Un documento sulla Scuola e sull’Istruzione. Da leggere,
pensare e sottoscrivere.
Dalla Costituzione della Repubblica italiana:
Art. 3: “E` compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando
di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Art. 33: “L’arte e la scienza
sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali
sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti
e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza
oneri per lo Stato.”
Art. 34: “La scuola è aperta a
tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e
gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di
raggiungere i gradi più alti degli studi.”
Al Presidente della
Repubblica
Ai Presidenti delle
Camere
Al Ministro
dell’Istruzione, Università e Ricerca.
Gli insegnanti
proponenti:
1.
Giovanni Carosotti, insegnante scuola
secondaria di secondo grado, Milano.
2.
Rossella Latempa, insegnante scuola
secondaria di secondo grado, Verona.
3.
Renata Puleo, già dirigente
scolastico, Roma.
4.
Andrea Cerroni,
professore associato, Università degli Studi Milano-Bicocca.
5.
Giovanni Vacchelli, insegnante scuola
secondaria di secondo grado, Milano.
6.
Ivan Cervesato, insegnante scuola
secondaria di secondo grado, Milano.
7.
Lucia R. Capuana, insegnante scuola
secondaria di secondo grado, Conegliano Veneto (TV).
8.
Vittorio Perego, insegnante scuola
secondaria di secondo grado, Melzo (MI).
La premessa
L’ultima riforma della scuola è
l’apice di un processo pluridecennale che rischia di svuotare sempre più di
senso la pratica educativa e che mette in pericolo i fondamenti stessi della
scuola pubblica. Certo la scuola va ripensata e riformata, ma non destrutturata
e sottoposta ad un processo riduttivo e riduzionista, di cui va smascherata la
natura ideologica, di marca economicistica ed efficientista.
La scuola è e deve essere sempre
meglio una comunità educativa ed educante. Per questo non può assumere, come
propri, modelli produttivistici, forse utili in altri ambiti della società, ma
inadeguati all’esigenza di una formazione umana e critica integrale.
È quanto mai necessario
“rimettere al centro” del dibattito la questione della scuola.
Come? In tre modi almeno:
a) parlandone e molto, in
un’informazione consapevole che spieghi in modo critico i processi in corso;
b) ricostituendo un fronte comune
di Insegnanti, Dirigenti Scolastici, Studenti, Genitori e Società civile tutta;
e, soprattutto,
c) riprendendo una lotta
cosciente e resistente in difesa della scuola, per una sua trasformazione reale
e creativa.
Bisogna chiedersi, con
franchezza: cosa è al centro realmente? L’educazione, la cultura, l’amore per i
giovani e per la loro crescita intellettuale e interiore, non solo professionale,
o un processo economicistico-tecnicistico che asfissia e destituisce?
7 temi per un’idea di
Scuola
da leggere come studente,
genitore, insegnante, cittadino
1.
Conoscenze vs competenze
2.
Innovazione didattica e tecnologie digitali
3.
Lezione vs attività laboratoriale
4.
Scuola e lavoro
5.
Metrica dell’educazione e della ricerca
6.
Valutazione del singolo, valutazione di sistema
7.
Inclusione e dispersione
Il documento
1. Conoscenze vs competenze
Una scuola di qualità è basata
sulla centralità della conoscenza e del sapere costruiti a partire dalle
discipline. Letteratura, Matematica, Arte, Scienza, Storia, Geografia,
Filosofia, in tutte le loro declinazioni, sono la chiave di lettura del mondo, della
società e del nostro futuro. Una reale comprensione del presente e la
trasformazione della società richiedono riferimenti che affondano le radici
nella storia, nelle opere, nelle biografie e nell’epistemologia delle
discipline.
Crediamo che:
i) Aggregare compiti e prestazioni degli
allievi attorno a competenze predefinite e standardizzate annienti l’organicità
dell’educazione, riduca la complessità del mondo ad un “kit di pratiche”, che
tali restano, anche con l’appellativo onorifico di “competenze di cittadinanza”.
ii) La competenza, unica e
trasversale, si consegua nel tempo, nello spazio sociale, nei contesti
comunicativi affettivo-cognitivi. La cittadinanza, a cui le competenze
comunitarie aspirano, non è un insieme di rituali individuali da validare e
certificare. Cittadinanza è “operare in comune”.
iii) Non abbia senso misurare
“livelli di competenza” degli studenti, da attestare in una sorta di
fermo-immagine valutativo. Il sapere non si acquisisce mai definitivamente. È
continuamente rinnovato dalla maturazione, consapevolezza, interiorità, ricerca
singolare e plurale, approfondimento di contenuti e pratiche.
2.
Innovazione didattica e tecnologie digitali
Innovare non è bene di
per sé, tantomeno in campo educativo. La didattica “innovativa” o digitale,
oggi presentata come primaria necessità della Scuola, non vanta alcuna
legittimazione scientifica né acquisizione definitiva da parte della ricerca
educativa. Innovazioni e tecnologie, nelle varie accezioni global-ministeriali
(debate, CLIL,flipped classroom, etc),
rappresentano un insieme di “riforme striscianti” che demoliscono pezzo a pezzo
l’edificio della Scuola Pubblica dal suo interno. Servono piuttosto innovazioni
in tutt’altra direzione, che sappiano valorizzare inoltre l’interculturalità,
la creatività e l’immaginazione, il pensiero critico e quello simbolico, nella
didattica così come nell’impianto complessivo della scuola.
Crediamo che:
i) Ogni innovazione metodologica
o tecnologia digitale sia un possibile strumento di
ampliamento e accesso a contenuti e conoscenze. Sul loro impiego l’insegnante è
chiamato a riflettere e valutare in maniera incondizionata e libera. Codificare
pratiche e metodi, presentati come la priorità della
Scuola, è una semplificazione retorica arbitraria, corrispondente ad un preciso
modello culturale preconfezionato, che ridefinisce finalità e ruoli
dell’istruzione pubblica in ossequio a un’ideologia indiscussa.
ii) L’inflazione di innovazioni
didattiche e gli sperimentalismi digitali offrono spesso narrazioni impazienti ed
elementari (slides, video, “prodotti”, progetti), propongono procedure
stereotipate e associazioni banali, con grave danno per gli studenti e la loro
crescita culturale, interiore e sociale.
iii) Non sia il mero ingresso di
uno smartphone in classe a migliorare l’apprendimento o l’insegnamento. In quel
caso si potrà, certo, aderire a un modello, attualmente dominante: quello che
sostiene l’equazione cambiamento=miglioramento e digitale=coinvolgimento. Il
miglioramento dell’apprendimento e dell’insegnamento passa, però, per altre
strade: quelle dell’attuazione del dettame della nostra Costituzione.
3.
Lezione vs attività laboratoriale
Nell’era di instagram, twitter e
dell’ e-learning, la relazione e la comunicazione “viva”
allievo/insegnante – nella comunità della classe – rappresentano fortezze da
salvaguardare e custodire. La saldatura del legame intergenerazionale, la
trasmissione coerente di conoscenze, percorsi e temi, il dialogo incalzante, la
maieutica, la circolarità, la condivisione di interpretazioni e scelte
linguistiche, il problematizzare insieme, l’attenzione ai tempi, alle reazioni
di sguardi e comportamenti. Tutto questo è fare lezione,
un incontro fra persone in cammino in una comunità inclusiva. Gli appellativi
di “frontale”, “dialogata”, “laboratoriale” sono rifiniture burocratiche che
non ne intaccano la sostanza. Una lezione può e deve essere un
laboratorio educativo, di crescita e partecipazione, di scambi fra tutti e
cambiamenti di ciascuno, insegnante incluso.
Crediamo che:
i) L’insegnante, come educatore,
sia responsabile e garante di quell’ “incontro” che dà senso e valore ai fatti
culturali della propria disciplina. La relazione di pari dignità ma
asimmetrica tra maestro e studente, nel microcosmo della collettività di
classe, permette agli allievi di imbattersi nel non conosciuto, di praticare
l’incontro con la difficoltà del reale e del vivere in comunità, di aprire un
orizzonte culturale diverso da quello familiare o sociale.
ii) Attenzione concentrata,
aumento dei tempi di ascolto, siano condizioni per un “saper fare” come “agire
intelligente”, che non si consegue assecondando l’uso delle tecnologie o
seducendo gli alunni con dispositivi smart, ma in contesti di
applicazione laboriosa, tempo quieto per pensare, discussione nel gruppo.
4.
Scuola e lavoro
Non si va a scuola semplicemente
per trovare un lavoro, non si frequenta un percorso di istruzione solo per
prepararsi ad una professione. Dal liceo del centro storico al professionale di
estrema periferia, la scuola era e deve restare, per primo, un “luogo
potenziale” in cui immaginare destini e traiettorie individuali, rimettere in
discussione certezze, diventare qualcos’altro dalla somma di “tagliandi di
competenza” accumulati e certificati. L’apertura alla realtà sociale e
produttiva può realizzarsi, volontariamente, attraverso forme e progetti di
scambio organizzati autonomamente dagli istituti scolastici. Non imposti ex
lege dal combinato Jobs Act e Buona Scuola. Pratiche calibrate in
base ai contesti e alle finalità educative, che in nessun modo gravino sulle
famiglie o sugli allievi in termini di sostenibilità e gestione.
Crediamo che:
i) L’alternanza scuola lavoro non
rappresenti affatto un’opportunità formativa per i ragazzi, quanto piuttosto
una surrettizia sperimentazione del “lavoro reale” che entra fin dentro i
curricula scolastici, sottraendone tempo e qualità e distorcendone le finalità.
ii) Oltre ad approfondire il
solco tra sapere teorico e pratico, alternanza
è sinonimo di disuguaglianza. Percorsi ineguali in base a contesti, tessuti
sociali e reti familiari, che peggiorano in proporzione alla fragilità delle
condizioni economiche e delle opportunità culturali di luoghi e famiglie.
iii) Bisogna recuperare l’idea di
Scuola come luogo della vita dotato di un tempo e spazio propri, non corridoio
di passaggio tra infanzia e adolescenza – considerate età “minori” – e
occupazione adulta.
iv) Sia necessario portare la
conoscenza del lavoro nelle classi, non gli studenti a lavorare. Logiche,
dinamiche e problematiche dell’occupazione entrino nel dialogo educativo, per
aiutare i giovani ad orientarsi, attrezzarsi a comprenderle e intervenire per
modificarle.
5.
Metrica dell’educazione e della ricerca
Educazione e ricerca accademica
sono oggi terreno di confronto tra tutti i soggetti sociali, politici,
economici ad esse interessati. Gli orientamenti internazionali delle politiche
formative e di ricerca lo testimoniano e innescano una competizione globale in
cui ranking internazionali (OCSE) e nazionali (INVALSI, ANVUR) comprimono gli
scopi formativi e di studio sulla dimensione apparentemente neutra di
“risultato”, oltre ad indurre a paragoni privi di rigore logico. Educazione e
ricerca universitaria non sono riducibili ad un insieme di pratiche
psicometriche globali, a cui sottoporsi in nome del principio di etica e
responsabilità. Il futuro della Scuola e dell’Università sono questionipolitiche
nazionali, da collocare in un contesto europeo e interculturale di confronto
e valorizzazione delle differenze, libero e democratico.
Crediamo che:
i) Scuola e Ricerca universitaria
siano oggetto di vera e propria “ossessione quantitativa”, da parte di
organismi internazionali e nazionali.
ii) La logica dell’adempimento e
della competizione azzerino il lavoro di personalizzazione nella formazione
scolastica ed erodano progressivamente spazi di progettualità libera nella
ricerca universitaria (attraverso la sottomissione a criteri di valutazione non
condivisi).
iii) Le scelte operate da MIUR,
INVALSI ed ANVUR, modifichino profondamente comportamenti e strategie nelle
Scuole e nelle Università, generando condotte di mero opportunismo
metodologico-didattico e scientifico nonché la perdita di “biodiversità
culturale”, strumento indispensabile per affrontare le complessità del futuro,
oggi imprevedibili.
6.
Valutazione del singolo, valutazione di sistema
La valutazione degli studenti è
impegno unico, qualificante e delicato dell’insegnante, condiviso con la
comunità dei docenti e dei discenti, consapevoli del cambiamento tipico dei
processi di apprendimento. È un’osservazione “prossimale” (e responsabile)
modulata su tempi lunghi, sull’evoluzione del singolo allievo, delle pratiche
di insegnamento, del gruppo, del contesto. È impensabile che enti terzi,
estranei al rapporto educativo, entrino nel merito della valutazione formativa,
come previsto dalla Buona Scuola. Singolarmente anacronistico appare che, dopo
decenni di ‘crisi del fordismo’ in economia, si voglia introdurre la
‘fordizzazione’ nell’educazione. Le menti, soprattutto durante le prime fasi
della formazione, sono delicate, creative e si conciliano con “tempi e
metodi” d’antan assai meno delle berline.
Crediamo che:
i) Accostare una valutazione
di agenzie esterne a quella del corpo docente nel “curriculum dello studente”,
mini la relazione di fiducia scuola-famiglia, spostando l’attenzione
sull’esito, più che sul processo e sul percorso,
togliendo ogni significato agli obiettivi di personalizzazione ed inclusione
che la Scuola afferma di perseguire;
ii) Un’agenzia “terza” (INVALSI)
non possa svolgere compiti di valutazione e di ricerca pedagogico-didattica
orientanti programmi e curricola: la terzietà non è, inoltre, comparabile con
gli incarichi affidati dal MIUR per la valutazione (diretta e indiretta) di
docenti e dirigenti attraverso meccanismi di premialità.
iii) La presenza di agenzie
esterne nella valutazione del singolo rappresenti un’espropriazione di quella
responsabilità complessa, raffinata negli anni con l’esperienza e la
condivisione collegiale, della professionalità di ogni insegnante: la
valutazione dei propri studenti;
7.
Inclusione e dispersione
La dispersione scolastica,
l’inclusione autentica e la riduzione delle disuguaglianze necessitano di
interventi politici sistematici, di fondi strutturali, impegni comunitari, di
monitoraggio costante, conoscenza e capitalizzazione delle pratiche esistenti.
A partire da investimenti e piani territoriali: infrastrutture, associazioni,
biblioteche; fino ad arrivare a Scuola, con risorse costanti per costruire una
fitta ed efficiente rete di recupero dei disagi, delle solitudini e delle
difficoltà degli allievi più fragili. Se è vero che la Scuola e i buoni
insegnanti fanno la differenza, è ancor più vero che la dispersione ha una sua
mappa che si sovrappone a quella geografica ed economica dei tessuti degradati
e delle periferie impoverite, di situazioni e storie difficili da ribaltare e
su cui incidere. Dare alle Scuole risorse e spazi adeguati alla costruzione di
didattiche di recupero e opportunità di accoglienza non è sperpero di denaro
pubblico, ma progettazione politica di inclusione autentica, unica vera
prospettiva di crescita e ricchezza del paese.
Crediamo che:
i) I temi in gioco siano cruciali
e non ci si possa limitare a chiedere alla Scuola di fare meglio solo con ciò
che ha. Semplificare compiti e programmi, organizzare corsi di recupero
pomeridiani che ricalchino quelli antimeridiani, medicalizzare le diversità,
sono scorciatoie che restano agli atti come prove burocratiche di adempimenti
amministrativi;
ii) La Scuola abbia
un valore politico. Dunque ha il diritto di chiedere di indirizzare
risorse pubbliche su questioni di importanza sociale e morale che ritiene
prioritarie. Dispersione scolastica e abbandoni precoci non sono solo capi
d’imputazione su cui è chiamata a rispondere, ma problematiche che nelle
attuali condizioni assorbe e subisce.
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In virtù di queste considerazioni:
1) Chiediamo un’azione di
moratoria su:
§
obbligo dei percorsi di alternanza-scuola lavoro e del requisito
di effettuazione per l’accesso all’esame di Stato conclusivo del II ciclo
§
obbligo di impiego metodologia CLIL (Content and Language
Integrated Learning, apprendimento integrato di contenuti disciplinari in
lingua straniera)
§
uso dei dispositivi INVALSI a test censuario per la valutazione
degli esiti scolastici, obbligatorietà della somministrazione funzionale
all’ammissione agli esami di licenza del primo e secondo ciclo
§
modifiche relative all’esame di Stato, che renderebbero di fatto
sempre più marginale la didattica disciplinare.
2) Chiediamo l’apertura di un ampio
dibattito governo-Scuola di base-organizzazioni sindacali-cittadinanza sulle
questioni di cui al punto precedente e su tutto l’impianto della Legge
107/2015.
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Per aderire: compila il modulo
google cliccando il link seguente. contatti:
appelloscuolapubblica@gmail.com
Le prime firme:
1) Salvatore Settis, professore
emerito, Scuola Normale Superiore di Pisa.
2) Tomaso Montanari,
professore ordinario Università degli Studi di Napoli, Federico II.
3) Umberto Galimberti, già
professore Università Ca’ Foscari, Venezia.
4) Lucio Russo, professore
ordinario, Università degli Studi di Roma, Tor Vergata.
5) Giuseppe Longo,
professore École normale supérieure, Parigi.
6) Nadia Urbinati, professore
Columbia University, NY.
7) Michela Marzano,
professore Université Descartres- SHS Sorbonne, Parigi.
8) Romano Luperini, già
ordinario a Siena, professore aggiunto a Toronto e scrittore
9) Adriano Prosperi, già
professore Scuola Normale Superiore di Pisa, membro Accademia dei Lincei
10) Roberto Esposito,
professore ordinario Scuola Normale Superiore di Pisa…