mercoledì 12 luglio 2023

scrive Francesco Sylos Labini, a proposito di scuola

 

B. rispose con una domanda retorica: “Perché dobbiamo pagare uno scienziato se facciamo le scarpe migliori del mondo?”. C’era appena stata la crisi economica del 2008 e la risposta del governo italiano, quasi l’unico in Europa, fu quello di tagliare risorse a un settore chiave come quello dell’istruzione e della ricerca.

Nel 2012, l’economista dell’Università di Chicago Luigi Zingales spiegò meglio l’obiettivo a Michele Santoro: “Ci sono un miliardo e quattro di cinesi e un miliardo di indiani che vogliono vedere Roma, Firenze e Venezia. Noi dobbiamo prepararci a questo. L’Italia non ha un futuro nelle biotecnologie perché purtroppo le nostre università non sono al livello, però ha un futuro enorme nel turismo. Dobbiamo prepararci per questo, non buttare via i soldi a fondo perduto”.

La crisi del 2008 è stata l’occasione per rimodellare l’intero sistema dell’istruzione alla luce della leggenda del “gap formativo”, cioè che le esigenze tecnico professionali espresse dalle imprese non corrispondono alle professionalità disponibili nel mercato del lavoro: sarebbe il sistema dell’istruzione a essere inadeguato rispetto ai bisogni delle imprese e per questo va riformato.

Questa idea ha accomunato gli estensori e i sostenitori della riforma Gelmini, tra cui ricordiamo gli entusiasti “Bocconi boys”. Nel 2012, economisti e intellettuali di questa area scesero in campo con la formazione politica di “Fare per fermare il declino”, naufragata dopo la scoperta che il candidato premier Oscar Giannino millantava titoli falsi dell’università di Chicago. Altri più sobriamente plaudivano, dettando la linea con sottili distinguo dal sito LaVoce.info.

Tutti i ministri (a parte l’effimero Lorenzo Fioramonti) che si sono susseguiti dal 2008 a oggi hanno rafforzato l’impostazione della riforma Gelmini, senza sanare il sottodimensionamento dell’università. Una parabola analoga hanno seguito anche le politiche per la scuola. Questo è avvenuto perché i maître à penser della Gelmini sono rimasti saldi ai loro posti di guida politica anche quando i governi hanno apparentemente cambiato colore: i consiglieri politici bocconiani hanno goduto di credito bipartisan, perché “meritevoli e competenti”.

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