Sahra Wagenknecht, dopo le dimissioni dal gruppo parlamentare della Linke nel 2019, denuncia lo scivolamento del suo Partito verso quella forma di neoliberismo progressista che ha contagiato tutte le sinistre occidentali. In questo testo delinea un programma fondato su valori non individualistici ma comunitari
Mentre
scrivevo questo libro, gli Stati Uniti hanno visto un’escalation di conflitti.
Sostenitori e avversari di Trump hanno ingaggiato una lotta senza esclusione di
colpi. Da tempo, a un cambio al timone di un governo democratico non si
accompagnavano tanta incertezza, tanto odio e tanta violenza. Il giorno
dell’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti, a Washington, il
Campidoglio era una fortezza in stato di guerra.
Non è
inverosimile, purtroppo, che in futuro le immagini provenienti dagli Stati
Uniti possano essere replicate anche qui, come riflesse da uno specchio
ustorio… a meno che non avremo il coraggio di imboccare al più presto una
strada nuova. Anche la Germania, infatti, è profondamente spaccata. Anche nel
nostro paese la coesione sociale va dissolvendosi. Anche nel nostro paese,
quelle che un tempo erano Comunità unite sono spesso afflitte da divisioni e
ostilità. Bene comune e senso civico sono termini pressoché spariti dal
vocabolario di ogni giorno.
Addio
argomenti, dominano le emozioni
Con la
pandemia, la situazione è peggiorata ulteriormente. Mentre milioni di persone
con lavori spesso malpagati continuavano a fare tutto il possibile per
mantenere in piedi la nostra vita sociale, su molti media, nei siti internet,
su Facebook e Twitter regnava un’atmosfera da guerra civile. Una spaccatura
capace di dividere famiglie e di mettere fine ad amicizie. Sei favorevole o
contrario al lockdown? Usi l’app di tracciamento? Ma davvero, dice,
davvero lei non vuole vaccinarsi?
Chi ha messo
anche solo parzialmente in dubbio il senso e l’utilità di chiudere nidi e
scuole, ristoranti, negozi e molte altre attività si è sentito accusare e
definire indifferente di fronte alla morte di tante persone. Chi,
contemporaneamente, riconosceva la pericolosità del nuovo coronavirus veniva
aggredito allo stesso modo da quelli che vedevano in ogni misura adottata un
mezzo per seminare il panico. E il rispetto per chi la pensa diversamente? E la
riflessione ponderata sugli argomenti? Scordiamoceli. Invece di discutere tra
noi, abbiamo fatto a chi urlava di più.
La cultura
della discussione, però, la nostra società non l’ha persa con l’arrivo della
pandemia. Già in passato c’erano stati dibattiti controversi condotti in
maniera simile. Facendo cioè della morale invece di argomentare. Un concentrato
di emozioni ha sostituito i contenuti e le motivazioni. Il primo dibattito in
cui tutto questo è emerso è stato quello sull’immigrazione e sulla politica da
adottare nei confronti dei migranti, tema che, dopo l’apertura dei confini
tedeschi, nell’autunno 2015, ha oscurato per quasi tre anni tutti gli altri.
Allora la narrazione governativa non parlava di lockdown, ma di
cultura dell’accoglienza, e le obiezioni erano non meno sgradite di quelle
espresse durante la pandemia. Mentre il pensiero politico dominante, a sua
volta, bollava come razzista chi manifestava preoccupazione o accennava ai
problemi derivanti da un’immigrazione incontrollata, sul fronte opposto dello
schieramento politico si formava un movimento che paventava l’imminente
tramonto dell’Occidente. Il tenore e i toni della discussione avevano più o
meno la stessa acrimonia che ha caratterizzato il dibattito su quale fosse la
politica giusta per contrastare la diffusione del coronavirus.
Non molto
più obiettivo è stato il dibattito sul clima che ha dominato il 2019. Allora
non si temeva il tramonto dell’Occidente, ma quello dell’umanità intera. Gli
ambientalisti che ritenevano opportuno reagire con il panico combattevano
contro veri e presunti negazionisti della crisi climatica. Una lotta che non ha
risparmiato chi continuava ad andarsene in giro con il suo diesel, chi comprava
la carne al discount o chi poteva permettersi di pagare di più l’energia e i
carburanti. Intanto, al Bundestag, quello che era ormai diventato il più grande
partito di opposizione, Alternative für Deutschland (AfD,
Alternativa per la Germania), rispondeva a suon di cannonate contro la «lurida
dittatura d’opinione dei sinistro-verdi».
Pare proprio
che la nostra società abbia disimparato a discutere dei suoi problemi senza
aggredire e con un minimo di educazione e rispetto. A sostituire la disputa
democratica tra idee oggi sono i rituali emotivizzati dell’indignazione, della
diffamazione morale e dell’odio palese. Tutto questo fa paura. Dall’aggressione
verbale alla violenza vera e propria, infatti, il passo è breve, come ci
dimostrano anche le vicende statunitensi. Ecco, quindi, che sorge un
interrogativo: da dove viene l’ostilità che ormai spacca la nostra società su
quasi tutti i temi di maggiore importanza?
Chi avvelena
l’opinione pubblica?
La classica
risposta a questa domanda recita: la colpa è della destra in ascesa. È colpa di
politici come Donald Trump, che con le sue aggressioni verbali e i suoi tweet
malevoli ha aizzato la gente seminando risentimento e discordia. È colpa di
partiti come AfD, che fomentano l’odio e diffondono campagne denigratorie. È
colpa, infine, dei social media, che fungono da gigantesca cassa di risonanza
per le menzogne e per i commenti astiosi e che consentono agli utenti di
muoversi soltanto nella propria bolla.
C’è del
vero. I politici di estrema destra contribuiscono senz’altro ad avvelenare il
clima politico. Gli Stati Uniti dopo Donald Trump sono un paese ancora più
spaccato degli Stati Uniti prima di Donald Trump. Se il politico di AfD Björn
Höcke vorrebbe, senza tante cerimonie, «ausschwitzen» [verbo che,
letteralmente, significa ‘espellere sudando’ ma foneticamente appare come la
trasformazione in verbo del nome “Auschwitz”, N.d.T.] chi la pensa
diversamente, a noi viene la pelle d’oca. È anche vero che i social media
favoriscono l’aggressività e i comportamenti più bassi perché sono fatti
proprio per questo. Tutto ciò non ha migliorato la nostra cultura della
discussione. Questa però è solo una parte della spiegazione. La verità,
infatti, è che l’opinione pubblica non viene avvelenata solo da destra. Una
destra più forte non è la causa, ma solo il prodotto di una società
profondissimamente dilaniata. Non ci sarebbe stato nessun Donald Trump, e
nessuna AfD, se gli avversari di entrambi non avessero preparato il terreno al
loro avvento.
Hanno
preparato l’ascesa delle destre dal punto di vista economico, distruggendo le
garanzie sociali, liberando i mercati da ogni vincolo e amplificando
all’estremo le disparità sociali e l’incertezza economica dei cittadini. Molti
partiti socialdemocratici e di sinistra hanno però appoggiato l’ascesa delle
destre anche dal punto di vista politico e culturale, schierandosi dalla parte
dei vincitori mentre molti dei loro portavoce invitavano a disprezzare i valori
e il modo di vivere di quello che un tempo era il loro elettorato, con i suoi
problemi, le sue rimostranze e la sua rabbia.
Le regole
del gioco per i vincitori
Ad avere la
peggio, per colpa di un capitalismo globalizzato e senza regole, è soprattutto
la cosiddetta gente comune. Il reddito di molti non aumenta ormai da anni, il
che costringe queste persone a una lotta senza tregua per mantenere il proprio
tenore di vita. Se qualche decennio fa i figli di famiglie disagiate avevano
ancora concrete possibilità di ascesa sociale, oggi il tenore di vita
individuale è determinato soprattutto dalla famiglia di provenienza.
Nell’epoca
attuale, a vincere sono soprattutto i proprietari di grandi patrimoni
finanziari e aziendali. La loro ricchezza e il loro potere economico e sociale
sono cresciuti moltissimo, negli ultimi decenni. Tra i vincitori, però, c’è
anche il nuovo ceto medio dei laureati delle grandi città, l’ambiente in cui il
liberalismo di sinistra è di casa. L’ascesa sociale e culturale di questa
borghesia è riconducibile agli stessi cambiamenti politici ed economici che
hanno reso la vita difficile agli operai dell’industria e agli impiegati nel
settore dei servizi, ma anche a molti artigiani e piccoli imprenditori. Chi però
si trova sul carro dei vincitori ha un’altra visione delle regole del gioco,
ovviamente diversa da quella di chi ha pescato la carta perdente.
Mentre le
differenze di reddito, di prospettive e di mentalità aumentavano sempre più,
cresceva allo stesso tempo anche la distanza fisica. Se mezzo secolo fa i
cittadini abbienti e quelli meno privilegiati condividevano spesso gli stessi
quartieri e a scuola i loro figli erano compagni di banco, l’esplosione dei
prezzi degli immobili e l’aumento degli affitti ha fatto sì che benestanti e
meno abbienti oggi vivano in quartieri distinti. Di conseguenza sono diminuiti
i contatti, le amicizie, le convivenze o i matrimoni che vadano oltre il
proprio ambiente sociale.
Via le
spaccature, via le paure
Ora che la
vita è diventata molto più incerta e il futuro più imprevedibile, i confronti
politici mettono in gioco una quantità molto maggiore di paure. E che la paura
sia in grado di irrigidire il clima delle discussioni ce l’ha dimostrato lo
scontro sulla politica da adottare per contrastare la pandemia. La cui
particolare aggressività era naturalmente legata al fatto che il coronavirus è
una malattia che può portare alla morte molti anziani e, in determinati casi,
anche soggetti più giovani. Al contrario, i lunghi lockdown hanno
fatto sì che molti temessero per la propria sopravvivenza sociale, per il
proprio posto di lavoro o per il futuro dell’impresa che gestiscono da una
vita. Chi ha paura diventa intollerante. Chi si sente minacciato non vuole
discutere, vuole solo resistere. È comprensibile. La situazione diventa tanto
più pericolosa quando i politici scoprono che si può fare politica alimentando
proprio tali paure. E a fare questa riflessione non è stata certo solo la
destra.
Una politica
responsabile dovrebbe fare l’esatto contrario. Dovrebbe preoccuparsi di
eliminare le divisioni e la paura del futuro e di garantire più sicurezza e
protezione. Dovrebbe introdurre cambiamenti che arrestino la diminuzione della
coesione sociale e che ostacolino l’incombente declino economico. Un
ordinamento economico in cui la maggioranza dei cittadini pensa che il futuro
sarà peggiore del presente non è un ordinamento in grado di garantirlo, il
futuro. Una democrazia in cui una notevole quota della popolazione non ha voce
né rappresentanza non può chiamarsi tale.
Possiamo
produrre in maniera diversa, in maniera più innovativa, più legata al
territorio e in modo più sostenibile per l’ambiente, e possiamo distribuire
quanto prodotto in maniera migliore e più meritocratica. Possiamo rendere
democratica la nostra collettività, invece di lasciare che qualche gruppo di
interesse per cui conta solo il proprio profitto decida della nostra vita e del
nostro sviluppo economico. Possiamo tornare a una convivenza positiva e
solidale, che in definitiva giovi a tutti: a quelli che negli ultimi anni hanno
perso e che oggi hanno paura del futuro, ma anche a quelli che se la passano
bene, ma che non vogliono vivere in un paese spaccato che rischia di finire
come gli Stati Uniti di oggi.
Nessun commento:
Posta un commento