La Barbera, uomo fidato di De Gennaro e dietro le quinte delle brutalità e torture poliziesche al G8 di Genova, era noto anche per come trattasse la devianza e la delinquenza comune a Roma al pare di nemici terroristi da sterminare senza darsi troppe preoccupazioni deontologiche e di rispetto delle norme democratiche. Ma ecco che adesso si scopre qualcosa in più: era anche a servizio della mafia come dei servizi deviati.
“Figura centrale di questo
depistaggio è Arnaldo La Barbera. Mi auguro di non sentire affermazioni, da
parte della difesa, sul fatto che si processano i morti, chi non è in grado di
difendersi, sugli schizzi di fango, così come fatto in primo grado. Perché al
di là delle frasi ad effetto mi piacerebbe capire cosa dovrebbe fare un
pubblico ministero quando c’è l’ipotesi di un’azione delittuosa concorsuale nel
momento in cui la figura centrale è deceduta. “Dovremmo archiviare anche per
gli altri? E nemmeno si possono omettere tutte le argomentazioni che riguardano
la figura centrale“. Lo ha detto il pm Maurizio Bonaccorso, applicato alla
procura generale, iniziando la sua requisitoria nel processo sul depistaggio
delle indagini sulla strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta nei
confronti dei poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Tutti ex
appartenenti al gruppo di indagine Falcone-Borsellino con a capo Arnaldo La
Barbera.
“Dobbiamo partire – ha continuato
Bonaccorso – dalle risultanze su Arnaldo La Barbera che ci danno l’immagine di
un soggetto che è un ponte tra due mondi, quello di Cosa Nostra e quello dei
servizi deviati, entrambi interessati al mancato accertamento della verità.
Alla scorsa udienza ho iniziato la requisitoria parlando dell’anomala
collaborazione, per non dire inquietante, tra la procura di Caltanissetta e il
Sisde nella fase preliminare delle indagini.
Questa collaborazione nasce
dall’ostinazione del dottore Tinebra, allora procuratore di Caltanissetta, che
all’indomani della strage sollecitò una collaborazione con il Sisde. La cosa
singolare è che l’attività del Sisde, anziché entrare in collisione con
l’attività della Squadra Mobile di Palermo, si salda perfettamente con essa. Il
Sisde veste di mafiosità Vincenzo Scarantino, che fino ad allora era stato un
delinquente comune”. Vincenzo Scarantino era definito come un “picciotto” del
quartiere della Guadagna che si occupava all’epoca di furtarelli e sigarette di
contrabbando.
“Fondamentale è il tema dell’agenda
rossa. Abbiamo una serie di fonti dichiarative che ci confermano l’importanza
per Borsellino di questa agenda rossa. In questa agenda lui annotava una serie
di riflessioni sulla strage di Capaci nella speranza di essere sentito a
Caltanissetta”. Così il pm Maurizio Bonaccorso nella sua requisitoria fiume nel
processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, che si celebra
a Caltanissetta in corte d’Appello.
“La signora Agnese Piraino Borsellino –
ha continuato Bonaccorso – ha spiegato che, nella certezza di essere ucciso,
Borsellino aveva cominciato a usare due agende, quella grigia e quella rossa,
dove annotava sue riflessioni. Il secondo dato è la presenza dell’agenda rossa
nella borsa di Borsellino il 19 luglio 1992. Abbiamo sul punto le dichiarazioni
della dottoressa Borsellino che ci dice: papà aveva tre agende, una marrone,
dove metteva qualche dato e numeri di telefono, l’altra grigia, dove annotava
alcune cose, e quella rossa che per lui era importantissima.
Quella mattina aveva portato l’agenda
con sé perché non verrà ritrovata a casa dei familiari. In macchina venne
accompagnato dal figlio Manfredi che gli porta la borsa e gliela consegna. E
l’agenda era in quella borsa. Quando Borsellino scende dalla macchina in via
D’Amelio non ha con sé in mano l’agenda rossa. Primo perché lui guida la
macchina e poi dalle testimonianze emerge che il dottore Borsellino, prima di
andare a citofonare alla madre, si accende una sigaretta.
Quindi aveva in una mano la sigaretta e
nell’altra l’accendino, quindi non poteva avere l’agenda in mano. Altro dato su
quale abbiamo certezza è l’inesistenza di una seconda borsa di Borsellino”.
“Altro dato significativo – prosegue è che questa agenda non è stata più
trovata, quindi qualcuno se n’è appropriato.
E non è qualcuno di Cosa Nostra. Perché
non è pensabile che sulla scena della strage ci fossero dei mafiosi intervenuti
per appropriarsi dell’agenda rossa. Altro dato è che la borsa ricompare nella
stanza di Arnaldo La Barbera a mesi di distanza, in maniera irrituale, senza
che sia stato fatto un verbale di sequestro, e soprattutto viene riconsegnata
in maniera irrituale alla famiglia di Borsellino”.
“Arnaldo La Barbera era a libro
paga dei Madonia”. Lo ha detto il pm Maurizio Bonaccorso nella sua requisitoria
ripresa questo pomeriggio nel corso del processo sul depistaggio delle indagini
sulla strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta dinanzi alla Corte
d’Appello presieduta dal giudice Giovanbattista Tona. In aula anche il
procuratore generale Fabio D’Anna e il sostituto procuratore generale Gaetano
Bono.
Bonaccorso questa mattina aveva già
parlato di finanziamenti all’ex capo della Squadra Mobile, Arnaldo La Barbera
da parte del Sisde. “Il dottore Arnaldo La Barbera – ha continuato Bonaccorso –
aveva un tenore di vita altissimo. Abbiamo accertato che Arnaldo La Barbera
versava continuamente soldi sul suo conto corrente. In un anno circa 100
milioni di lire. Difficile credere che si potesse trattare di trasferte.
Neanche avesse fatto il giro del mondo.
Quello che è significativo sono le
modalità in cui questo contante viene versato. Nel ’91 c’è un solo versamento
di 8 milioni di lire, nel ’92 questa persona di colpo cambia abitudini rispetto
alla sua attività bancaria e comincia a fare versamenti continui per importi
davvero consistenti. Certamente non sono tutti proventi illeciti ma questo dato
ci conferma quello che hanno detto i collaboratori Vito Galatolo e Francesco
Onorato e cioè che La Barbera era a libro paga dei Madonia.
Quindi abbiamo un personaggio ambiguo
che da un lato viene costantemente finanziato dal Sisde. Dall’altra parte
abbiamo i collaboratori che ci raccontano di un rapporto con la mafia”.
Sui rapporti tra La Barbera e la mafia
il pm ha richiamato un episodio raccontato nel corso del processo da parte del
collaboratore di giustizia Vito Galatolo. “Vicolo Pipitone – dice il pm – era
il luogo dove si sono fatti i più importanti summit di mafia, dove venivano
fatti omicidi. Da lì partivano anche i commando per uccidere. Il collaboratore
di giustizia Vito Galatolo, chiamato a testimoniare durante questo processo, ci
ha detto che vide Arnaldo La Barbera entrare in vicolo Pipitone in due episodi
per incontrare suo zio Pino Galatolo che in quel periodo era ai domiciliari, e
quindi non poteva uscire”.
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