Ogni paese dispone di un’autorità antitrust. Ce l’ha
l’Italia, ce l’hanno i singoli paesi europei, ce l’ha l’Unione Europea, ce
l’hanno gli Stati Uniti. Il loro compito è impedire che sul mercato si
strutturino imprese talmente forti da compromettere la concorrenza. Ciò
nonostante ogni settore è sempre più dominato da colossi che la fanno da
padrona a livello mondiale. Basti citare il caso delle
sementi dove tre conglomerati (Bayer-Monsanto, Dow-Dupont, Syngenta-ChemChina)
controllano il 65 per cento del mercato mondiale. Nell’ultimo
quinquennio le concentrazioni si sono moltiplicate al ritmo di 7.000 all’anno
trasformando il mondo in una palla stretta fra i tentacoli di poche centinaia
di multinazionali.
Un fiocco esposto negli Stati Uniti qualche giorno fa,
ha annunciato la nascita di un nuovo colosso di cui non si conosce ancora il
nome, ma i genitori, quelli sì, sono noti. Il nuovo soggetto è frutto di un
accordo siglato fra due giganti dello spettacolo: Walt Disney e 21st Century
Fox. Un’operazione
complessa, difficile da definire, con tratti al tempo stesso di compravendita,
interscambio e alleanza. Ma a giudicare dal fatto che a pagare sarà Walt
Disney, addirittura 52,4 miliardi di dollari, si può ben dire che è Fox a entrare nell’orbita di Walt Disney, piuttosto
che il contrario. Ed anche se i Murdoch, vecchi proprietari di Fox, entreranno
nella proprietà della nuova supernova, la loro quota non andrà oltre il 25 per
cento.
Degli interessi in comune Fox e Walt Disney li avevano
già tramite la compartecipazione di un servizio streaming denominato Hulu. Ma ora a finire nella stessa
società sono studi cinematografici, reti satellitari, cavi telefonici e
stazioni televisive, fra cui Sky, che permetteranno a uno stesso proprietario
non solo di fare arrivare gli stessi film, ma anche le stesse notizie e
naturalmente la stessa pubblicità in ogni parte del mondo.Sembra
proprio la necessità di rivaleggiare con Netflix, Amazon, ma anche Google e
Facebook, sul fronte della pubblicità digitale, una delle ragioni che ha spinto
Walt Disney a allearsi con Fox.
Negli Stati Uniti un’altra fusione eccellente in
ambito mediatico attende di essere approvata dalle autorità governative. Si
tratta dell’alleanza fra AT&T colosso delle reti telefoniche con un
fatturato di 160 miliardi di dollari all’anno e Time Warner colosso televisivo
e della carta stampata. Oltre alle riviste Time e Fortune, il loro
impero comprende anche la CNN, canale televisivo ormai di livello mondiale. In
conclusione a giocarsela sul piano delle notizie diffuse
tramite televisione e internet a livello planetario sono tre emittenti, tutte
di nazionalità statunitense: Time Warner (CNN), Comcast (NBC) e ora
Walt Disney tramite ABC e Sky.
Benché si tratti di una concentrazione da mettere i
brividi, almeno sul piano delle apparenze la concorrenza sembra salva. Ma solo
in apparenza, perché se andiamo a vedere chi sono gli
azionisti dei tre colossi scopriamo che ai primi posti compaiono sempre gli
stessi nomi. Per primo Vanguard che mediamente possiede il 6
per cento di ognuna di queste società. Per secondo Blackrock solitamente
attorno al 4 per cento. Per terza SSGA (StateStreet Global Advisor) con quote
di poco inferiore. Benvenuti nel mondo della
finanza, perché le società in questione sono tutte fondi di investimento che
gestiscono titoli per un valore di 6.000 miliardi di dollari nel
caso di Blackrock, 4.500 miliardi nel caso di Vanguard e 2.500 miliardi nel
caso di SSGA. Del resto una ricerca apparsa nel 2011 aveva già dimostrato che
25 colossi finanziari controllano il 30 per cento del capitale di 43.000
società multinazionali.
E la grande domanda che alla fine si pone è chi
gestisce il potere. Poiché
si tratta di strutture che amministrano il risparmio di milioni di cittadini a
livello mondiale, è inutile cercare il potere decisionale in chi ci ha messo i
soldi. Il potere alla fine lo gestiscono i manager. Un
potere non solo di tipo economico, ma soprattutto politico perché quando si controllano le televisioni e i giornali, di fatto si
controlla la democrazia. Si sa che la gente pensa in un modo o
in un altro, quindi vota in un modo o in un altro, a seconda dell’idea che si
fa della realtà, dei modelli culturali in cui si identifica, dei principi
sociali in cui crede. E proprio per il potere che ha
di condizionare la nostra percezione della realtà e quindi i nostri modelli
culturali, che l’informazione è stata definita quarto potere. Un potere ora nelle mani di pochi manager che se da un
punto di vista economico sono concorrenti fra loro, da un punto di vista culturale
sono uniti e compatti. Non a caso siamo nel tempo del pensiero
unico. Ed allora chiediamo alle autorità di vigilanza di fare bene il loro
mestiere: se non in nome della concorrenza almeno in nome della democrazia.
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