Coloro che periscono fra i flutti, a differenza delle vittime di bombardamenti, offrono il vantaggio di morire silenziosamente e di scomparire in quel grande cimitero liquido che è il Mediterraneo, senza bisogno di sepoltura e annunci di gazzetta.
In questo tempo buio in cui assistiamo ad un corsa alla disumanità che raggiunge sempre nuovi traguardi, in cui il trionfo della morte a Gaza viene rivendicato come un successo dal potere politico che governa lo Stato d’Israele, in cui le autorità politiche europee “normalizzano” la guerra come strumento della politica ed istigano il potere politico che governa l’Ucraina a proseguire il bagno di sangue che sta svenando due popoli fratelli, la strage dei migranti che si consuma silenziosamente nel Mar Mediterraneo potrebbe apparire poca cosa. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) i morti negli ultimi dieci anni hanno toccato quota 26 mila. Coloro che periscono fra i flutti, a differenza delle vittime di bombardamenti, offrono il vantaggio di morire silenziosamente e di scomparire in quel grande cimitero liquido che è il Mediterraneo, senza bisogno di sepoltura e annunci di gazzetta. A meno che non abbiano il cattivo gusto di annegare proprio sulle nostre coste, come hanno fatto quegli sciagurati che sono naufragati a Cutro fra il 25 e 26 febbraio del 2023, suscitando un effimero moto di compassione nell’opinione pubblica, immediatamente smorzato dal Ministro Piantedosi che ha incolpato le madri e i padri della morte dei propri figli.
La destra al potere ha fatto un motivo di vanto della promessa stroncare gli
sbarchi, minacciando improbabili blocchi navali, mentre la Meloni e la Von der
Layen si affannano ad esternalizzare le frontiere dell’Unione Europea,
affidando, dietro pagamento, alla Tunisia e all’Egitto il compito di fermare le
partenze. Ciononostante continua il flusso di coloro che si imbarcano su mezzi
di fortuna per cercare una speranza di vita degna sull’altra sponda e rimane il
problema di tutelare la vita umana in alto mare. La presenza di navi ingaggiate
da organizzazioni umanitarie, dopo il ritiro di missioni pubbliche di soccorso
come Mare Nostrum, è stata sempre avversata come un ostacolo per la
gestione dell’immigrazione. Contro quest’attività di soccorso si sono
scagliati, anche in passato, coloro oggi si trovano sul ponte di comando.
Ricordiamo un tweet dell’On. Meloni che, il 26 giugno 2019 inveiva contro la
Sea Watch, chiedendo che l’equipaggio venisse arrestato e la nave venisse
affondata per il grave delitto di aver salvato dei profughi che rischiavano di
annegare. Dopo che l’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini è stato rinviato a
giudizio a Palermo per sequestro di persona in relazione alla mancata
autorizzazione allo sbarco dei naufraghi salvati dalla nave spagnola Open Arms,
è divenuta impraticabile l’opzione di impedire lo sbarco dei naufraghi salvati
in alto mare. Non è venuta meno, però, l’attitudine a ostacolare
l’attività di soccorso effettuata dalle navi umanitarie. Nel tempo del Governo
Meloni, quest’attitudine si è concretizzata con il decreto legge 1/2023
(convertito nella legge 15/23), che reca disposizioni urgenti in materia di
transito e sosta nelle acque territoriali delle navi non governative impegnate
nelle operazioni di soccorso in mare. Il decreto pone una serie di vincoli e
restrizioni che ostacolano l’attività di soccorso e consentono di applicare il
fermo amministrativo della nave per 20 giorni ed una multa che va da 2.000 a
10.000 euro. Violazioni ripetute possono portare alla confisca della nave.
Praticamente tutte le navi impegnate in operazioni di salvataggio sono state
sanzionate con il fermo amministrativo, la Sea-Watch 5, la Sea-eye 4, la Ocean
Viking e la Mare Jonio. Quasi tutti questi fermi amministrativi sono stati
annullati dai Tribunali, però è stato raggiunto lo stesso l’obiettivo di tenere
queste imbarcazioni il più possibile lontane dal mare e di svuotare il
Mediterraneo di testimoni indesiderati. Il 4 aprile Mare Jonio, ha effettuato
un drammatico intervento di salvataggio. E’ stato diffuso un video in cui si
vede l’intervento della Motovedetta Fezzan, generosamente donata dall’Italia
alla Libia, che cerca di ostacolare il salvataggio aprendo il fuoco contro
naufraghi e soccorritori. Nello stesso video si vedono alcune persone a bordo
della Motovedetta che si gettano in acqua per farsi recuperare dalla Mare
Jonio. Appena la nave è giunta nel porto di Pozzallo, è stato notificato al
comandante e all’armatore il provvedimento di fermo amministrativo e la multa
di 10.000 euro, con l’accusa di “di aver istigato la fuga dei migranti per
sottrarsi alla guardia libica”. Questa vicenda scoperchia i due filoni più
disumani della politica meloniana di gestione dell’immigrazione: il primo
riguarda l’opzione di tenere il più possibile l’alto mare sgombro di navi di
soccorso e di testimoni, con l’effetto di lasciare perire fra i flutti quelli
che non ce la fanno a raggiungere le coste italiane, il secondo è quello di
affidare alla Libia il lavoro sporco di intercettare i migranti e di ricondurli
verso i lager da cui sono fuggiti, attività penalmente illecita se compiuta da
navi italiane (Cass. Pen. n.4557/2024).
In questo tempo di violenza disumana e di necropolitica, il contributo dei
nostri Meloni, Salvini e Piantedosi, può apparire modesto, ma vicende come
quella della Mare Jonio dimostrano che anche noi siamo in corsa per garantirci
uno spazio di morte nel ballo in maschera del potere.
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