rompe.
PRIMA CREPA
Siamo
convinti che il fascismo non sia un’esclusiva della Storia identificabile nel
ventennio del regime in Italia. Crediamo anche che i fascisti non siano
soltanto i nostalgici di quell’epoca, perché il fascismo non è solo un partito,
un regime del passato o una fazione politica a cui unirsi o contro cui lottare. Il
fascismo è prima di tutto un’attitudine, un modo di pensare, agire, lottare e
odiare. È fascista chiunque usi la propria forza per normalizzare e
uniformare le diversità e opprimere le minoranze. È fascista chiunque usi la
debolezza altrui per imporre con la violenza la propria volontà. È fascista chi
discrimina in base alla sessualità, il genere, il corpo, la spiritualità, la
religione, la specie o l’età.
Non possiamo
oggi parlare di antifascismo senza condannare ogni sessismo o specismo, perché
la lotta per la liberazione della donna e dell’uomo è una guerra per la libertà
in difesa degli oppressi, degli animali e della Terra. Una guerra contro la
disperazione, l’ignoranza e il potere che opprime.
Uno stupro è
sempre e comunque un atto fascista, anche se chi lo commette si dichiara
antifascista.
L’antifascismo
non è soltanto un coro da urlare in “curva” o una toppa da cucire sul bomber.
Essere antifascista è pensare e agire antifascista.
Chiunque
stupra è un fascista e noi lo combattiamo in quanto fascista e stupratore.
Chiunque
respira, si muove e parla dalla nostra parte della barricata, che si permette
di avere atteggiamenti fascisti verrà combattuto in quanto fascista e stupido
vacuo pezzo di merda.
E nei
giorni, settimane, mesi successivi alla violenza? La ragazza non
denuncia alla polizia, non parla con nessuno; il video continua a girare,
tutti lo guardano eppure nessuno VEDE la violenza. Gli uomini
attorno a quel tavolo sui cui giaceva inerme la ragazza continuano a
frequentare cortei, concerti, spazi occupati e autogestiti… E ridono, parlano,
bevono birre, escono con ragazze, stringono nuove amicizie; nonostante giri un
video in cui “fanno sesso” con una donna che sembra morta. Non pensano
sia sbagliato e nessuno glielo fa capire. La ragazza non ha chiari
ricordi, ma sa che quel gruppo di persone le ha fatto qualcosa di brutto,
qualcosa che ha percepito come una violenza,e vuole sapere il perché di quel
nome, vuole sapere perché i “compagni” di Parma (e non solo) la chiamano Fumogeno.
È un amico a dirglielo, un amico che le dice: «è per quel
video che gira, per quello che è successo quella notte…»
SECONDA
CREPA
Se una donna
o un uomo percepiscono un atteggiamento come fastidioso o violento è una
molestia.
Se una donna
o un uomo sono palesemente alterati perché sotto l’effetto di alcol o droghe
non possono dare un consenso. Senza consenso è stupro.
Può capitare
di sentirsi degradati o violati dopo un rapporto sessuale, anche se
inizialmente abbiamo dato il consenso. Non sapere cogliere o ignorare i segnali
del malessere altrui è violenza.
Se una donna
prova piacere durante un rapporto sessuale, lo esplicita. La totale passività a
volte è sintomo di un malessere che non riesce ad essere espresso. Il
silenzio non equivale ad un consenso. Senza consenso è stupro.
Riprendere
un rapporto sessuale senza consenso è violenza. Diffondere un video girato durante
un rapporto sessuale (e a maggior ragione uno stupro) senza il consenso dei
soggetti coinvolti è violenza.
E non
importa se in altre situazioni abbiamo dato il consenso per rapporti di natura
intima, sessuale o sentimentale. La violenza troppo spesso avviene all’interno
di mura: muri domestici, muri di relazione e muri di appartenenza ad un gruppo
sociale e ciò non la rende meno grave. Così come la moralità (intima e
politica) di una donna non deve costituire un attenuante al sopruso di un uomo. Se
non diamo il consenso e percepiamo una parola, un atteggiamento o un rapporto
come degradante o violento è stupro.
E questo
dovrebbe essere scontato per chi si dichiara antifascista e quindi
anti-sessista.
Chiunque non
comprenda questo e non distingua la differenza tra una donna che gode e gioca
ed una donna che subisce una violenza, verrà combattuto in quanto fascista, maschilista
e orribile vacuo pezzo di merda.
Lo stupro –
ridotto ad un ridicolo spettacolo ad uso della miseria umana di uomini e donne
a cui mancano non solo le basi teoriche, ma anche semplicemente il
cuore e la testa di capire – sarebbe così rimasto impunito. Un peso
schifoso ad esclusiva della vittima, che nel frattempo crolla emotivamente e
viene travolta da una spirale di autolesionismo e disperata ricerca di affetto
e calore; una spirale verso il basso, fatta di scelte sbagliate, di relazioni
tossiche e merda intuibile e/o prevedibile anche senza bisogno di cercare su
Google “disturbo post-traumatico da stress dopo una violenza sessuale”. Lei,
sola, in balìa dei suoi demoni // gli altri, gli stupratori (e spettatori
dell’orrore), in mezzo a noi.
Ma
nell’agosto del 2013 un ordigno rudimentale scoppia a pochi passi dalla sede di
Casa Pound a Parma e partono delle indagini che come prevedibile, vanno a
colpire il movimento anti-fascista e anarchico parmense e delle zone limitrofe.
C’è chi dice
che sia stata una soffiata, c’è chi dice sia stata proprio Casa Pound a fare la
segnalazione o forse è stato il normale iter delle indagini. Poco importa il come,
ciò che conta è il fatto che gli inquirenti sono venuti in possesso di
quel video – che gli stupratori avevano realizzato e diffuso – e di un
nominativo: il nome e il cognome di colei che troppi hanno chiamato la ragazza
fumogeno.
Sola, con i
suoi demoni, e un numero imprecisato di carabinieri che le fanno domande per
ore e ore. Le chiedono quali sono i suoi rapporti con quel gruppo di uomini e
donne che si trovano nella sede della RAF, le chiedono se li frequenta, se sono
suoi amici, se sono suoi compagni.
No, non li
frequenta.
Perché non
li frequenta? Ha forse litigato? Le hanno fatto qualcosa? E lei ci è mai stata
in via Testi? E cose le è successo in via Testi? Poi tirano
fuori il video e glielo mostrano. E ancora domande. È lei nel video? Chi
c’erano quella notte in via Testi? Iniziano a fare dei nomi. Lui
c’era? E questo? Sicura che non ci fosse anche quest’altro? Alcuni sono stati
identificati nel video. Si sentono delle voci. Di chi sono quelle voci?
Dopo ore
interminabili vengono fuori i nomi di persone che lei ricorda nella
sede della RAF il giorno dello stupro. E quanti… quanti di noi sarebbero
realmente in grado, al di là delle nostre saldissime convinzioni, di reggere?
TERZA CREPA
Chiunque si
dichiari “anarchico” dovrebbe rifiutare lo Stato, le sue Istituzioni e
disconoscere la giustizia dei tribunali perché legale non equivale a giusto. Gli anarchici, quindi, non
dovrebbero cercare di correggere i torti subìti rivolgendosi a chi le leggi le
fa, le impone e punisce chi non le rispetta. Questo perché l’anarchia è
auto-organizzazione ed auto-gestione, con il fine supremo del bene comune che
dovrebbe superare l’interesse individuale.
Ma se per
mantenere e garantire il bene di un gruppo, bisogna schiacciare altri
individui, mettere a tacere il malessere e voltare le spalle agli ideali?
Possiamo ancora definirci anarchici?
Se
rifiutiamo quella legge sorda e cieca che viene imposta dall’alto e punisce chi
non obbedisce, possiamo
replicarne il modello imponendo la sterilità della teoria, a discapito
dell’imperfezione dell’empatia, del buonsenso e dell’umanità?
“Chi parla con la polizia è un infame
e nei nostri posti non ci deve mettere piede”
E allora
chiediamoci perché i primi a VEDERE la violenza in quel video, che tanti
compagni e compagne anarchiche avevano guardato, sono stati carabinieri e
magistrati. Perché una ragazza che ha subìto una tale violenza si è
trovata sola e impreparata “in mano” alle forze armate, addestrate e formate
per gestire queste situazioni a loro vantaggio? Dove siamo state in
quei tre anni che vanno dallo stupro al giorno in cui due pattuglie sono andate
a cercare la ragazza a casa della sua famiglia? Perché al posto di
diffondere il video, umiliarla, organizzare assemblee CON gli stupratori non è
stato fatto muro attorno alla ragazza? Perché per salvare il gruppo si
è deciso di abbandonare chi davvero aveva bisogno?
“Le persone
fragili indeboliscono il movimento perché possono essere manipolate da sbirri e
fasci”.
Crediamo
invece che il movimento sia debole se non è in grado di accogliere e proteggere
i deboli e gli oppressi. Crediamo che il movimento si indebolisca se si
arrocca su teorie di purezza e integrità, senza essere capace di accogliere (e
formare e informare) anche chi non obbedisce alle Sacre Scritture del
rivoluzionario perfetto. Siamo fermamente convinte che non sia questo il
momento di fare un processo all’integrità politica di chi ha subìto la violenza
degli stupratori (prima) e dello Stato (poi), perché il suo agire non può far
passare in secondo piano la condanna dello stupro e della violenza sessista
perpetuata da chi si dichiara compagno, anarchico e antifascista. Se
dobbiamo fare un processo politico allora facciamolo anche a chi ha stuprato e
condiviso quel video, a chi l’ha chiamata fumogeno e facciamolo
soprattutto a noi stessi. Noi per prime dovremmo metterci sul banco degli
accusati e chiederci che cazzo avevamo in testa quando non abbiamo voluto
prendere posizione perché “è stata violentata, MA…”
Durante
quell’interrogatorio avvenuto anni dopo lo stupro, è stata redatta dai
Carabinieri una deposizione, firmata dalla ragazza, con i nomi di chi
lei si ricordava quella sera in via Testi. Tra questi nomi è stata
tirata in causa una persona che ha dichiarato di essere all’estero all’epoca
dei fatti e che poi è stata prosciolta dallo Stato. Degli altri
nominati e convocati dalle Forze Armate come persone informate sui
fatti, 4 uomini sono poi stati accusati e ora a processo (di cui uno
all’estero che risulta irreperibile), perché identificabili nel video.
Ricordiamoci
che stiamo parlando di una persona che non ha mai denunciato e non aveva
nessuna intenzione di farlo, ma che si è trovata a doversi costituire parte
civile di un processo per reato di stupro di gruppo. Non per
un atto politico, non per un’azione del movimento, ma per violenza carnale con
una manciata di aggravanti dal momento in cui era priva di sensi quando è
avvenuta. A cui si aggiungono quattro persone accusate di favoreggiamento che,
secondo gli inquirenti, hanno mentito per coprire gli stupratori o
minacciato la vittima per indurla a negare la violenza subìta. Sono
innumerevoli i messaggi di minacce e di insulti sessisti con cui è stata
bombardata da quando sono partite le denunce. Troppe sono state le occasioni in
cui è stata cacciata con violenza, senza la possibilità di essere ascoltata, da
spazi occupati e autogestiti.
Per quanto
si possa reputare grave il fatto di trovarsi “collusa” con la giustizia, non
crediamo che la sua debolezza sia tanto grave da giustificare quello che è
stato fatto nei suoi confronti. Per “vendicare” chi era stato convocato dalle
Forze Armate o proteggere gli stupratori, infatti, è stata messa in moto una
macchina spietata che si è alimentata di voci assurde, minacce e persino
aggressioni fisiche nei suoi confronti. Nel darle dell’infame, nel
trattarla da infame, è passato il messaggio che è più grave denunciare uno
stupro che stuprare. Che sebbene lo stupro fosse avvenuto all’interno
di uno spazio politico, risultava difficile prendere posizione perché
lei ha fatto questo, detto quello e perché lei è… E noi non crediamo
che chi la condanna per aver parlato con le Forze Armate, voglia questo.
Speriamo vivamente che il movimento sia abbastanza maturo e lucido per distinguere
le due cose e contestualizzare i fatti. Condannare la violenza senza se e
senza ma e poi, in un’altra sede e coi giusti modi*, riflettere
sul perché si siano creati i presupposti di ciò che è successo.
*I GIUSTI
MODI: quanti di
noi le hanno scritto o chiesto la sua versione? Quanti di noi l’hanno
minacciata con messaggi anonimi o su Facebook per poi bloccarla e non darle la
possibilità di parlare? Quanti di noi hanno diffuso le “voci” messe in circolo
dagli accusati senza mettere in discussione la fonte? Quanti di noi hanno
reputato più grave la presunta infamia di uno stupro? Quanti di noi attaccano
la Giustizia dei tribunali per poi formulare le proprio accuse con le loro
carte e i loro metodi? Quanti hanno chiesto di vedere il video perché
“altrimenti non ci crediamo”? Ed è così che pensiamo di gestire la nostra giustizia
all’interno degli spazi?
QUARTA CREPA
Alla base
dell’antisessismo ci dovrebbe essere la forza di condannare qualsiasi forma di
violenza ai danni delle donne in quanto donne. Ciò non significa difendere una
donna per partito preso, ma condannare ogni stupro anche se fatto da
“compagni”, amici o uomini che amiamo. Anche ai danni di una donna che
reputiamo esecrabile, meschina o nemica. Anche se ci ha fatto del male. Una
femminista non insulta un’altra donna per il suo aspetto fisico, per le sue
preferenze sessuali o per i suoi appetiti erotici. Una femminista non usa espressioni
violente e maschiliste ai danni di un’altra donna. Per quanto siano nobili le
motivazioni, la violenza sessista (fisica e verbale) è per noi condannabile,
inaccettabile e ci batteremo duramente contro di essa.
Concludiamo.
Se anarchici
vogliamo creare una socialità-altra all’interno dei nostri spazi libertari,
rivendichiamo le nostre idee e i nostri corpi, rifiutiamo il ruolo delle
istituzioni in ogni sua forma, combattiamo il braccio armato dello stato, tanto
da chiamare lucidamente infame colui che denuncia un compagno;
non possiamo che chiederci ora cosa abbiamo fatto negli anni in cui avremmo
dovuto cercare le modalità di tutelare una vittima, coscienti del nostro ruolo,
prima della macchina giudiziaria, prima della meraviglia di fronte al crollo
emotivo di una donna. Sei anni di silenzio.
Eppure
sapevamo bene che l’omertà è da sempre fedele compagna della violenza maschile.
Come
possiamo definire libertario un luogo in cui può avvenire una violenza tanto
grave da essere definita stupro, anarchico colui che perpetua atteggiamenti che
condanniamo nella società patriarcale, fascista, omertosa e violenta?Come
possiamo oggi definire questi spazi liberati e noi liberi?
Ciò che è
accaduto a lei poteva succedere ad ognuna di noi. Messa da parte la teoria
astratta, la marzialità di un codice e il superomismo celodurista che
preferiamo lasciare a predicatori, soldati e bulli, non possiamo che
essere orgogliose di lei e della sua forza, oggi, perché ciò che ha vissuto
avrebbe forse annientato molte di noi. Quell’incredibile forza che sta
dimostrando nel voler rivendicare il diritto a frequentare i nostri spazi e il
suo coraggio davanti all’oscenità perpetuata nell’aula di Tribunale, dove si
ritrova – davanti agli occhi dei suoi stupratori – a rivivere ogni istante,
ogni sensazione, ogni ricordo legato a quella notte e alla sua vita intima
passata e presente.
Ed è con la
sua stessa forza, nella nostra unione, nella nostra voglia di lottare in nome
della gioia, dell’ironia e della rivolta contro l’esistente che rivendichiamo
la stessa urgenza che è dell’essere punk. Ci sarà il tempo dei
comunicati ben scritti e dei percorsi a lungo, lunghissimo termine atti a
rivoluzionare i nostri mondi – li stiamo già facendo così nell’intimo così come
nei nostri spazi – ma ora è tempo delle parole urlate, della follia
sgangherata dei tre accordi suonati con tutta la nostra forza, della bellezza
imperfetta delle nostre anime in subbuglio, perché da sempre il punk ci ha
insegnato ad usare il cuore, la testa per mettere in discussione e contrastare
ogni tentativo di oppressione e subordinazione alla norma.
Ed oggi ci
alziamo in piedi, ritti come chiodi che scintillano nella notte delle belle
cose, insieme, contro la violenza avvenuta quella notte in via Testi, la
vergogna di quel video diffuso e l’orrore di quel nomignolo. Contro il suo
abbandono e l’incapacità di vedere il disagio di una donna. Contro l’omertà e
il muro di silenzio. Contro i modi e il linguaggio adottati nei suoi confronti.
Contro chi l’ha processata, condannata e punita basandosi su voci e fatti
incompleti e di parte. Contro chi l’ha minacciata, aggredita, allontanata dagli
spazi occupati usando la violenza…
Ed è contro tutto questo che aprendo la bocca è uscito questo urlo.
e poi qui
Nessun commento:
Posta un commento