venerdì 2 dicembre 2016

Tra me e il mondo – Ta-Nehisi Coates

Ta-Nehisi scrive al figlio (Samori), di 15 anni, una lunga lettera, nella quale racconta una storia, di oggi e di ieri, finalmente la storia raccontata dalla parte dei vinti, dove quelli che vengono osannati come eroi sono spesso assassini.
Ta-Nehisi racconta a Samori la paura, l’ingiustizia, la violenza, Samori già conosce tutto questo, ma il padre disegna un quadro nel quale tutto ha una spiegazione, svela il peccato originale, che si ramifica e che opprime i neri.
Questo libro noi lo intuiamo, lo capiamo con gli occhi e la testa, ma non con tutto il corpo.
Un ragazzino palestinese di 15 anni sì che lo capirebbe tutto, gli ultimi e gli oppressi lo capirebbero molto meglio di noi.
Eppure, noi, che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case, dobbiamo leggere questo libro, e provare a capire.


può essere utile e importante la lettura di due libri:
Una domenica in cella, di Patrick Chamoiseau (qui)
e
Le mie stelle nere, di Lilian Thuram (qui)

Il titolo nasce da una poesia di Richard Wright (qui)

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Strange Fruit - Billie Holiday 




Southern trees bear strange fruit,
Blood on the leaves and blood at the root,
Black bodies swinging in the southern breeze,
Strange fruit hanging from the poplar trees.

Pastoral scene of the gallant south,

The bulging eyes and the twisted mouth,
Scent of magnolias, sweet and fresh,
Then the sudden smell of burning flesh.

Here is fruit for the crows to pluck,

For the rain to gather, for the wind to suck,
For the sun to rot, for the trees to drop,
Here is a strange and bitter crop.

Uno strano frutto
Gli alberi del Sud danno uno strano frutto,
Sangue sulle foglie e sangue alle radici,
Neri corpi impiccati oscillano alla brezza del Sud,
Uno strano frutto pende dai pioppi.

Una scena bucolica del valoroso Sud,

Gli occhi strabuzzati e le bocche storte,
Profumo di magnolie, dolce e fresco,
Poi improvviso l’odore di carne bruciata.

Ecco il frutto che i corvi strapperanno,

Che la pioggia raccoglierà, che il vento porterà via,
Che il sole farà marcire, che gli alberi lasceranno cadere
Ecco uno strano ed amaro raccolto.


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Tra me e il mondo - Richard Wright
E all’improvviso una mattina nel bosco mi sono imbattuto
nella cosa,
Mi ci sono imbattuto in una radura erbosa con querce rugose
ed olmi a sentinella.
E sono emersi i particolari anneriti dello scenario, ficcandosi
tra me e il mondo…
C’era il disegno di ossa bianche sonnacchiose dimenticate
su un cuscino di ceneri.
C’erano poi i resti carbonizzati di un arboscello che puntavano un dito mozzo e accusatorio verso il cielo.
C’erano i rami strappati, le piccole vene di foglie bruciate, e
il rotolo bruciacchiato di corda unta;
Una scarpa vacante, una cravatta vuota, una camicia strappata, un cappello solitario e
un paio di pantaloni macchiati di sangue nero
E sull’erba calpestata bottoni, fiammiferi spenti,
cicche di sigarette e sigari, bucce di noccioline, una
fiaschetta svuotata di gin, e il rossetto di una puttana;
Tracce sparse di catrame, piume e penne svolazzanti nell’aria e l’odore persistente di benzina.
E nell’aria mattutina il sole versava stupore giallo
nelle orbite svuotate del teschio impietrito…
E mentre me ne stavo lì la mia mente raggelata da una pietà fredda per quella vita andata.
La terra mi afferrò per i piedi e attorno al mio cuore si innalzarono le mura ghiacciate della paura –
Il sole si spense nel cielo; 
il vento notturno borbottava tra l’erba e scompigliava le foglie tra gli alberi; 
il bosco risuonò del latrato affamato dei mastini; 
le tenebre urlavano con voci assetate; 
e i testimoni si levarono e presero vita.
Le ossa riarse si mossero, agitandosi si alzarono 
per fondersi alle mie ossa.
Le ceneri grigie si trasformarono in carne soda e nera, 
ed entrarono nella mia carne.
La fiaschetta del gin passata da bocca in bocca; 
i sigari le sigarette si riaccesero, 
la puttana si imbrattò di rossetto le labbra,
E migliaia di facce mi turbinarono attorno, insistendo a gran voce che venisse arsa la mia vita…
E poi mi presero, mi denudarono, schiacciandomi in gola
i denti fino a quando non inghiottii il mio proprio sangue.
La mia voce annegò nel ruggito delle loro voci, 
e il mio corpo nero bagnato scivolava 
e rotolava nelle loro mani mentre mi legavano all’arboscello.
E la mia pelle si attaccava alla catrame bollente, 
che mi si staccava di dosso in mucchietti flosci.
E le piume e le penne bianche si affondarono appuntite
nella mia carne sanguinante e si levarono i gemiti della mia agonia.
Poi una misericordiosa frescura sorprese il mio sangue, il battesimo della benzina.
E in una vampa rossa balzai verso il cielo mentre il dolore si alzava come acqua, bollendomi gli arti.
Ansimando, scongiurando mi aggrappai come un bambino mi aggrappai ai roventi fianchi della morte.
E ora non sono che ossa riarse e la mia faccia un teschio impietrito che fissa con giallo stupore il sole…
da qui

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