capita che tutto quello che ci dicono è falso, se uno segue l'informazione dei media mainstream, o solo i miseri telegionali, megafoni del potere, sempre o quasi.
e allora fa piacere, dopo la vergognosa fuga dell'Afghanistan da parte dell'Invincible Armada occidentale, leggere e ascoltare voci diverse che ci raccontano quella guerra con le parole dei soldati vittime inconsapevoli di una guerra che sembrava una gita dell'oratorio, a sentire i criminali politici che si inchinano senza fiatare al volere indiscutibile del padrone.
e a ogni morto "Lo Stato s' indigna, si impegna, poi getta la spugna con gran dignità".
per sapere un po' di quello che è nascosto, con le parole dei due giornalisti e sopratutto dei soldati, questo libro illumina quel buio che (non) ci hanno mai mostrato.
buona (afgana) lettura.
…Spedendo i primi soldati fuori da Kabul, in zona di
combattimenti, nel 2003, il ministro della Difesa dell’epoca dichiarò: «È una
missione a rischio, ma le sue finalità sono comunque di peace-keeping». In
realtà già da fine 2001 i piloti del gruppo Lupi Grigi decollati dalla
portaerei Garibaldi erano impegnati nelle missioni di bombardamento
sull’Afghanistan insieme agli aerei americani: ne compirono 278.
Non c’era pace da mantenere laggiù, lo dimostra anche
l’esistenza di una unità come la Task Force 45, formata dall’élite delle forze
speciali italiane, quotidianamente impegnata in azioni di combattimento, ma la
cui esistenza all’inizio non era nemmeno ammessa dal governo.
Numerosi ‘operatori’ della fantomatica TF-45 raccontano
nei particolari le operazioni di guerra, portate a termine spesso senza poter
contare sul supporto degli aerei italiani. In vent’anni di intervento la guerra
ha portato con sé corruzione, ruberie, appetiti economici, tradimenti. E il
bilancio è uno solo: la situazione in Afghanistan è peggiorata.
“I giornalisti, quelli onesti, hanno sempre una grande prudenza a trattare
il tema della Verità, quella con la “V” maiuscola. In genere ce la caviamo
parlando delle verità, al plurale e con la “v” minuscola, per sottolineare che
possiamo offrire al lettore o ascoltatore la nostra visione delle cose, non un
concetto filosofico inattaccabile. In compenso siamo molto disponibili a
parlare delle bugie, quando le vediamo direttamente e possiamo verificarle.
Ecco, il tema fondamentale del libro ‘La guerra nascosta – L’Afghanistan nel
racconto dei militari italiani”, che Massimo de Angelis ed io abbiamo
pubblicato con Laterza, è proprio questo. La missione era una grande,
intollerabile bugia rivolta all’opinione pubblica, al Parlamento, ai cittadini.
In Italia, si dice, non esiste una cultura della Difesa, e i governi cercano di evitare al massimo ogni ammissione sulla vera natura delle operazioni internazionali. Ma se i soldati italiani hanno combattuto, hanno ucciso, sono caduti, vuol dire che erano in guerra. Non erano impegnati in un intervento umanitario, ancora meno in un’operazione di peacekeeping: era una guerra. Per noi giornalisti che spesso abbiamo seguito le vicende afghane, sia “embedded” con i militari del nostro contingente che in totale autonomia, i fatti erano evidenti. Molto meno chiara era la narrativa suggerita dagli Stati maggiori, che obbedivano com’è ovvio a disposizioni dall’alto e proponevano una versione sempre annacquata di tutto.
Lavorando con gli strumenti giornalistici sul libro avevamo almeno tre
buone carte da giocare: i tempi di lavorazione, per fortuna più distesi delle
esigenze di quotidiani e tv, poi il fatto che ormai la missione era conclusa e
i “rischi” politici erano sicuramente trascurabili. Ma la carta più importante
era la fiducia degli uomini con le stellette, conquistata in decenni di lavoro
al loro fianco, esercitando il rispetto per l’impegno e il sacrificio anche
quando – succedeva e anche non di rado – le valutazioni dei fatti non erano le
stesse.
Qualche volta, com’è facile immaginare, lavorare da giornalisti “embedded”
può impedire di vedere alcune cose, ma allo stesso tempo rende possibile
vederne altre. E noi abbiamo visto con chiarezza che la bugia dei governi –
tutti uguali, da questo punto di vista – non reggeva la verifica dei fatti.
Abbiamo scoperto qualcosa di paradossale: la cappa di eufemismi o persino di
censura che circondava la missione italiana lasciava spiragli inattesi ovunque.
Persino nelle motivazioni delle medaglie abbiamo trovato il racconto di episodi
di sangue, che gli Stati maggiori si erano ben guardati dal comunicare.
Abbiamo raccolto le testimonianze dei militari spesso in modo anonimo, per
ovvi motivi. Il lettore dovrà contare sulla garanzia degli autori, che ci
mettono la faccia: ci sono solo alcuni dettagli raccontati in modo da
nascondere l’identità delle persone e non rendere identificabili le fonti.
Grazie al coraggio e all’onestà di chi ha raccontato, siamo convinti di aver
contribuito a una visione più corretta: insomma, la guerra in Afghanistan oggi
è un po’ meno nascosta”. (Giampaolo Cadalanu)
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