venerdì 14 luglio 2023

scrive Wolfgang Münchau

 

Ieri la newsletter del Corriere della Sera ha pubblicato il seguente pezzo sulla politica europea dell'austerità e sul futuro che ci attende dell'analista tedesco Wolfgang Münchau. Vi invito caldamente a leggerlo. PArticolarmente interessanti le conseguenze economiche della guerra in Ucraina che ricadranno sulle nostre esistenze: ma certo, in nome della Difesa della Democrazia tutto è lecito, anche distruggere le basi materiali minime delle democrazie e consegnarle ai fascismi del XXI secolo, che però, tranquilli, sono diversi dal fascismo del XX.

"L’ho definito il più grave errore di politica comunitaria che abbia mai visto nel corso della mia vita. Parlo dell’austerità: introdotta dopo l’inizio della crisi della zona euro, questa misura ha causato danni permanenti alla resilienza economica della stessa, contribuito al dilagare dell’estrema destra e provocato spaccature tra i paesi dell’Unione. E adesso hanno deciso di riprovarci.

L’austerità non è un compromesso tra sacrifici a breve termine in cambio di vantaggi a lungo raggio. No, l’austerità colpisce e penalizza i cittadini anche nel lungo periodo. Di recente, la New Economics Foundation, un think tank indipendente britannico, ha elaborato una stima del costo totale dell’austerità nell’intero periodo, calcolando un ammanco di 533 miliardi di euro di investimenti nelle infrastrutture, comprese le energie rinnovabili. Le conseguenze deleterie della politica dell’austerità sono sotto gli occhi di tutti, e si traducono nella carenza di finanziamenti a forze armate e corpi di polizia, incuria nelle reti ferroviarie, fino alla chiusura forzosa di alcune autostrade.

La Commissione europea, tuttavia — e di questo gliene diamo atto — ha proposto una riforma del vecchio regime fiscale, ovvero il patto di crescita e di stabilità. Si tratta di una nuova normativa tesa ad assicurare la convergenza fiscale all’interno della zona euro. La Commissione sostiene di voler introdurre una maggior flessibilità nell’applicazione delle regole, per adattarle alle condizioni economiche dei singoli paesi. Ma il ministro tedesco delle finanze, Christian Lindner, non si fida né della Commissione né di gran parte dei suoi colleghi europei. Lindner auspica il ritorno al vecchio regime, con qualche piccolo cambiamento. A mio avviso, si raggiungerà un accordo su un compromesso, che tuttavia non riuscirà a scongiurare l’attuazione di molte misure di austerità.

La situazione si annuncia peggiore dell’ultima volta, in base alla posizione di partenza: l’Italia ha registrato un deficit dell’8 percento sul rendimento economico dello scorso anno, che secondo le stime calerà al 3,7 percento il prossimo anno. Da allora in poi, l’Italia dovrà introdurre nuove restrizioni di bilancio, che produrranno un fortissimo inasprimento fiscale. La Francia, che si ritrova a fare i conti con un’ondata di disordini civili, sarà costretta anch’essa ad applicare tagli fiscali di pari portata.

Guardiamo adesso alla politica. L’agenda europea sui cambiamenti climatici sta entrando in una fase in cui si cominciano a registrare i costi reali. Il governo tedesco si accinge a varare una legge sul riscaldamento domestico per costringere i proprietari di immobili a sostituire le caldaie a gas con le costose pompe di calore. E da Bruxelles è in arrivo una nuova legislazione ambientale molto più onerosa, per non parlare del graduale abbandono delle auto a combustione interna, che aggraverà i costi per gli automobilisti. In Germania si è vista ultimamente un’impennata di consensi all’estrema destra, proprio per la sua opposizione alle politiche verdi.

A questa miscela già incandescente oggi va a sommarsi l’austerità. Con il ripristino della normativa fiscale ricompare il rigido vincolo di bilancio. L’agenda verde rappresenta il programma più costoso dell’intera storia dell’Unione europea, ed è destinata a colpire i cittadini in modo disomogeneo. I proprietari immobiliari, i pendolari e gli agricoltori saranno penalizzati maggiormente rispetto ai residenti urbani che vivono in affitto, e i governi non saranno più in grado di indennizzare coloro che ci rimettono, proprio a causa dell’austerità. Verranno così a crearsi spaccature in seno alla società, simili a quelle che si sono viste con la Brexit, tra le metropoli e le zone rurali.

In questo momento, saltano all’occhio numerose analogie con il quadro politico ed economico che ha preceduto la Brexit. In linea di massima, il Regno Unito era ben inserito nei meccanismi dell’Unione europea, benché i sussidi fossero distribuiti in modo diseguale. Se perdono ogni forma di compensazione, le fasce sociali più disagiate finiscono con l’esprimere il loro malcontento alle urne.

L’austerità metterà un freno anche ad altri considerevoli impegni finanziari, come gli aiuti monetari e militari all’Ucraina. Una volta ristabilita la normativa fiscale, gli interventi a favore dell’Ucraina entreranno in concorrenza con la spesa interna. A marzo, appena dopo il primo anniversario dell’invasione russa, il costo della ricostruzione dell’Ucraina è stato stimato intorno ai 400 miliardi di dollari.bcon il protrarsi del conflitto. La piena adesione dell’Ucraina all’Unione europea comporta anch’essa nuovi costi, in quanto l’Europa dovrà sostenere l’Ucraina per molto tempo dopo il suo ingresso nell’Unione.

Se dovesse entrare nell’Ue, l’Ucraina diventerebbe il più grande beneficiario netto dei fondi europei, tagliando fuori gli attuali beneficiari, ovvero i paesi dell’Europa del sud e dell’est. Il contributo netto della Germania, già il più elevato tra tutti, si appesantirebbe notevolmente. Non riesco a capire come tutto questo sarà possibile quando verranno reintrodotte le restrizioni di bilancio. L’Ue, dal canto suo, potrebbe ricorrere ai suoi giochi di prestigio finanziari, essendo già esperta nel far brillare gli specchietti per le allodole. Ma ci sono limiti concreti. L’Ue potrebbe lanciare un programma di ricostruzione dell’Ucraina, analogo al Recovery Fund creato all’inizio della pandemia. Questo meccanismo, però, era stato introdotto come un caso isolato, e non ha riscosso un consenso unanime. L’Ue potrebbe provare a coinvolgere gli istituti internazionali e il settore privato, distogliendo gli asset russi congelati nelle riserve delle banche centrali, pari a 200 miliardi di euro. Una mossa, però, che solleva non pochi problemi legali e potrebbe allontanare gli investitori internazionali dalla zona euro. Non esistono scelte facili. Il grosso dei finanziamenti per la ricostruzione dovrà essere garantito dai governi nazionali e ogni procedura richiederà l’approvazione unanime. E questa sarà l’impasse.

Confesso che la commistione di austerità fiscale ed esigenze di spesa contrastanti mi lascia assai scettico, quando si tratta di stilare grandi proposte senza le necessarie coperture, come il sostegno su vasta scala all’Ucraina o il finanziamento di un esercito europeo. Il grosso interrogativo non è se si tratti o meno di proposte valide. Personalmente, sono convinto della loro bontà, ma non capisco come si potrebbe raccogliere una maggioranza politica a sostegno di tali progetti, e al contempo attuare tutte politiche indispensabili al funzionamento dell’Unione europea e altro ancora.

L’austerità avrà molte ricadute economiche, ma le sue ripercussioni sul versante politico saranno estremamente tossiche. Oggi i nostri disavanzi pubblici sono molto più elevati che nel periodo pre pandemia; l’inflazione si è rimessa a correre; l’estrema destra va rafforzandosi; e l’Ue ha già assunto gravosi impegni per portare avanti una costosa agenda di transizione ecologica. Tutti questi fattori intervengono a intralciare le scelte di politica estera europea, proprio nel momento in cui l’Ue comincia a scoprire il suo ruolo geopolitico. I conti non tornano e stiamo già toccando i limiti di quello che un’Unione europea decentrata e regolamentata può sperare di raggiungere".

da qui

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