LA CROCIFISSIONE DI JULIAN ASSANGE - Chris Hedges
I tribunali britannici trascinano da cinque anni il processo-farsa di Julian Assange. Continua ad essergli negato il giusto processo mentre la sua salute fisica e mentale si deteriora. Questo è ciò che vogliono.
I procuratori che rappresentano gli Stati Uniti, per volontà o per
incompetenza, si erano rifiutati – nell’udienza
di due giorni a cui avevo
assistito a Londra in febbraio – di assicurare che a Julian
Assange sarebbero stati garantiti i diritti del Primo Emendamento e che gli
sarebbe stata risparmiata la pena di morte se fosse stato estradato negli Stati
Uniti.
L’incapacità di fornire queste garanzie ha praticamente garantito che
l’Alta Corte – come ha
fatto martedì – avrebbe permesso agli avvocati di Julian di
chiedere un appello. È stato fatto per prendere tempo, in modo che Julian non
venisse estradato fino a dopo le elezioni presidenziali americane? È stata una
tattica dilatoria per trovare un accordo di patteggiamento? Gli avvocati di
Julian e i procuratori statunitensi stanno discutendo questa possibilità? È
stato un lavoro legale poco accurato? O è tutto per tenere Julian rinchiuso in
un carcere di massima sicurezza fino a quando non crollerà mentalmente e
fisicamente?
Se Julian verrà estradato, sarà processato per la presunta violazione di 17
punti della legge sullo spionaggio del 1917, con una possibile condanna a 170
anni, oltre ad un’altra accusa di “cospirazione per commettere intrusioni
informatiche” che prevede altri cinque anni.
La corte permetterà a Julian di appellarsi su questioni tecniche minori: i
suoi diritti fondamentali di libertà di parola dovranno essere rispettati, non
potrà essere discriminato sulla base della sua nazionalità e non potrà essere
condannato alla pena di morte.
Nessuna nuova udienza permetterà ai suoi avvocati di concentrarsi sui
crimini di guerra e sulla corruzione denunciati da WikiLeaks. Nessuna nuova
udienza consentirà a Julian di organizzare una difesa di interesse pubblico.
Nessuna nuova udienza discuterà la persecuzione politica di un editore che non
ha commesso alcun reato.
La Corte, chiedendo agli Stati Uniti di garantire a Julian i diritti del
Primo Emendamento nei tribunali statunitensi e l’esenzione dalla pena di morte,
ha offerto agli Stati Uniti una facile via d’uscita: date le garanzie,
l’appello sarà respinto.
È difficile capire come gli Stati Uniti possano respingere la sentenza
della commissione
di due giudici, composta da Dame Victoria Sharp e dal giudice Jeremy
Johnson, che martedì ha emesso una sentenza
di 66 pagine accompagnata da un’ordinanza
di tre pagine e da un comunicato
stampa di quattro pagine.
L’udienza di febbraio è stata l’ultima occasione per
Julian di chiedere un appello contro la decisione di estradizione presa nel
2022 dall’allora ministro degli Interni britannico, Priti Patel, e contro molte
delle sentenze del 2021 della giudice distrettuale Vanessa Baraitser .
Se a Julian verrà negato l’appello, potrà chiedere una sospensione
d’emergenza dell’esecuzione alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU)
in base all’articolo
39, che viene concesso in “circostanze eccezionali” e “solo quando
vi è un rischio imminente di danno irreparabile”. Ma è possibile che il
tribunale britannico ordini l’estradizione immediata di Julian prima di
un’istruzione ai sensi dell’articolo 39, o che decida di ignorare una richiesta
della Corte europea dei diritti dell’uomo per consentire a Julian di essere
ascoltato in quella sede.
Julian è impegnato in una battaglia legale da 15 anni. Era iniziata nel
2010, quando WikiLeaks aveva pubblicato i file militari classificati delle
guerre in Iraq e
Afghanistan, tra cui un filmato che mostrava un elicottero statunitense
che mitragliava dei civili,
tra cui due giornalisti della Reuters, a Baghdad.
Julian si era rifugiato nell’Ambasciata dell’Ecuador a Londra per sette
anni, temendo l’estradizione negli Stati Uniti. Era stato arrestato nell’aprile
2019 dalla Metropolitan Police, che aveva avuto il permesso dall’Ambasciata di
entrare e sequestrarlo. È detenuto da quasi cinque anni nella HM Prison di
Belmarsh, un carcere di massima sicurezza nel sud-est di Londra.
Il caso contro Julian ha messo in ridicolo il sistema giudiziario
britannico e il diritto internazionale. Durante la permanenza in ambasciata, la
società di sicurezza spagnola UC Global aveva
trasmesso alla CIA le registrazioni video degli incontri tra
Julian e i suoi avvocati, violando il segreto professionale.
Il governo ecuadoriano – guidato da Lenin Moreno – ha violato il diritto
internazionale revocando lo status di asilo a Julian e permettendo alla polizia
di entrare nell’ambasciata e caricare Julian in un furgone. I tribunali hanno
negato a Julian lo status di giornalista ed editore legittimo. Gli Stati Uniti
e la Gran Bretagna hanno ignorato l’articolo 4 del Trattato
di estradizione che vieta l’estradizione per reati politici. Il
testimone chiave per gli Stati Uniti, Sigurdur Thordarson – un truffatore e
pedofilo condannato – ha
ammesso di aver fabbricato le accuse contro Julian in cambio di
denaro.
Julian, cittadino australiano, è accusato in base alla legge sullo
spionaggio degli Stati Uniti, anche se non ha fatto spionaggio e non si trovava
negli Stati Uniti quando gli erano stati inviati i documenti trapelati. I
tribunali britannici stanno valutando l’estradizione, nonostante il piano della
CIA di rapire e
assassinare Julian, piano che prevedeva una possibile
sparatoria per le strade di Londra, con il coinvolgimento della Metropolitan
Police londinese.
Julian è stato tenuto in isolamento in un carcere di massima sicurezza
senza processo, anche se il suo unico vero reato è aver violato le condizioni
di libertà su cauzione dopo aver ottenuto asilo all’Ambasciata dell’Ecuador.
Questo dovrebbe comportare solo una multa.
Infine, Julian non
aveva fatto trapelare alcun documento, a differenza di Daniel
Ellsberg. Aveva pubblicato i documenti resi pubblici dalla whistleblower
dell’esercito americano Chelsea Manning.
Tre delle nove motivazioni legali sono state accettate dai giudici come
potenziali cause di appello. Le altri sei sono state respinte. Il collegio di
due giudici ha anche respinto la richiesta degli avvocati di Julian di
presentare nuove prove.
Il team legale di Julian ha chiesto alla corte di allegare al caso il
rapporto di Yahoo! News che aveva rivelato, dopo la
pubblicazione dei documenti noti come Vault 7, che
l’allora direttore della CIA Mike Pompeo aveva preso in considerazione la
possibilità di assassinare Julian. Gli avvocati di Julian speravano anche di
far accettare una dichiarazione di Joshua Dratel, un avvocato statunitense,
secondo cui l’uso da parte di Pompeo dei termini “servizio di intelligence
ostile non statale” e “nemico combattente” erano frasi progettate per dare
copertura legale ad un assassinio. La terza prova che gli avvocati di Julian
speravano di presentare era la dichiarazione
di un testimone spagnolo nel procedimento penale in corso in
Spagna contro UC Global.
La CIA è il motore dell’estradizione di Julian. Il Vault 7 ha rivelato
gli strumenti di hacking che
permettono alla CIA di accedere ai nostri telefoni, computer e televisori,
trasformandoli – anche quando sono spenti – in dispositivi di monitoraggio e di
registrazione. La richiesta di estradizione non include accuse basate sulla
divulgazione dei file Vault 7, ma l’incriminazione da parte degli Stati Uniti è
successiva alla divulgazione dei file Vault 7.
I giudici Sharp e Johnson hanno liquidato il resoconto di Yahoo!
News come “un’altra recita di opinioni da parte di giornalisti su
questioni che sono state prese in considerazione dal giudice”. Hanno
respinto l’argomentazione
della difesa secondo cui l’estradizione di Julian violerebbe la
Sezione 81 della Legge sull’estradizione del Regno Unito del 2003, che
proibisce le estradizioni nei casi in cui gli individui sono perseguiti per le
loro opinioni politiche. I giudici hanno anche respinto le argomentazioni degli
avvocati di Julian, secondo cui l’estradizione violerebbe le tutele previste
dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo – rispettivamente il diritto
alla vita, il divieto di trattamenti inumani e degradanti, il diritto ad un
libero processo e la protezione contro le punizioni al di fuori della legge.
Gli Stati Uniti hanno basato le loro argomentazioni in gran parte sulle
dichiarazioni giurate del procuratore Gordon D. Kromberg. Kromberg, assistente
del procuratore degli Stati Uniti nel distretto orientale della Virginia, ha
dichiarato che Julian, in quanto cittadino straniero, “non ha
diritto alle protezioni del Primo Emendamento, almeno per quanto riguarda le
informazioni sulla difesa nazionale”.
Ben Watson, avvocato del Re, che ha rappresentato il governo del Regno
Unito durante l’udienza di due giorni a febbraio, ha ammesso che, se Julian
venisse giudicato colpevole ai sensi dell’Espionage Act, potrebbe essere
condannato alla pena di morte.
Gli Stati Uniti e il Segretario di Stato britannico sono stati invitati dai
giudici ad offrire alla corte britannica garanzie su questi tre punti entro il
16 aprile.
In mancanza di tali garanzie, l’appello procederà.
Se le garanzie verranno fornite, gli avvocati di entrambe le parti avranno
tempo fino al 30 aprile per presentare nuove osservazioni scritte alla corte. A
quel punto, la corte si riunirà nuovamente il 20 maggio per decidere se
l’appello potrà andare avanti.
Gli obiettivi di questo incubo
dickensiano rimangono invariati. Cancellare Julian dalla
coscienza pubblica. Demonizzarlo. Criminalizzare coloro che denunciano i
crimini del governo. Usare la crocifissione al rallentatore di Julian per
avvertire i giornalisti che, indipendentemente dalla loro nazionalità e dal
luogo in cui vivono, possono essere rapiti ed estradati negli Stati Uniti.
Trascinare il linciaggio giudiziario per anni finché Julian, già in condizioni
fisiche e mentali precarie, non si disintegrerà.
Questa sentenza, come tutte le sentenze di questo caso, non ha nulla a che
fare con la giustizia. È una vendetta.
Link: https://chrishedges.substack.com/p/the-crucifixion-of-julian-assange-314
Il caso Assange al bivio: cosa succederà ora? -
Patrick
Boylan
Sembra un gesto sadico diretto contro Julian Assange, il giornalista ed
editore australiano che gli Stati Uniti vogliono processare per aver rivelato
documenti
Prima l’Alta
Corte britannica gli dà ragione per quanto riguarda tre delle nove obiezioni da
lui sollevate contro la pretesa statunitense di estradarlo dal Regno Unito. Ma,
poi, la Corte concede ai suoi avversari, gli avvocati londinesi ingaggiati
dagli Stati Uniti, 21 giorni di tempo per invalidare
quelle tre obiezioni, fornendo alla Corte le necessarie
rassicurazioni. In pratica, con una mano si dà e con l’altra si toglie.
Specificamente, gli USA dovranno rassicurare i giudici
su questi aspetti:
·
che Assange,
cittadino australiano, avrà un giusto processo al
pari di un cittadino statunitense (Julian aveva sollevato l’obiezione di una
possibile disparità di trattamento basata sulla diversa cittadinanza).
·
che Assange
avrà la possibilità di appellarsi al Primo Emendamento della
Costituzione USA, che garantisce la libertà di parola (Julian non è cittadino
statunitense; inoltre, verrà processato con l’Espionage Act che limita quella
libertà).
·
che Assange
non correrà il rischio di una sentenza di pena di morte (Julian
aveva prospettato questa pericolosa possibilità in quanto è proibita da tutte
le Convenzioni sull’estradizione).
Se gli USA forniranno queste tre rassicurazioni entro
il 16 aprile – e nessuno dubita che lo faranno – e se, nell’udienza già fissata
per il 20 maggio, la Corte le giudicherà attendibili, le tre obiezioni
sollevate da Assange verranno respinte e il co-fondatore di WikiLeaks potrà essere estradato negli Stati Uniti immediatamente.
Quali sono le probabilità che le rassicurazioni
statunitensi verranno considerate attendibili e quindi accettate?
Se giudichiamo dai casi analoghi recedenti, la loro
accettazione sembra davvero scontata. Nel
gennaio del 2021, infatti, in occasione del processo di primo grado intentato
da Julian per invalidare la pretesa di estradizione statunitense, l’allora
giudice Baraitser ha effettivamente rigettato quella pretesa a causa delle
tremende condizioni di detenzione nelle prigioni di massima sicurezza
oltre-atlantiche, così severe da far rischiare fortemente di portare un
soggetto autistico come Julian al suicidio. Contrariata, la controparte
statunitense ha quindi fornito alla Corte una rassicurazione che, qualora
Assange fosse estradato e condannato, egli godrebbe di condizioni di
detenzione tollerabili. Nel mese di dicembre 2021 l’Alta Corte ha
accolto questa rassicurazione fornita dal Department of Justice e ha approvato
l’estradizione di Julian.
In che cosa è consistita la rassicurazione fornita?
È consistita nella promessa di non incarcerare Julian in una prigione oltre-atlantica di
massima sicurezza (che sono anche prigioni di massima durezza)…
a meno che, detenuto in una carcere normale, Assange non abbia avuto qualche
comportamento giudicato “ostile” dalle autorità penitenziarie, a loro
insindacabile parere. In pratica, si tratta di una cosiddetta “rassicurazione”
che dà praticamente carta bianca alle autorità penitenziarie. Eppure è stata
accettata dall’Alta Corte britannica.
Ecco perché c’è motivo di temere che le rassicurazioni che forniranno gli USA
all’Alta Corte entro il 16 aprile verranno accettate
tutte quante, nonostante le poche garanzie reali che offriranno. E
che, pertanto, la Corte ordinerà definitivamente, senza pensarci ulteriormente,
la tanta temuta estradizione di Julian negli Stati Uniti.
Ma non è detto che vada così. I due giudici che dovranno pronunciarsi – Dame
Victoria Sharp e Jeremy Johnson – hanno saputo opporsi in passato ad una
richiesta di estradizione. L’anno scorso, per esempio, Sharp e Johnson si sono
pronunciati contro l’estradizione negli Stati Uniti di un cittadino britannico
accusato di frode in criptovalute, sostenendo che “era possibile perseguirlo
nel Regno Unito”. Se Sharp e Johnson respingeranno le rassicurazioni fornite
dal Department of Justice, sarà sicuramente una vittoria e potremo tirare un
sospiro di sollievo.
Il caso di Julian si riaprirà e altri giudici saranno chiamati a ratificare
definitivamente la legittimità delle obiezioni sollevate da Julian, seppellendo
la richiesta di estradizione e spianando la strada alla sua liberazione. Ma
rimane il fatto che, mentre la Corte delibera, Julian dovrà
affrontare mesi (se non anni) di attesa nella sua minuscola cella di isolamento
nel carcere di Belmarsh. Dopo cinque anni di queste condizioni, già
la salute fisica e mentale di Julian è diventata sempre più precaria, al punto
che egli non ha avuto le forze per assistere alle udienze del 20 e 21 febbraio,
nemmeno per via telematica. Qualche mese fa, tossiva così forte che si è
spezzato una vertebra. Nella sua Lettera al re Carlo, Julian rende con tinte fosche lo
squallore di Belmarsh, talmente deprimente che porta al suicidio. È
assolutamente insensato e ingiusto che Julian venga detenuto in queste
condizioni tremende meramente a titolo di custodia
cautelare.
Per il Gruppo di lavoro ONU sulla detenzione
arbitraria, si tratta, infatti, di un chiaro abuso.
Anche perché esiste l’istituto degli arresti domiciliari, che garantiscono
contro i pericoli di fuga o di reiterazione e tuttavia consentono condizioni di
vita assai più umane. Perché non viene applicato in questo caso?
È vero che Julian si è sottratto ai
domiciliari in passato, quando si è rifugiato nell’ambasciata
ecuadoriana per evitare, appunto, l’estradizione. Ma si tratta di più di cinque
anni fa e dopo cinque anni, nella legislazione di molti paesi come l’Italia, si
possono chiedere di nuovo i domiciliari pur essendovisi sottratti in passato.
Ecco dunque una iniziativa che gli attivisti pro-Assange potrebbero
intraprendere nel caso di una riapertura del processo di Julian. Dopo essersi
consultati con la sua famiglia e con i suoi avvocati, potrebbero lanciare una
campagna per chiedere alle autorità britanniche di trasformare la detenzione di
Julian a Belmarsh in un periodo di arresti domiciliari – con la moglie Stella e
con i due figli – in una villa idonea per la durata del processo. In fondo, le
autorità britanniche hanno concesso gli arresti domiciliari al sanguinario
dittatore cileno Augusto Pinochet mentre decidevano in
merito alla sua estradizione in Spagna – peraltro, domiciliari signorili in una
villa di lusso con tanto di servitù. Sarebbe più giusto che, a godere di questo
trattamento di favore, fosse chi, come Julian Assange, ha rivelato le uccisioni
di massa – per prevenirne altre in futuro – piuttosto che chi, come Pinochet,
le ha commesse.
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