Lilian Thuram, ex calciatore (con Parma e Juve), campione del mondo nel'98
con la Francia, proprio in quello stade de France, autore di un ultimo libro
contro il razzismo, "Per L'Uguaglianza" (Add editore), da sempre
impegnato nella lotta contro la discriminazione, dice che è una tragedia senza
nome.
Dov'era l'altra sera?
"A cena nel Quartiere Latino con degli amici. Quando ho iniziato a ricevere messaggi dalla mia nipotina che chiedeva dove fossi. Le ho risposto che era troppo giovane per farmi da mamma. E lei mi ha detto:ci sono sparatorie in città".
A cosa ha pensato?
"A un regolamento dei conti e poi ai fatti di gennaio di Charlie Hebdo. Così come gli altri ho iniziato a seguire le notizie. Parigi è ancora muta, tutti sentiamo di aver perso figli, fratelli, padri. La gente morta e ferita fa parte della nostra comunità, della nostra famiglia. La sensazione è questa. Non hanno ucciso gli altri, ma qualcuno di noi".
L'attentato a Charlie era contro l'offesa a Maometto, quello nei locali e allo stadio è contro una quotidianità di vita, contro tutti.
"Non fa differenza. È la stessa cosa. I disegnatori di Charlie, la gente che ascolta musica, che va nei bar, che va allo stadio, fa parte dello stesso immaginario collettivo. È la Francia, è la sua idea. E la cosa che mi è piaciuta nella grande tristezza è che l'altra notte accanto allo stadio la gente ha aperto le porte di casa per aiutare i feriti, per portare aiuto e soccorso. Si chiama solidarietà. È fatta dalle persone normali, fa parte dell'animo umano: avere paura, ma anche superarla".
Però l'amichevole Francia-Germania è continuata.
"E che altro dovevano fare? Far uscire la folla dallo stadio quando c'è un attentato è pericoloso. Mi dicono che i tifosi all'uscita hanno intonato allons enfants. La società civile ha risposto bene, ora tocca alla politica dare risposte intelligenti".
Lei ha dato al suo secondo figlio, Kephren, il nome di un faraone dalla pelle nera. Come gli spiega questa guerra di religione?
"Ah no, la religione non c'entra. Quante volte lo devo dire. Forse che le Crociate uccidevano per fare nuovi praticanti? O gli Indiani d'America sono stati sterminati in nome del cristianesimo? Ma no, per altri motivi, più realistici: possesso di nuove terre, aggressioni politiche, guadagni, mire espansionistiche. Sono le guerre nel mondo ad alimentare in qualche modo frustrazioni e disgrazie assurde.
Dov'era l'altra sera?
"A cena nel Quartiere Latino con degli amici. Quando ho iniziato a ricevere messaggi dalla mia nipotina che chiedeva dove fossi. Le ho risposto che era troppo giovane per farmi da mamma. E lei mi ha detto:ci sono sparatorie in città".
A cosa ha pensato?
"A un regolamento dei conti e poi ai fatti di gennaio di Charlie Hebdo. Così come gli altri ho iniziato a seguire le notizie. Parigi è ancora muta, tutti sentiamo di aver perso figli, fratelli, padri. La gente morta e ferita fa parte della nostra comunità, della nostra famiglia. La sensazione è questa. Non hanno ucciso gli altri, ma qualcuno di noi".
L'attentato a Charlie era contro l'offesa a Maometto, quello nei locali e allo stadio è contro una quotidianità di vita, contro tutti.
"Non fa differenza. È la stessa cosa. I disegnatori di Charlie, la gente che ascolta musica, che va nei bar, che va allo stadio, fa parte dello stesso immaginario collettivo. È la Francia, è la sua idea. E la cosa che mi è piaciuta nella grande tristezza è che l'altra notte accanto allo stadio la gente ha aperto le porte di casa per aiutare i feriti, per portare aiuto e soccorso. Si chiama solidarietà. È fatta dalle persone normali, fa parte dell'animo umano: avere paura, ma anche superarla".
Però l'amichevole Francia-Germania è continuata.
"E che altro dovevano fare? Far uscire la folla dallo stadio quando c'è un attentato è pericoloso. Mi dicono che i tifosi all'uscita hanno intonato allons enfants. La società civile ha risposto bene, ora tocca alla politica dare risposte intelligenti".
Lei ha dato al suo secondo figlio, Kephren, il nome di un faraone dalla pelle nera. Come gli spiega questa guerra di religione?
"Ah no, la religione non c'entra. Quante volte lo devo dire. Forse che le Crociate uccidevano per fare nuovi praticanti? O gli Indiani d'America sono stati sterminati in nome del cristianesimo? Ma no, per altri motivi, più realistici: possesso di nuove terre, aggressioni politiche, guadagni, mire espansionistiche. Sono le guerre nel mondo ad alimentare in qualche modo frustrazioni e disgrazie assurde.
Per questo dico: attenti alle strade che vogliamo prendere, alle risposte
che vogliamo dare. Io una spiegazione non la trovo. Ma è chiaro che ci vogliono
ridurre alla paura, togliere la libertà. Dobbiamo tutti riflettere su che tipo
di società vogliamo ed essere uniti".
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