Nelle scorse giornate ha fatto discutere la querelle tra Starlink, la società di Elon Musk che offre servizi di connessione internet via satellite con il sistema omonimo, e Telecom Italia, attaccata in forma diretta dal conglomerato del magnate americano di origini sudafricana. Il motivo? Starlink, controllata da Musk tramite SpaceX ha presentato una querela contro Telecom perché ostacolerebbe lo sdoganamento dei servizi internet veloci nella Penisola.
“Dalla società guidata da Elon Musk, sostengono che Telecom Italia non
abbia rispettato per mesi le norme che le imponevano di condividere i dati
dello spettro per evitare interferenze di frequenza con le sue
apparecchiature”, nota Il Sole 24 Ore, aggiungendo che secondo
il gruppo di imprese di Musk “la mancanza di accesso ai dati sta rallentando
fortemente l’installazione di nuove apparecchiature di proprietà di Starlink”.
Al di là del caso giudiziario, su cui non si hanno elementi per giudicare
ampiamente la questione, è interessante sottolineare la querelle
politica che sottende alla sfida tra Musk e Telecom. Ovvero un
rilancio dell’attenzione per le infrastrutture di telecomunicazione italiane
nel pieno del braccio di ferro per la conclusione del deal Telecom-Kkr per
la vendita della rete primaria e secondaria della telco italiana e del grande
gioco su Sparkle, il “gioiello della corona” dell’ex monopolista di
rete. L’azienda che gestisce l’impero dei cavi sottomarini costruito nei
decenni a partire dall’ex Stet, oggi titolare di oltre mezzo milione di
chilometri di cavi in fibra ottica nel mondo, non sarà per ora venduta da
Telecom, il cui Ceo Pietro Labriola ha di recente rifiutato
assieme al Cda l’offerta del fondo spagnolo Asterion e del Ministero
dell’Economia e delle Finanze per il 100% di Sparkle.
Il prossimo 23 aprile l’assemblea dei soci di Telecom si
riunirà dunque in un quadro di grande incertezza per rinnovare le cariche del gruppo. Il gruppo di Via
Negri a Milano si trova in mezzo, ad oggi, a tre partite che riguardano
da vicino la sfida per l’egemonia sulle reti di telecomunicazioni
italiane. Innanzitutto, il
derby franco-americano sulla vendita della rete, su cui
il primo azionista Vivendi da tempo storce il naso; in secondo luogo, la sfida
su Sparkle con l’interesse predominante di Asterion e il Mef che
intende replicare l’operazione di spalleggiamento fatta sul deal NetCo. Infine,
la partita aperta da Musk e Starlink con un tempismo che colpisce vista
la vicinanza del rinnovo delle cariche. Labriola ha dato via libera alla
vendita degli asset di rete tradizionali a NetCo ma non ha alcuna intenzione
di trasformare Telecom in un guscio vuoto. E anche sulla sua linea
di bilanciamento tra gli azionisti italiani, francesi e anglosassoni sparsi nel
lungo elenco dei soci Telecom si giocherà la sua riconferma. Tutto questo
mentre un altro tema caldo va tenuto sotto osservazione: il legame tra gli
affari delle reti e il nodo della supervisione del decisore pubblico.
Il fatto che per negare i ponti radio a Starlink avrebbe addotto ragioni di sicurezza apre un grande
tema. Quello, cioè, della priorità delle scelte d’interesse nazionale riguardanti
asset strategici come le reti di telecomunicazioni. Che, in un’epoca sempre più
competitive, spettano al governo di un Paese, chiamato a tirare le file tra
scelte complesse. Musk ha sicuramente ben colto la finestra
d’opportunità che il mercato spaziale e tecnologico italiano offrono
alle sue aziende. E si è inserito a capofitto nel gran gioco delle reti ben
sapendo che a dirimere il dubbio posto da Telecom potrà essere solo l’esecutivo
di Giorgia Meloni, che tramite il Ministro delle Imprese e del Made in
Italy Adolfo Urso ha lanciato un tavolo di mediazione tra Telecom e
Starlink esteso al garante delle comunicazioni (Agcom).
La destra italiana che ama Elon Musk quasi quanto ama i discorsi sulla
sovranità nazionale è chiamata a una partita decisiva per gli assetti delle
reti: spingerà Telecom alla convergenza forzata con Starlink,
aprendo dunque a una nuova espansione americana nel business di una società di
cui, comunque, l’Italia vuole mantener il controllo e di cui vuole blindare
l’asset più chiave per le reti, ovvero quella Sparkle che costruendo i cavi in
fibra ottica dà vita al vero contendente all’Internet via satellite? Oppure
prescriverà a Starlink una condotta orientata a garanzie funzionali per
l’attore pubblico nel guardare come i flussi dati sono gestiti da un
attore esterno, dunque di fatto aprendo a un caso di applicazione del golden
power su un attore di un Paese amico come gli Usa? Oppure ancora
prenderà tempo mentre mercato e sfide geopolitiche si sommano nel plasmare la
corsa agli asset strategici dell’Italia?
Il dilemma è netto e si inserisce nel quadro di un sistema che vede la
Penisola centrale nella corsa alle telecomunicazioni di domani. Gli Usa, con
Kkr, lo hanno dimostrato sulla telefonia. Sparkle gestisce la costruzione e
manutenzione degli strategici cavi sottomarini cruciali per i flussi
d’informazioni securitarie, economiche e strategiche nel mondo moderno;
Starlink vuole l’Italia come ponte per l’Europa meridionale e il Mediterraneo.
Servirebbe una vera agenda governativa per capire come Roma
possa giocare a suo favore questo fermento. L’alternativa è essere soggetto,
prima che oggetto, di queste dinamiche. E rispondere a ruota a mosse pensate da
giocatori esterni.
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