Quella che poteva rivelarsi un’opportunità per la sinistra, come
aveva titolato pochi giorni prima del ballottaggio del 17 dicembre Punto Final, si è
invece trasformata in una netta vittoria per la destra. Il nuovo presidente
cileno sarà , ancora una volta, il magnate Sebastián Piñera. La contesa con il
candidato socialista Alejandro Guillier, che tutti ritenevano essere quantomeno
all’insegna dell’incertezza, si è risolta nel modo peggiore. Tuttavia, a farla
da padrone è stata l’astensione, che poi ha giocato decisamente a favore del
cosiddetto Berlusconi cileno e già ad alti livelli al primo turno, quando aveva
raggiunto il 54%.
Piñera ha ottenuto 3.795.421 milioni voti contro i 3.159.663 di Guillier
su un elettorato complessivo di 14.347.260 di cileni, segno che evidenzia come
circa la metà del paese abbia preferito non recarsi alle urne. Se sull’esito
del primo turno elettorale, quello del 19 novembre scorso, in molti avevano
notato la frantumazione del duopolio centrodestra-Nueva Mayoría (la ex Concertación)
a vantaggio del Frente Amplio di Beatriz Sánchez, forza di sinistra che aveva
conquistato 21 deputati e un senatore sparigliando le carte, oggi non si può
fare a meno di notare che è proprio a sinistra dove sono venuti a mancare un
po’ di voti per provare almeno a fare un po’ di paura a Piñera. Guillier al
primo turno era stato appoggiato ufficialmente dal Partito socialista, da
quello comunista e dai radicali, ma avrebbe potuto ricevere consensi anche dai
diversi altri candidati di centro-sinistra o sinistra rimasti esclusi dal
ballottaggio presidenziale ed invece non è stato così. Ad esempio, chissà dove
è andato quel 5,9% di preferenza raggranellate il 19 novembre dalla candidata
democristiana Carolina Goic, la quale aveva scelto di sfilarsi dalla coalizione
pro-Guillier e presentarsi in solitudine per via della presenza del Partito
Comunista. Sull’altro lato della barricata, invece, nonostante le forti
differenze tra la destra neoliberista di Piñera e quella del pinochettista
Antonio Kast, è assai probabile che una parte del suo elettorato abbia deciso
di convergere sullo stesso Piñera per evitare il permanere di un socialista
alla Moneda.
Alla fine, è andata come pronosticavano molti analisti politici prima del
19 novembre: si è verificato di nuovo l’avvicendamento tra Piñera e Bachelet.
Certo, Guillier avrebbe dovuto recuperare circa il 14% dei consensi per
insidiare Piñera, poiché il candidato di Chile Vamos, al primo turno, aveva
raggiunto il 36,6% delle preferenze contro il 22,6% del suo sfidante, ma in
molti si auguravano una nuova sorpresa dopo quella dell’affermazione frenteamplista di
un mese fa. Sarà soprattutto il Frente Amplio, di fronte al forte calo della
Nueva Mayoría, a dover fare opposizione a Piñera, oltre a porsi come fattore
aggregante per ricompattare la frammentata sinistra cilena. Da un lato, quindi,
il nuovo Cile auspicato da Punto Final deve necessariamente ripartire dal programa de muchos del
Frente Amplio, peraltro espressione solo fino a un certo punto dei movimenti e
delle lotte sociali (si ispira all’omologo Frente Amplio uruguayano e alla sua
esperienza di sinistra non rivoluzionaria), ma che ha avuto il merito di
mettere fine al bipartitismo imperante. Allo stesso tempo, non si può far a
meno di temere per le sorti di un paese dove Piñera, come in occasione del suo
primo mandato, cercherà ancor di più di trasformare i cittadini in consumatori.
Del resto, a condannare Guillier alla sconfitta è stata anche la percezione che
quest’ultimo avrebbe continuato a seguire quella strada riformista intrapresa
dalla Bachelet e mai condivisa dalla maggioranza della popolazione, non a caso,
già nel 2013, quando fu eletta per il secondo mandato presidenziale, la presidenta raggiunse
la Moneda con un tasso di astensione di oltre il 58%.
El Mercurio,
storico quotidiano conservatore e megafono della campagna elettorale di Piñera,
ha sempre propagandato l’idea che i cileni vivano in un paradiso terrestre e
siano in grado di potersi permettere il consumismo più sfrenato. Due mesi prima
delle elezioni del 19 novembre, un sondaggio effettuato dal Centro de Estudos
de Conflicto y Cohesión Social, commissionato da università pubbliche e private,
segnalava che per il 30% degli intervistati un governo autoritario permette più
o meno le stesse condizioni di vita di uno democratico. È in un contesto del
genere che Piñera ha prosperato ed è riuscito a rimanere a galla, nonostante
sia un evasore fiscale e faccia soltanto gli interessi di una minoranza del
paese, quella delle famiglie più ricche del Cile che si identificano in un
paese ad economia turboliberista.
Infine, il successo di Piñera rappresenta un ulteriore colpo per l’intero
continente latinoamericano che, tra colpi di stato e affermazioni legali della
destra, vede il fronte progressista in minoranza. Il Berlusconi cileno
governerà sul modello del suo vicino di casa Macri e, considerando gli sviluppi
della politica argentina, questo rappresenta un pessimo segnale.
(*) articolo tratto da Peacelink – 18 dicembre 2017
Sulle elezioni cilene aggiungiamo due articoli
pubblicati su Pressenza
Cile: vince l’astensione
e Piñera è il presidente (di Andrés Figueroa Cornejo)
L’epoca storica è determinante (di
Pía Figueroa)
Che tristezza, speriamo che non sia l'inizio di un nuovo periodo oscuro.
RispondiEliminatemo che lo sia, già da un po', e anche in Argentina
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