Della decisione
del Consiglio superiore della magistratura di non confermare il giudice Emilio
Sirianni nel proprio incarico già si è detto su queste pagine (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/07/19/un-giudice-pericoloso-o-un-ritorno-agli-anni-50/) ma qualche ulteriore rilievo e una
contestualizzazione si impongono.
Si è da poco
conclusa l’avventura umana di Silvio Berlusconi, ma appena celebrati i funerali
è ripreso a soffiare fortissimo il vento del berlusconismo. Il Governo,
avendo il ministro Nordio come uomo di punta, ha ripreso il percorso di
manipolazione del giudiziario che Berlusconi aveva perseguito, con alterne
vicende, in tutta la sua carriera politica. L’asse portante del percorso è
quello di neutralizzare il controllo giudiziario rispetto agli abusi dei ceti
dirigenti, politici, affaristici o imprenditoriali. In altre parole
depotenziare l’incisività dello strumento penale nei confronti dei reati dei
c.d. “colletti bianchi” e allargare l’area dell’impunità di fatto per le
“persone perbene” (https://volerelaluna.it/commenti/2023/06/26/il-pacchetto-nordio-e-la-giustizia-dopo-berlusconi/), realizzando le opportune riforme
di sistema.
È ritornato
così prepotentemente d’attualità il mito dello scontro Magistratura-potere
politico (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/07/14/la-vicenda-giudiziaria-del-sottosegretario-delmastro-e-uno-scandalo-che-non-ce/). Ha cominciato il Ministro Nordio,
che da Taormina, irritato per le critiche ricevute alla sua miniriforma, ha
imposto all’Associazione magistrati di tacere, accusandola di interferenza
indebita nell’azione di governo. È curioso che alla caduta del
fascismo il Ministro liberale dell’epoca Arangio Ruiz, con una circolare del 6
giugno 1944, abbia restituito ai magistrati il diritto di esprimersi
liberamente e di partecipare alla vita politica, che Mussolini aveva
cancellato, mentre adesso la libertà di espressione viene guardata nuovamente
in cagnesco da un Ministro che si autodefinisce “liberale”. Ma il problema
rimane pur sempre il controllo giudiziario esercitato nei confronti dei ceti
dirigenti. Così nella giornata di giovedì 6 luglio è stata diffusa una nota di
“fonti di Palazzo Chigi” nella quale si contestava l’operato della magistratura
nei casi Dalmastro e Santanchè, affermando che «è lecito domandarsi se una
fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di
opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale
per le elezioni europee». Alle dichiarazioni non firmate arrivate dalla
presidenza del Consiglio sono seguite anche due note da parte di fonti del
ministero della Giustizia, che proprio alla luce dei due casi giudiziari che
stanno mettendo in difficoltà il Governo evocava la riforma del giudiziario.
Bene ha reagito il Presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, respingendo al
mittente le accuse e mettendo in evidenza che lo scontro è a senso unico: è la
politica che attacca la magistratura.
Il punto
dolente è lo scandalo del “potere diviso”, cioè quello snodo insuperabile di
pluralismo istituzionale rappresentato dal sistema di indipendenza del potere
giudiziario che, secondo il disegno costituzionale, non può essere assoggettato
né condizionato dall’esercizio dei poteri politici di governo, né da nessun
altro potere. Il controllo di legalità effettuato da una magistratura indipendente
da ogni altro potere è la principale garanzia per la tutela dei diritti
fondamentali che la Costituzione riconosce come inviolabili. Inutile dire che
da diversi decenni la politica vuole mettere fine a questo scandalo del
potere diviso che, in linea di principio, è inaccettabile per tutti gli
ordinamenti fondati su una concezione monista del potere. Nel libro Magistrati,
pubblicato nel 2009, Luciano Violante richiama la concezione della magistratura
formulata quattro secoli prima dal filosofo inglese Francis Bacon, secondo il
quale: «I giudici devono essere leoni, ma leoni sotto il trono». In altre
parole l’esercizio della funzione giudiziaria deve essere reso compatibile con
l’esercizio del potere politico sovrano. Non v’è dubbio che il modello di giudice,
leone sotto il trono, è quello preferito dal nostro sistema politico. I leoni
sotto il trono sono feroci verso chi è sgradito al Sovrano (vedi il caso
Lucano), ma all’occorrenza questi leoni si trasformano in cagnolini quando si
trovano di fronte agli abusi del Sovrano: certamente al leone sotto il trono
non verrà mai in mente di mordere la mano del padrone.
Questa
concezione dei magistrati come “leoni sotto il trono” è presente in ampi
settori della magistratura associata, specialmente nella corrente conservatrice di
cui fu segretario Cosimo Ferri, le cui qualità furono molto apprezzate dal
mondo politico che lo chiamò a esercitare la funzione di sottosegretario alla
Giustizia, mantenuta sotto tre differenti governi. Non è un caso
che i collaboratori del ministro Nordio provengano quasi tutti da quel
gruppo. Così nello scontro politica-magistratura, per quanto l’Anm, con il
suo presidente, si sforzi di tenere la barra dritta lungo la rotta della
Costituzione, il corpo dei magistrati non si presenta compatto nel difendere le
garanzie costituzionali. Se il ministro Nordio sogna di applicare il Berufsverboten (cioè l’esclusione dei soggetti di
idee radicali o “estremiste”) al corpo dei magistrati, senza riuscirci perché –
purtroppo per lui – c’è la Costituzione, all’interno della magistratura si è
levato un vento di normalizzazione che porta ad applicare a se stessa il Berufsverboten,
anticipando il potere politico.
È in questo
contesto che si colloca la mancata conferma nell’incarico di presidente della
Sezione lavoro della Corte d’appello di Catanzaro del giudice Sirianni, reo di
aver usato espressioni critiche e duri giudizi nei confronti di un
prefetto, di un ministro dell’Interno e di un noto magistrato in alcune
conversazioni private con l’allora sindaco di Riace, Mimmo Lucano, del quale
era amico e con cui condivideva l’impostazione dell’esperienza di accoglienza
dei migranti conosciuta in tutto il mondo come “modello Riace”. La vicenda,
come già si è detto in queste pagine, è illuminante. Pur in presenza di
conversazioni private, destinate a restare tali e diventate pubbliche sol
perché intercettate nel procedimento penale a carico di Mimmo Lucano e
divulgate (ancorché non utilizzate nel processo siccome irrilevanti) da un
quotidiano incline alla caccia alle “toghe rosse”, Sirianni – dopo l’(ovvia)
archiviazione di un processo penale, di un processo disciplinare e di una
procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale – è stato
“processato”in sede associativa per violazione del codice etico, evitando la
censura solo perché la proposta non ha raggiunto il quorum di
voti necessario nel Comitato direttivo centrale. Ma il segnale più grave è
venuto, appunto, dal Consiglio superiore della magistratura, l’organo deputato,
per Costituzione, a tutelare il corretto e indipendente esercizio della
giurisdizione che, chiamando in causa le conversazioni intercorse con Lucano,
ha negato a Sirianni la conferma nella funzione semidirettiva ricoperta. Per
tale conferma, la legge prevede che, oltre alla verifica della capacità
organizzativa, siano esaminate «la competenza tecnica,
l’autorevolezza culturale e l’indipendenza da impropri condizionamenti,
espresse nell’esercizio delle funzioni». Avendo verificato tali requisiti il
Consiglio giudiziario di Catanzaro aveva espresso, per due volte e
all’unanimità, parere positivo. Non così il Csm. Eppure la conferma o il
diniego di conferma in un incarico direttivo o semidirettivo è, di norma, una
questione di ordinaria amministrazione, che attiene al controllo delle capacità
professionali e di equilibrio del magistrato nello svolgimento del suo lavoro
mentre non ha nulla a che vedere con il controllo del profilo culturale, dei
sentimenti o delle opinioni espresse dal magistrato in conversazioni private, ove
non si riferiscano espressamente all’attività del proprio ufficio. In questo
caso invece, attraverso un banale provvedimento amministrativo, è stata
realizzata una grave discriminazione politico-culturale. Di fatto è stata
istituita una sorveglianza sui magistrati che esprimano idee sgradite al potere
o al mainstream politico-culturale.
Inutile dire
che, se passerà questa linea interna alla magistratura, Nordio e Meloni
tireranno un sospiro di sollievo. Il Berufsverboten i magistrati se lo applicheranno
da soli!
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