Ieri la newsletter del Corriere della
Sera ha pubblicato il seguente pezzo sulla politica europea dell'austerità e
sul futuro che ci attende dell'analista tedesco Wolfgang Münchau. Vi invito
caldamente a leggerlo. PArticolarmente interessanti le conseguenze economiche
della guerra in Ucraina che ricadranno sulle nostre esistenze: ma certo, in
nome della Difesa della Democrazia tutto è lecito, anche distruggere le basi
materiali minime delle democrazie e consegnarle ai fascismi del XXI secolo, che
però, tranquilli, sono diversi dal fascismo del XX.
"L’ho definito il più grave errore
di politica comunitaria che abbia mai visto nel corso della mia vita. Parlo
dell’austerità: introdotta dopo l’inizio della crisi della zona euro, questa
misura ha causato danni permanenti alla resilienza economica della stessa,
contribuito al dilagare dell’estrema destra e provocato spaccature tra i paesi
dell’Unione. E adesso hanno deciso di riprovarci.
L’austerità non è un compromesso tra
sacrifici a breve termine in cambio di vantaggi a lungo raggio. No, l’austerità
colpisce e penalizza i cittadini anche nel lungo periodo. Di recente, la New
Economics Foundation, un think tank indipendente britannico, ha elaborato una
stima del costo totale dell’austerità nell’intero periodo, calcolando un
ammanco di 533 miliardi di euro di investimenti nelle infrastrutture, comprese
le energie rinnovabili. Le conseguenze deleterie della politica dell’austerità
sono sotto gli occhi di tutti, e si traducono nella carenza di finanziamenti a
forze armate e corpi di polizia, incuria nelle reti ferroviarie, fino alla
chiusura forzosa di alcune autostrade.
La Commissione europea, tuttavia — e di
questo gliene diamo atto — ha proposto una riforma del vecchio regime fiscale,
ovvero il patto di crescita e di stabilità. Si tratta di una nuova normativa
tesa ad assicurare la convergenza fiscale all’interno della zona euro. La
Commissione sostiene di voler introdurre una maggior flessibilità
nell’applicazione delle regole, per adattarle alle condizioni economiche dei
singoli paesi. Ma il ministro tedesco delle finanze, Christian Lindner, non si
fida né della Commissione né di gran parte dei suoi colleghi europei. Lindner
auspica il ritorno al vecchio regime, con qualche piccolo cambiamento. A mio
avviso, si raggiungerà un accordo su un compromesso, che tuttavia non riuscirà
a scongiurare l’attuazione di molte misure di austerità.
La situazione si annuncia peggiore
dell’ultima volta, in base alla posizione di partenza: l’Italia ha registrato
un deficit dell’8 percento sul rendimento economico dello scorso anno, che
secondo le stime calerà al 3,7 percento il prossimo anno. Da allora in poi,
l’Italia dovrà introdurre nuove restrizioni di bilancio, che produrranno un
fortissimo inasprimento fiscale. La Francia, che si ritrova a fare i conti con
un’ondata di disordini civili, sarà costretta anch’essa ad applicare tagli
fiscali di pari portata.
Guardiamo adesso alla politica. L’agenda
europea sui cambiamenti climatici sta entrando in una fase in cui si cominciano
a registrare i costi reali. Il governo tedesco si accinge a varare una legge
sul riscaldamento domestico per costringere i proprietari di immobili a
sostituire le caldaie a gas con le costose pompe di calore. E da Bruxelles è in
arrivo una nuova legislazione ambientale molto più onerosa, per non parlare del
graduale abbandono delle auto a combustione interna, che aggraverà i costi per
gli automobilisti. In Germania si è vista ultimamente un’impennata di consensi
all’estrema destra, proprio per la sua opposizione alle politiche verdi.
A questa miscela già incandescente oggi
va a sommarsi l’austerità. Con il ripristino della normativa fiscale ricompare
il rigido vincolo di bilancio. L’agenda verde rappresenta il programma più
costoso dell’intera storia dell’Unione europea, ed è destinata a colpire i
cittadini in modo disomogeneo. I proprietari immobiliari, i pendolari e gli
agricoltori saranno penalizzati maggiormente rispetto ai residenti urbani che
vivono in affitto, e i governi non saranno più in grado di indennizzare coloro
che ci rimettono, proprio a causa dell’austerità. Verranno così a crearsi
spaccature in seno alla società, simili a quelle che si sono viste con la
Brexit, tra le metropoli e le zone rurali.
In questo momento, saltano all’occhio
numerose analogie con il quadro politico ed economico che ha preceduto la
Brexit. In linea di massima, il Regno Unito era ben inserito nei meccanismi
dell’Unione europea, benché i sussidi fossero distribuiti in modo diseguale. Se
perdono ogni forma di compensazione, le fasce sociali più disagiate finiscono
con l’esprimere il loro malcontento alle urne.
L’austerità metterà un freno anche ad
altri considerevoli impegni finanziari, come gli aiuti monetari e militari
all’Ucraina. Una volta ristabilita la normativa fiscale, gli interventi a
favore dell’Ucraina entreranno in concorrenza con la spesa interna. A marzo,
appena dopo il primo anniversario dell’invasione russa, il costo della
ricostruzione dell’Ucraina è stato stimato intorno ai 400 miliardi di
dollari.bcon il protrarsi del conflitto. La piena adesione dell’Ucraina
all’Unione europea comporta anch’essa nuovi costi, in quanto l’Europa dovrà
sostenere l’Ucraina per molto tempo dopo il suo ingresso nell’Unione.
Se dovesse entrare nell’Ue, l’Ucraina
diventerebbe il più grande beneficiario netto dei fondi europei, tagliando
fuori gli attuali beneficiari, ovvero i paesi dell’Europa del sud e dell’est.
Il contributo netto della Germania, già il più elevato tra tutti, si
appesantirebbe notevolmente. Non riesco a capire come tutto questo sarà
possibile quando verranno reintrodotte le restrizioni di bilancio. L’Ue, dal
canto suo, potrebbe ricorrere ai suoi giochi di prestigio finanziari, essendo
già esperta nel far brillare gli specchietti per le allodole. Ma ci sono limiti
concreti. L’Ue potrebbe lanciare un programma di ricostruzione dell’Ucraina,
analogo al Recovery Fund creato all’inizio della pandemia. Questo meccanismo,
però, era stato introdotto come un caso isolato, e non ha riscosso un consenso unanime.
L’Ue potrebbe provare a coinvolgere gli istituti internazionali e il settore
privato, distogliendo gli asset russi congelati nelle riserve delle banche
centrali, pari a 200 miliardi di euro. Una mossa, però, che solleva non pochi
problemi legali e potrebbe allontanare gli investitori internazionali dalla
zona euro. Non esistono scelte facili. Il grosso dei finanziamenti per la
ricostruzione dovrà essere garantito dai governi nazionali e ogni procedura
richiederà l’approvazione unanime. E questa sarà l’impasse.
Confesso che la commistione di austerità
fiscale ed esigenze di spesa contrastanti mi lascia assai scettico, quando si
tratta di stilare grandi proposte senza le necessarie coperture, come il
sostegno su vasta scala all’Ucraina o il finanziamento di un esercito europeo.
Il grosso interrogativo non è se si tratti o meno di proposte valide.
Personalmente, sono convinto della loro bontà, ma non capisco come si potrebbe
raccogliere una maggioranza politica a sostegno di tali progetti, e al contempo
attuare tutte politiche indispensabili al funzionamento dell’Unione europea e
altro ancora.
L’austerità avrà molte ricadute
economiche, ma le sue ripercussioni sul versante politico saranno estremamente
tossiche. Oggi i nostri disavanzi pubblici sono molto più elevati che nel
periodo pre pandemia; l’inflazione si è rimessa a correre; l’estrema destra va
rafforzandosi; e l’Ue ha già assunto gravosi impegni per portare avanti una
costosa agenda di transizione ecologica. Tutti questi fattori intervengono a intralciare
le scelte di politica estera europea, proprio nel momento in cui l’Ue comincia
a scoprire il suo ruolo geopolitico. I conti non tornano e stiamo già toccando
i limiti di quello che un’Unione europea decentrata e regolamentata può sperare
di raggiungere".
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