Le Servitù Militari spiegate semplicemente - Assemblea Natzionale
Sarda
Qual è
lo stato dell’arte della presenza militare in Sardegna?
Cos’è una servitù militare? È il termine corretto?
Quanti e quali territori sono interdetti alla popolazione per via delle
attività militari?
Si può parlare di occupazione militare della Sardegna?
Perchè tanti sardi protestano contro la presenza degli eserciti nell’Isola?
Esiste un’alternativa a questo scenario?
Assemblea Natzionale Sarda dà una panoramica dello status quo per
facilitare la risposta a questi interrogativi, facendo luce su una tematica tanto
dibattuta ma non sempre pienamente compresa in tutti gli aspetti.
Cosa è una servitù militare?
Il termine “servitù militare” è utilizzato impropriamente a livello
giornalistico e colloquiale nella società. Contrariamente a quanto si sente,
e a quanto si legge anche nel titolo di questo articolo, in termini giuridici
si dovrebbe parlare di Demanio militare. Spieghiamo di seguito la differenza.
- Il Demanio
militare comprende i beni di proprietà dello Stato
destinati all’attività militare, quindi i poligoni e
le caserme ma anche altre strutture come basi
navali e aeroporti militari, depositi per munizioni,
depositi di combustibile e oleodotti, stazioni radiogoniometriche, impianti di
telecomunicazioni, fari ed ex batterie. In Sardegna queste comprendono una
superficie pari a 237,65 km2. [1]
- La Servitù
militare, termine talvolta usato erroneamente per intendere tutto il
terreno occupato militarmente, invece è un istituto della legge
italiana che prevede la limitazione del diritto di proprietà nelle aree confinanti
con gli impianti del Demanio militare per motivi di funzionalità
e sicurezza degli impianti stessi. Le limitazioni possono essere il
divieto di edificazione in prossimità dei siti o lo sgombero di terreni e
abitazioni in concomitanza con operazioni di esercitazione militare. Le
servitù militari in Sardegna hanno un’estensione complessiva di 136,07
km2.[1]
Questo significa che in Sardegna l’area totale destinata ad uso militare e
sottratta dallo Stato ai civili è pari a 373,72 km2. Il 65% del demanio militare italiano è
sull’Isola.
Quali basi militari sono presenti in
Sardegna?
Oltre a una vasta quantità di immobili inclusi nel Demanio, quattro sono le
più importanti basi militari installate nell’Isola e sono utilizzate
principalmente come sito d’addestramento per gli eserciti appartenenti a
diversi Stati del mondo [2]:
- Poligono
Sperimentale e di Addestramento Interforze di Salto di Quirra: situato nella parte
sud-orientale dell’isola si estende su un vasto altopiano chiamato “Su
Pranu”, geograficamente conosciuto come “Salto di Quirra”. La base è
divisa in due grandi sottosistemi: un “poligono a terra” di 12.000
ettari nel comune di Perdasdefogu, dove ha sede anche il Comando,
e un “poligono a mare” di 2.000 ettari, a Capo San Lorenzo, nel
comune di Villaputzu, che si estende per 50 km fino a Capo
Bellavista. [4]
- Poligono
Militare di Capo Teulada: situato nella parte sud-occidentale della
Sardegna, nel comune di Teulada, è un poligono permanente per
esercitazioni terra-aria-mare affidato all’Esercito Italiano e messo a
disposizione della NATO. È il secondo poligono d’Italia per estensione
con 7.200 ettari di terreno a cui si aggiungono i 75.000
ettari delle attigue “zone di restrizione dello spazio aereo e le zone
interdette alla navigazione”, ovvero le servitù militari. [5]
- Poligono
Capo Frasca: sito sulla costa occidentale dell’Isola, nel
comune di Arbus, è un poligono dell’Aeronautica Italiana messo
anche a disposizione delle altre forze NATO per esercitazioni di
tiro a fuoco aria-terra e mare-terra. Occupa una superficie a terra
di 14 Km2 e impegna anche
una servitù marina interdetta alla navigazione nei comuni di Arbus e
Terralba. [6]
- Aeroporto
Militare di Decimomannu: situato nel Campidano di Cagliari, è una base
aeroportuale dell’Aeronautica Militare italiana e utilizzato anche dalle
altre aviazioni NATO, in passato soprattutto dalla tedesca Luftwaffe.
Dal 2023 è presente anche l’International Flight Training School (IFTS).
Grava principalmente sulle aree del comune di Villasor e quelle di
Decimomannu con una superficie di 18,16 km2, di cui 5,72 km2 di
demanio e 12,44 km2 di
servitù. [7]
A queste si aggiungeva la Base Navale di Santo Stefano nell’arcipelago di
La Maddalena, che ospitava due importanti impianti: il deposito di munizioni della
NATO “Guardia del Moro” e la base-appoggio americana per sommergibili nucleari,
ma dal 2008 è stata dismessa definitivamente dopo un accordo
tra il Governo italiano e lo Stato Maggiore USA. [8]
Chi decise di installarle?
La matrice giuridica di queste basi militari in Sardegna va ricercata
nel processo che portò alla fondazione della NATO, l’alleanza
atlantica concepita per la difesa da un potenziale attacco del blocco
sovietico, e i rapporti tra Italia e USA all’alba degli anni ‘50. [9][21]
Più in particolare, la legittimazione della presenza americana nello Stato
Italiano fu sancita con l’accordo bilaterale Italia – Stati Uniti del 7 gennaio
1952, chiamato “Accordo di mutua sicurezza”, che integrava gli impegni
presi con la ratifica del Trattato di Washington e con cui gli Stati Uniti
reclamarono delle postazioni in territorio italiano. [10]
Due anni dopo, precisamente il 20 ottobre 1954, un altro
accordo tra Italia e USA noto come Bilateral Infrastructure Agreement
(B.I.A.) fu stipulato al fine di individuare un certo numero di infrastrutture
bilaterali e di fatto costituì il via libera a nuove installazioni
militari. [10] Nello stesso
accordo si definivano le linee da seguire per ciò che concerneva la gestione
delle basi. Sebbene siano passati tanti anni dalla sua sottoscrizione il B.I.A.
non è ancora stato desecretato e il suo preciso contenuto non è mai stato reso
noto. Di fatto il contenuto segreto è stato in parte svelato, seppur
involontariamente, attraverso lo scandalo “Wikileaks.”
A partire dagli anni ’50, la NATO assegnò alla Sardegna il ruolo di
piattaforma addestrativa per la sua posizione periferica rispetto alla
cosiddetta “soglia di Gorizia”, ovvero il confine nord-orientale
italiano con la Jugoslavia, allora parte del blocco sovietico. Risale a quel
periodo la nascita delle tre grandi basi addestrative di Teulada, Salto di
Quirra e Capo Frasca e il ripristino dell’aeroporto militare di
Decimomannu. [9]
La conferma dell’importanza strategica della Sardegna negli interessi
statunitensi arriva da un rapporto della Central Intelligence Agency (CIA)
degli anni Sessanta [21], dal quale emerge
chiaro il criterio di scelta dell’isola come luogo particolarmente adatto agli
scopi militari.
L’Italia è una mega portaerei che si affaccia sul Mediterraneo, si sporge a
Est e sbircia a Oriente. All’interno di questa mega portaerei c’è la Sardegna,
che fa parte della portaerei, ma non ha il fastidioso problema della gente e
delle città. Una sorta di ponte libero, ettari ed ettari non cari, quasi
spopolati ma comunque abitati dalla gente, i sardi, tenaci e coriacei, ma come
risaputo incapaci di costituire movimenti collettivi o iniziative comuni.
L’isola è povera, e per questo facilmente comprabile con poche centinaia di
posti di lavoro nelle basi militari, da offrire come mangime a qualche
compiacente politico nazionale o regionale.
Rapporto
della Central Intelligence Agency (CIA), 1960
Cosa si fa nei vari siti?
Sebbene tutte le basi in Sardegna siano di proprietà delle Forze
Armate italiane, esse vengono utilizzate di concerto con la NATO e pertanto
sono funzionali alle sue attività. La NATO ha trasformato l’Isola in una grande
area strategica di servizi bellici essenziali: esercitazioni,
addestramento, sperimentazioni di nuovi sistemi d’arma, guerre
simulate, depositi di carburanti, armi e munizioni, rete di spionaggio e
telecomunicazioni. Al tradizionale ruolo di centro di addestramento si
sovrappongono compiti direttamente operativi per il controllo dell’intera
area mediterranea, funzioni che potenziano l’importanza strategica
dell’isola come perno del sistema politico-militare dell’Alleanza
nord-atlantica. [2]
A seconda del grado di norme di sicurezza ritenute necessarie durante le
esercitazioni, i territori attigui ai poligoni, ovvero le
servitù, subiscono limitazioni permanenti o temporanee, come lo
sgombero di specchi d’acqua, il divieto alla circolazione terrestre o
l’interdizione al sorvolo dello spazio aereo sovrastante. Si pensi che
l’estensione delle zone di sgombero a mare è tale da superare l’intera
superficie della Sardegna. Per intenderci, una parte del poligono di
Teulada e dell’area a mare è permanentemente interdetta anche agli stessi
militari per motivi di sicurezza. [2]
Difficile comunque dire nel dettaglio come vengono svolte: le attività più
comuni sono la sperimentazione di nuove armi e le annuali esercitazioni a fuoco
congiunte di forze NATO. Si pensi che a Teulada, per adeguare il poligono alle
nuove esigenze addestrative, sono stati costruiti gli “scenari reali”
confacenti alle guerre moderne, come ad esempio un villaggio in perfetto
stile serbo-ortodosso in preparazione ai conflitti nei Balcani e un altro in
stile medio-orientale. In ogni caso le attività svolte all’interno dei poligoni
sono coperte da segreto militare quindi non si può sapere con
precisione il reale impatto sul territorio e gli esiti delle prove. I
trattati Italia-USA come il BIA e anche l’Air Technical Agreement hanno
un’elevata classifica di segretezza tale che non possono essere
declassificati unilateralmente neanche dallo Stato Italiano. [11]
Gli effetti delle attività militari nelle basi e nelle servitù sono
pertanto costantemente oggetto di dibattito sociale e giudiziario, sia per
quanto riguarda lo stato e la sostenibilità ambientale dei territori occupati
dalla Difesa sia per gli effetti sulla salute della popolazione residente
intorno ai siti e degli stessi militari che vi lavorano. Tali processi
sono spesso complicati proprio per via dell’impossibilità di
conoscenza dello stato dell’arte dei siti e delle attività belliche.
La popolazione ebbe voce in capitolo?
No. La popolazione residente e sarda in generale non ebbe alcuna voce
in capitolo nel processo di occupazione della Sardegna da parte delle
forze nord-atlantiche, nè direttamente attraverso consultazioni popolari,
referendum ecc., nè indirettamente attraverso i suoi rappresentanti politici
locali, dato che la Regione Sardegna fu tagliata fuori da ogni
dialettica politica con i soggetti italiani e internazionali.
L’installazione delle basi e delle servitù fu figlia delle dispute geopolitiche
di quel tempo, esito pertanto di decisioni calate dall’alto.
Solo nel 1976, con la legge 898, si volle normare la materia delle servitù, con l’obiettivo di
porre fine alla supremazia degli interessi della Difesa nazionale rispetto a
quelli locali. Tale legge prevedeva l’istituzione del cosiddetto Comitato
Misto Paritetico per le Servitù Militari, per un confronto costante tra
Esercito e istituzioni civili. I rappresentanti della popolazione locale sono
nominati dal Presidente della Regione e le esercitazioni, le nuove
installazioni militari e le relative servitù vengono da allora sottoposte
obbligatoriamente al parere del Comitato, che deve valutare la
compatibilità dei programmi militari con i piani di sviluppo territoriali. [12]
Come spesso accade, però, la legge non basta per risolvere la situazione,
sia perchè sovente gli interessi geopolitici internazionali sono molto
più forti delle proteste locali – rendendo debole e inefficace il
lavoro di monitoraggio del Co.Mi.Pa. – sia perchè gli stessi
rappresentanti locali talvolta hanno supportato e incoraggiato la presenza
militare nell’Isola per ideali partitici e tornaconto politico. [13]
Dagli anni ‘80 in poi, i politici sardi a ogni livello (regionale e
statale) hanno svolto periodicamente un lavoro parlamentare di contrasto
all’attività militare: nel 1980, ad esempio, la Commissione Difesa pensò a un “piano per la ri-dislocazione delle forze armate sul territorio
nazionale finalizzato ad alleggerire le relative installazioni militari e
servitù nelle regioni Friuli Venezia Giulia e Sardegna”. L’anno
dopo la RAS invitò il Governo Italiano a “risolvere il problema delle servitù e
installazioni militari in Sardegna” e questo riconobbe la gravosa situazione
dell’Isola. [13]
Da lì in poi i “rappresentanti del popolo sardo” hanno ciclicamente
posto solo piccole pezze come l’ottenimento di indennizzi o l’apertura di
piccole porzioni stagionali di servitù a mare, ma senza alcun piano
economico-sociale alternativo e senza fermare l’attività
bellica che – come detto – si svolge praticamente ancora nella
medesima quantità di area occupata militarmente.
L’inazione dei politici sardi comunque non significa una totale immobilità
da parte della società civile: il caso più emblematico avvenne già
nel 1969 quando a Pratobello, nel comune di
Orgosolo, i residenti avviarono una protesta pacifica ad
oltranza per un mese contro la volontà calata dall’alto dello Stato Italiano di
installare lì un presidio militare in linea con la politica militare della NATO
durante la Guerra Fredda. Dopo settimane di tensioni, la Difesa si
arrese e dovette rinunciare al suo obiettivo di insediarsi in quei
terreni. È questo l’unico caso nel quale la popolazione ha
avuto voce in capitolo e ha ottenuto la non occupazione del territorio per usi
militari. Scopri la storia dettagliata di Pratobello cliccando
qui.
Da decenni, poi, esiste un trasversale movimento antimilitarista
sardo che sensibilizza contro la presenza delle basi e delle servitù
nell’Isola. Tante sono state infatti le manifestazioni di protesta contro
l’occupazione militare, la più imponente fu nel 2014 quando
a Capo Frasca sfilarono in corteo oltre 12.000 sardi [14][22]. Tuttavia, la
condizione attuale è la stessa di Pratobello: i sardi, di fatto, non
sono interpellati nelle scelte legate all’occupazione militare e se
vogliono far sentire la propria opinione lo devono fare a loro rischio
e pericolo scendendo in piazza e provando a opporsi a delle scelte
nelle quali non hanno, appunto, voce in capitolo.
Perchè diversi sardi protestano?
Sono tanti i sardi che da decenni protestano contro l’occupazione militare della Sardegna
da parte dello Stato italiano e della NATO. Lo fanno in quanto si ritiene che
non ci sia alcuna ricaduta positiva sul territorio, per vari aspetti.
- ECONOMICO: Non è raro sentire frasi
come “Le basi portano lavoro” o “creano indotto”: concetti
entrati nel pensiero di diverse persone e propagandati dalle stesse
autorità militari. In occasione dell’annuale esercitazione nel 2023,
l’Ammiraglio dell’Esercito Italiano Fabio Agostini dichiarò che la stessa
avrebbe determinato «una positiva ricaduta economica sul territorio con la
presenza di migliaia di persone, assicurata con la fornitura di pasti,
servizi di lavanderia, lavori edilizi per migliorare la ricettività, tutti
servizi forniti a livello locale». [15]
Tuttavia non risulta alcun profitto economico significativo generato dalla presenza militare nei territori delle esercitazioni. Una recente indagine dell’Unione Sarda ha svelato come tante delle operazioni di routine a supporto dell’attività militare, dalla fornitura del catering (dall’acqua minerale al cibo per la colazione) alla manutenzione degli impianti dentro i poligoni fino alla raccolta dei rifiuti vengano affidate, senza gare pubbliche, ad aziende non sarde. [15] Di fatto, nei poligoni vige un regime economico di sussistenza in cui non è necessario alcun commercio con le attività limitrofe. [16] Essendo aree militari ci si accede tramite arruolamento, per cui l’impatto di assunzioni di lavoratori è minimo vista la scarsa presenza di aziende circostanti a servizio delle basi. Anche i dati socio-economici dei comuni svelano come non avvenga alcuna produzione di ricchezza: il PIL dei comuni con aree occupate è decisamente più basso rispetto a quello dei comuni confinanti che vivono di altri indotti come il turismo balneare (si pensi a Teulada vs Pula o Villaputzu vs Muravera) ma non solo, dato che va da sé che qualsiasi occupazione di un territorio ne neghi lo sviluppo in altre direzioni, a maggior ragione se inaccessibile alla popolazione civile. Questi comuni, poi, hanno iniziato a subire una forte emigrazione proprio a partire dal periodo in cui vennero aperti i poligoni al contrario dei comuni confinanti [19] (leggi qui per approfondire). - AMBIENTALE: Non è più un segreto che
le basi militari e le esercitazioni connesse generano un forte
inquinamento. Basti pensare alla cosiddetta “sindrome di
Quirra”, cioè il termine con il quale si indica un fenomeno
che ha portato a una serie di morti sospette e casi di tumore tra i
militari e pastori, nonché malformazioni di animali allevati nella
zona, seguiti dall’esposizione a sostanze nocive, in primis l’uranio
impoverito, scarto derivante alla deflagrazione di ordigni sia in zone
di guerra che in aree di esercitazione militare, e che prende questo nome
proprio perché si riscontrò nei militari e nella popolazione vicina alla
base di Quirra. La correlazione tra attività bellica e tale mortalità è
ancora oggetto di dibattimento giudiziario e attualmente i vertici
dei Poligoni sono indagati per omicidio e lesioni colpose plurime. A
Teulada invece una parte della Penisola Delta è inaccessibile ai militari
stessi in quanto troppo inquinata, cinque vertici dell’Esercito sono
ancora sotto processo per disastro ambientale e la Difesa
stessa ha ammesso che dovranno essere effettuate le bonifiche del sito,
mai però partite. [17]
- ETICO: nelle aree del Demanio
militare in Sardegna si esercitano tutte le principali forze armate del
Pianeta. Quirra e Teulada sono i due più grandi poligoni d’Europa. Lì
vengono sperimentate nuove armi e nuove tecniche belliche da traslare poi
su reali scenari di guerra. Di fatto, questo rende la Sardegna parte in
causa dei principali conflitti in corso nel Mondo. Liberarsi di
queste aree significa pensare a un futuro per la Sardegna più pulito,
oltre che remunerativo socialmente e economicamente.
- POLITICO: si tratta di aree non
accessibili e sottratte alla popolazione, operazione che è stata
fatta senza la volontà dei residenti. La gestione di queste
aree non dipende dai sardi, che non possono quindi decidere del loro
destino. Dunque, tralasciando il discorso pacifista o
antimilitarista, la questione si lega all’autogoverno dell’Isola e
del suo territorio. Le dinamiche politiche della presenza
militare in Sardegna hanno ricadute sull’attività economica dell’Isola in
quanto ne determinano, in questo caso dall’alto, il suo destino.
Si pensi all’apertura dell’ITFS a Decimomannu o al Distretto Aerospaziale
Sardo, a discapito di altri investimenti utili alle comunità. O
si pensi alle politiche assistenzialiste come gli indennizzi a pescatori e
allevatori, a discapito di un vero sostegno allo sviluppo
economico. Il militarismo italiano di fatto è una forma di
colonialismo sulla Sardegna. [18]
Cosa si potrebbe fare lì in alternativa?
Le risposte a questa domanda potrebbero essere infinite.
Di sicuro, al momento, data l’impossibilità di gestione e anche solo
d’ingresso in quelle aree, fa sì che la popolazione non abbia voce in
capitolo. Il lavoro deve essere volto a riprendere questo potere,
che sia tramite il Comitato Paritetico, tramite il lavoro dei rappresentanti
politici con a cuore la smilitarizzazione della Sardegna o direttamente
attraverso le battaglie della società civile.
Dopodichè è necessaria un’importante opera di bonifica delle aree
interessate a spese dell’occupante. Una volta riottenute le terre
bonificate si può immaginare un futuro economicamente e socialmente
sostenibile. Le basi militari non sorgono sull’etere, ma sono
circondate da aree libere che vivono di altro e – come già detto
precedentemente – talvolta sono eccellenze della Sardegna
stessa. Quirra e Teulada fanno parte dell’area più attiva dal punto di
vista turistico balneare, diverse aree (lo stagno di Corru S’Ittiri, gli
stagni di Murtas e S’Acqua Durci, l’Isola Rossa, Capo Teulada e Porto
Pino) sono definite Siti di Interesse Comunitario (SIC) ma
ricadono del tutto o in parte nelle aree off-limits delle basi [20]. Esse potrebbero
essere valorizzate per la ricerca scientifica o potrebbero ospitare azioni a
tutela della flora e della fauna del luogo. Si potrebbero sviluppare forme di
turismo sostenibile, si potrebbe (riprendere a) fare allevamento, agricoltura,
o produzione di energie rinnovabili e migliaia di altre cose. Sicuramente
anche il nulla sarebbe meglio di attività altamente inquinanti, distruttive e
poco etiche. Un esempio palese è la dismissione della Base di La
Maddalena che dal 2008 è nelle disponibilità dei residenti: da tale data i
parametri economici della comunità sono in risalita rispetto al periodo della
gestione militare. [19]
Se ciò sembra un obiettivo a lungo termine, per non dire lontano, si può
iniziare a pretendere una riconsegna di tutti quei beni al momento ancora di
proprietà del Demanio militare ma inutilizzati dalla Difesa stessa. Tali
strutture, come le caserme chiuse, e tali aree naturali – come può essere il
Promontorio di Sant’Elia a Cagliari per citarne una – sarebbero immediatamente
a disposizione della collettività. [13]
Essere contro le basi militari significa
schierarsi pro o contro qualcuno in un conflitto?
No. Essere contro le basi significa intraprendere una lotta per l’autodeterminazione
della propria terra, ossia difenderla e pretendere il diritto di decidere
cosa farne.
Chi manifesta la propria contrarietà alle basi militari non si schiera con
uno o con l’altro contendente in un determinato conflitto, ma è contrario a che
i conflitti vengano preparati all’interno di aree sottratte alla collettività.
Le basi militari in Sardegna persistono dal 1950 e, in oltre 70 anni, il mondo
ha visto alternarsi periodi di guerra come periodi di pace (o di “meno
guerra”), ma ciò non ha ridotto di una virgola la pressione militare
sull’Isola. Essere contro le basi non sposterebbe l’ago della bilancia
in alcun conflitto.
Infine, premesso che – come spiegato sopra – le alleanze internazionali
tagliano spesso fuori le comunità dalle decisioni strategiche, la
Sardegna come entità non indipendente è un “passeggero” nelle dinamiche
geopolitiche condotte dall’Italia. In una Sardegna con i poteri di uno
Stato, la popolazione avrà la facoltà di decidere direttamente e indirettamente
il proprio destino, le proprie alleanze, la propria posizione nei conflitti
mondiali e la propria Difesa.
FONTI:
- Cosa si intende per “demanio”?, Regione Autonoma della
Sardegna, su regione.sardegna.it
- Le basi militari in Sardegna, Regione Autonoma della
Sardegna su, regione.sardegna.it
- La presenza militare nell’Isola, Regione Autonoma della
Sardegna, su regione.sardegna.it
- La base del Salto di Quirra, Regione Autonoma della
Sardegna, su regione.sardegna.it
- La base di Teulada, Regione Autonoma della
Sardegna, su regione.sardegna.it
- La base di Capo Frasca, Regione Autonoma della
Sardegna, su regione.sardegna.it
- Decimomannu, dove I piloti grandi e
piccoli del mondo si addestrano per fare la guerra, Sardinnia Aresti, su
www.maistrali.it
- La base di Maddalena, Regione Autonoma della
Sardegna, su regione.sardegna.it
- Lo sviluppo delle servitù, dal
dopoguerra a oggi, Regione Autonoma della Sardegna, su
regione.sardegna.it
- La disciplina delle basi militari
NATO ed USA in territorio nazionale, Parlamento Italiano, su
camera.it
- Accordi
sottobanco e trattati segreti, un secolo di (s)democrazia, Luca Rinaldi, su linkiesta.it
(2 luglio 2016)
- Il ruolo del Comitato paritetico, Regione Autonoma della
Sardegna, su regione.sardegna.it
- XVILegislatura – Interrogazione n.
1093/A, Agus et. al., 25 giugno 2021
- Capo
Frasca, 12mila contro le servitù. Manifestanti entrati nel poligono, Federico Fonnesu e Davide
Fara, su sardiniapost.it (2 luglio 2016)
- Nato & spesucce, in Sardegna
manco l’acqua, Mauro Pili, su L’Unione Sarda (17 maggio 2023)
- «A
Teulada i militari non comprano neppure un panino», Salvatore Loi, su L’Unione
Sarda (17 maggio 2023)
- Udienza G.I.P. per l’inquinamento nel
poligono di Teulada, Gruppo Intervento Giuridico, su
gruppodinterventogiuridicoweb.com (7 maggio 2022)
- Questione sarda e complesso
industriale-militare, Andria Pili, su jacobinitalia.it (15 aprile
2021)
- Le basi non portano ricchezza,
risarciti i comuni, Ivan Monni, su sindipendente.com (25 marzo
2023)
- Completamento della procedura di designazione
delle Zone Speciali di Conservazione (ZSC) riguardante Siti Natura 2000
ricadenti in aree interessate da poligoni militari, Regione Sardegna,
Deliberazione N. 23/81 del 22.06.2021
- “Il
poligono interforze del Salto di Quirra. Il prezzo del futuro”, Roberta Olianas, Tesi di
Laurea a Università degli studi di Cagliari, Facoltà di Scienze Politiche
(2012)
- “Guerra vista mare”, Omar Onnis, in Editoriale #8,
Sud su Menelik (2022)
https://www.assembleasarda.org/progetti/le-servitu-militari-spiegate-semplicemente/
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