sabato 7 novembre 2015

L’angelo di Paul Klee secondo Walter Benjamin



Angelus Novus, Paul Klee, 1920
Disegno ad olio ed acquerello su carboncino, 31,8 x 24,2 cm
The Israel Museum, Gerusalemme

C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, e le ali distese.

L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira  dal paradiso, che si è impigliata  nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle.

Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine cresce davanti a lui al cielo.

Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.

Tesi di filosofia della storia (1940), in Id., Angelus novus. Saggi e frammenti, trad. it. di R. Solmi, Torino, Giulio Einaudi editore, pp. 75–86.

All’interno di queste Tesi, così Walter Benjamin interpreta la celebra tela del pittore Paul Klee. In queste parole, Benjamin esplica la sua visione messianica della storia, l’attesa perpetuamente insoddisfatta di una rendezione avvenire, dove l’uomo viene trascinato via suo malgrado dal tempo e dal progresso, lasciandosi alle spalle le tragedie e gli orrori di cui l’umanità è stata capace, avendo seminato morte e distruzione ad ognuno dei suoi passi. Redimere questi orrori, cioè dare senso e rendere giustizia alle vittime, non è un compito che viene assunto e garantito dalla divinità o dalla storia dell’umanità (quasi che tali orrori fossero stati necessari a un miglioramento o all’approdo di una qualche beatitudine collettiva). Le macerie della storia restano mute dinanzi alla nostra interrogazione, non trovano giustificazione, non acquisiscono dignità per ciò che hanno prodotto o per quello che hanno rappresentato, visto che la storia dell’uomo è rimasta la storia di sangue e morte che è sempre stata. Per questo l’Angelo di Klee guarda angosciato il passato, mentre il vento (il tempo) lo spinge via, quando vorrebbe restare tra quelle vittime per tenerle strette a sé, per garantire ad esse un significato di qualche tipo.
In Walter Benjamin, l’unica redenzione possibile è quella offerta dalla memoria: solo serbando il ricordo delle vittime, e perciò testimoniando della loro dipartita, dell’insensatezza della loro sconfitta e delle loro sofferenze, si può interrompere il giogo del “tempo mitico” dei vincitori, ovvero la visione della Storia ufficiale che resta ancora all’ipotetico e incontrovertibile “dato di fatto” escludendo l’ambito delle “possibilità non date”. 
Per questo, il fulcro essenziale delle sue tesi è l’inversione del tradizionale rapporto tra passato e presente: se solitamente abbiamo sempre concepito il presente come la risultante di un flusso di eventi che proviene dal passato, Benjamin concepisce il passato come l’altra faccia del presente, derivante e prodotto da esso. È il presente che genera dal suo interno il proprio passato, e il passato non può sussistere indipendentemente da un presente che lo testimonia e lo redime.

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