Il tiratore scelto dell’esercito israeliano non poteva prendere di mira la
parte inferiore del corpo della sua vittima: Ibrahim Abu Thuraya non ce l’aveva
più. L’uomo di 29 anni, che lavorava in un autolavaggio e che viveva nel campo
profughi Shati di Gaza, aveva perso entrambe le gambe dopo un attacco aereo
israeliano nel corso dell’operazione Piombo fuso del 2008. Per muoversi usava
una sedia a rotelle. Il 15 dicembre 2017 l’esercito ha portato a termine il suo
lavoro: un tiratore scelto ha mirato alla sua testa e l’ha ucciso.
Le immagini sono orribili: Abu Thuraya in sedia a rotelle, spinto dagli
amici, che invita a protestare contro la dichiarazione degli Stati Uniti che
riconosce Gerusalemme come capitale d’Israele, Abu Thuraya a terra che striscia
verso la recinzione dietro la quale è imprigionata la striscia di Gaza, Abu
Thuraya che sventola una bandiera palestinese, Abu Thuraya che solleva entrambe
le braccia in segno di vittoria, Abu Thuraya trasportato dai suoi amici mentre
muore dissanguato, il cadavere di Abu Thuraya steso su una barella, titoli di
coda.
Il tiratore scelto dell’esercito non poteva mirare alla parte bassa del
corpo della sua vittima, il 15 dicembre, e ha quindi deciso di sparargli alla
testa e ucciderlo.
Si può ragionevolmente pensare che il soldato si sia reso conto che stava
mirando a una persona in sedia a rotelle, a meno che non stesse sparando
indiscriminatamente su una folla di manifestanti.
Non è difficile immaginare cosa sarebbe successo se dei palestinesi
avessero ucciso un israeliano in sedia a rotelle
Abu Thuraya non era una minaccia per nessuno: che pericolo poteva
rappresentare un uomo in sedia a rotelle privo di entrambe le gambe e
imprigionato dietro una recinzione? Quanta malvagità e insensibilità occorre
per sparare a una persona in sedia a rotelle? Abu Thuraya non è stato il primo,
e non sarà l’ultimo, disabile palestinese ucciso dai soldati dell’esercito
israeliano, i soldati più morali al mondo, come dicono alcuni.
L’uccisione di Abu Thuraya è passata praticamente inosservata in Israele.
L’uomo era uno dei tre manifestanti uccisi quel giorno, un giorno come gli
altri. Non è difficile immaginare cosa sarebbe successo se dei palestinesi
avessero ucciso un israeliano in sedia a rotelle. Quale furore si sarebbe
scatenato, quale fiume d’inchiostro sarebbe stato riversato per parlare della
loro barbarie e crudeltà. Quante persone sarebbero state arrestate, quanto
sangue sarebbe stato versato per vendicare la cosa.
Crimine di massa
Ma quando i suoi soldati si comportano in maniera barbara, Israele tace e non sembra interessata. Nessuno shock, nessuna vergogna, nessuna pietà. Sperare in un’espressione di rimorso, rimpianto o scuse è impensabile. Anche l’idea di obbligare i responsabili di quest’omicidio criminale a rendere conto della loro azione è una pia illusione. Abu Thuraya è diventato un uomo morto quando ha osato partecipare alle proteste della sua gente, e la sua uccisione non interessa a nessuno, visto che era un palestinese.
Ma quando i suoi soldati si comportano in maniera barbara, Israele tace e non sembra interessata. Nessuno shock, nessuna vergogna, nessuna pietà. Sperare in un’espressione di rimorso, rimpianto o scuse è impensabile. Anche l’idea di obbligare i responsabili di quest’omicidio criminale a rendere conto della loro azione è una pia illusione. Abu Thuraya è diventato un uomo morto quando ha osato partecipare alle proteste della sua gente, e la sua uccisione non interessa a nessuno, visto che era un palestinese.
Sono undici anni che la Striscia di Gaza è chiusa ai giornalisti israeliani.
Si può solo immaginare quale fosse la vita di questo addetto a un autolavaggio
di Shati prima della sua morte, come debbano essere state curate le sue ferite
in assenza di servizi di riabilitazione decenti, in questo territorio posto
sotto assedio, senza nessuna possibilità di ottenere delle protesi per le
gambe.
Come si muovesse con una sedia a rotelle meccanica, non elettrica, nei
vicoli polverosi del suo campo. Come abbia continuato a lavare auto nonostante
la sua disabilità, dal momento che a Shati non esiste altra scelta, anche per
le persone disabili. E come abbia continuato a lottare coi suoi amici,
nonostante la disabilità.
Quando si chiede l’arresto di Netanyahu, qualcuno dovrebbe finalmente
cominciare a nominare anche il tribunale dell’Aja
Nessun israeliano potrebbe immaginare come si vive in quella gabbia, la più
grande del mondo, chiamata Striscia di Gaza, parte di un esperimento di massa
senza fine sugli esseri umani.
Bisognerebbe osservare quei giovani disperati che, nelle manifestazioni del
15 dicembre, si sono avvicinati alle recinzioni, armati di pietre che non
potevano colpire nessuno, e che lanciavano attraverso gli spiragli esistenti
tra le sbarre dietro le quali erano intrappolati.
Questi giovani non hanno alcuna speranza nella vita, anche quando
possiedono due gambe sulle quale muoversi. Abu Thuraya aveva ancora meno
speranze.
C’è qualcosa di patetico eppure dignitoso nella foto dell’uomo che solleva
una bandiera palestinese, vista la doppia prigionia di cui è vittima: quella
nella sedia a rotelle e quella nel suo paese assediato.
La storia di Abu Thuraya riflette le condizioni in cui vive il suo popolo.
Poco dopo essere stato fotografato, la sua tormentata vita è giunta a
conclusione. Quando, ogni settimana, le persone urlano: “Netanyahu a
Maasiyahu!”, in prigione, qualcuno dovrebbe finalmente cominciare a nominare
anche il tribunale dell’Aja.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Nessun commento:
Posta un commento