Tahar Ben Jelloun ha raccontato il mondo arabo e
l'emigrazione in libri che sono ormai dei capolavori, come Partire o Il razzismo spiegato a mia
figlia. Il
14 novembre, subito dopo gli attentati di Parigi, ha rilasciato una
dichiarazione che può suonare controversa: "La risposta è la
poesia".
Una radio belga, RTBF, l'ha intervistato insieme al
disegnatore Nicolas Vadot e allo studioso Pierre Kroll, in una "analisi incrociata"
disponibile in podcast sulla Rete. Perché e come la poesia può essere una
soluzione per dei fatti inquietanti come gli attacchi terroristici che hanno
causato la morte di oltre
140 persone nella
capitale francese lo scorso weekend?
"I terroristi attaccano l'arte, la cultura, i musei e i
monumenti. Attaccano la civiltà. Boko haramper
esempio significa 'l'educazione occidentale è peccato', è da vietare, e così in
Africa vengono chiuse le scuole, distrutte le biblioteche etc. La poesia può essere una soluzione
perché, con la nostra libertà di scrivere, di fare musica, anche solo di
ritrovarsi per il piacere di stare insieme o di fruire della cultura e dei beni
della nostra civiltà, ribadisce il valore della vita".
Un valore, questo, che hanno voluto ribadire non solo gli
altri due studiosi interpellati, che hanno partecipato in questi giorni a
numerose edizioni della carta stampata e del sistema radiotelevisivo con
vignette e dichiarazioni improntate alla pace e alla tolleranza, ma anche
le principali autorità islamiche, come l'imam della moschea Al Azhar in
Egitto, che ha condannato gli attentati.
Un altro studioso musulmano, Felix Marquardt,
fondatore del centro Al-Kawakibi e del think tank Youthonomics in Israele, ha
richiamato la necessità per gli islamici di "lottare contro il culto
di morte" che pervade le società ispirate all'Islam. Un
fenomeno che non è estraneo neanche alla cultura occidentale - si pensi al
successo dei siti Web negazionisti o di propaganda "antisionista" -
ma che ora, legato all'infamia dei terroristi dell'Isis, che si proclama
"Stato islamico", rischia di conferire un'aura maledetta a tutta una
religione comprendente oltre un miliardo di fedeli.
L'islam, sostiene Marquardt, "deve riportare in auge la
primazia dell'educazione, della scienza, dell'estetica e dei principali
principi di libertà umana", evitando "l'impoverimento del
pensiero" e "la fine del ricorso a una salutare ijtihad o interpretazione del dettato
coranico"; deve "rispettare e celebrare la vita", deve
"sostituire la sacralizzazione della morte onnipresente in molte società
islamiche con una 'biofilia', che includa anche la parità tra uomo e
donna". Questi sono anche antidoti al culto della morte che è latente
anche nelle società occidentali, secondo questo commentatore, che hanno dato
vita, ad esempio, al pensiero razzista di Gobineau.
Un nuovo razzismo è proprio quello che temono i giovani
musulmani, per esempio in Belgio, dove è nato l'hashtag #OnEstLà, "noi
ci siamo, facciamo parte della soluzione e non del problema". Tutti i
commentatori sono concordi nell'affermare che ciò che l'ISIS vuole, come ha
osservato anche Gabriele Nissim ieri al Monte Stella, "è la guerra civile
tra tutte le componenti della società francese: ebrei, cristiani e
musulmani". Un pericolo che proprio con la dedica di un albero, di un
cippo e di un importante riconoscimento accademico a Khaled al-Asaad il 18
novembre abbiamo cercato di contrastare.
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