A tutta prima li prendi per due dementi, e non ti sbagli. Ma, comunque, due dementi “dotati di coscienza di classe”, come ebbe a dire di sé Max Weber, che invece tutto era salvo che privo di materia cerebrale.
Sono
Salvini, vice-premier del governo Meloni, e Valditara, ministro dell’istruzione
con scarsa cognizione dell’italiano (*), presenti nella cronaca di questi
giorni per le loro sparate sul tetto agli “studenti stranieri”, protagonisti di
un classico esempio di razzismo di stato – che si aggiunge
alle misure del governo Meloni contro gli sbarchi, alla creazione di kampi per
richiedenti asilo in Albania, ai rinnovati accordi con i kapo libici e tunisini
per rendere le migrazioni verso l’Italia quanto più costose e dolorose (e
perciò “educative”) possibile, alle intimidazioni perché le “comunità” degli
immigrati si tengano alla larga dalle manifestazioni per la Palestina, e così
via.
Il tandem ha
strillato per l’ennesima falsa “emergenza” dovuta alle popolazioni immigrate. A
loro dire, le scuole sarebbero sull’orlo della “disgregazione”, del “caos”,
dell’anarchia dove “ognuno pensa e fa ciò che vuole”, perché non è stato
fissato un tetto inderogabile del 20% agli “alunni stranieri” in ogni classe.
Dunque: bisogna porre rimedio quanto prima a questo sconcio, altrimenti qui
crolla tutto.
I due hanno
già avuto una serie di risposte ragionevoli, centrate per lo più sui dati di
fatto: 1. del milione circa di studenti figli di immigrati, quasi il 70% è nato
in Italia: è “straniero” solo perché una legislazione di merda esclude lo ius
soli, e quindi non gli dà la cittadinanza; 2. di questi
studenti, gli ignari della lingua italiana sono solo il 3-4%, nei primissimi
anni di scuola – e per rimuovere questo ostacolo già alla partenza, basta
davvero poco per la nota versatilità dei piccoli ad apprendere le lingue per
esigenze di socialità; 3. in almeno otto scuole su dieci il numero degli
studenti “stranieri” per la legge è largamente al di sotto del 20%, quindi non
esiste alcun tipo di “emergenza”; 4. se comunque il dato percentuale degli
studenti figli di immigrati è in crescita, ciò si deve alla decrescita delle
nascite da coppie italiane, sempre più consolidata grazie anche (non solo) alle
politiche di precarizzazione del lavoro e della vita adottate negli scorsi
decenni dai partiti di Salvini e Valditara; 5. mettere il tetto auspicato dal duo
introdurrebbe una brutale discriminazione contro i figli degli immigrati nelle
zone urbane con la più alta densità di popolazione immigrata, l’Emilia-Romagna
in primis, perché costringerebbe questi ragazzi ad andare a scuola in altri
paesi o città, o almeno in altre zone della stessa città lontane dalla propria
abitazione; 6. tra le scuole di più alto spessore culturale ci sono, in Italia,
proprio quelle di regioni con alta densità di immigrazione come appunto
l’Emilia-Romagna, tali perché – con tutti i limiti del caso – hanno preso sul
serio la trasformazione dell’Italia nell’ultimo mezzo secolo in un paese
multinazionale, multirazziale, multiculturale.
Si
tratterebbe, semmai, di potenziare ulteriormente gli strumenti e le iniziative
atti ad aiutare i figli e le figlie degli immigrati a superare le loro
difficoltà perché, anche se nati in Italia, non hanno alle spalle famiglie che
parlano correntemente italiano. Si tratterebbe, semmai, di modificare
radicalmente in senso multiculturale, anzi: transculturale, il processo di
formazione delle/degli insegnanti, la quasi totalità delle/dei quali sa poco o
niente, e perfino meno di niente, delle nazioni e delle culture da cui
provengono le popolazioni immigrate. Si tratterebbe, insomma, di prendere atto
dell’enorme trasformazione sociale e culturale avvenuta nell’ultimo trentennio
con l’arrivo in Italia di milioni di immigrati/e da tutto il mondo, e
assecondarla nel senso del pieno sviluppo delle sue potenzialità, abbattendo
ignoranza, pregiudizi e discriminazioni istituzionali e di fatto.
Ma è
esattamente questo che non va ai due bestioni.
E qui vien
fuori la loro, istintiva per lo meno, coscienza di classe. Perché a
preoccuparli non sono le difficoltà delle maestre o dei docenti in generale,
chiamate in causa in modo sfacciatamente strumentale; a loro interessa
tutt’altro: il “rispetto per la nostra cultura”, il “nostro sistema valoriale”
perché “non c’è futuro per una comunità che non abbia identità”. Ed ecco la
solita spazzatura razzista sugli immigrati come fattore di rischio, pericolo,
inquinamento della “nostra identità” (quale?) da cui difendersi: il
nemico esterno diventato nemico interno, che torna utile, se non
indispensabile, in tempi di ormai ufficiale preparazione alla guerra. Ne
abbiamo parlato in lungo e in largo nel n. 3 del Cuneo rosso, e non
è il caso di ripeterci (nel caso chi legge fosse interessato/a a conoscerlo,
può scrivere a com.internazionalista@gmail.com – ne abbiamo
ancora pochissime copie). La posta in gioco, alla fine, è la
ricomposizione unitaria di un proletariato multinazionale, che avrebbe una
forza eversiva dello stato di cose presenti semplicemente esplosiva, o
l’eccitazione di odi e false contrapposizioni tra proletari autoctoni e
immigrati affinché l’intera classe lavoratrice resti divisa e schiava della
classe dominante.
Ci teniamo
soltanto a ribadire che la prospettiva delle “guerre di civiltà” (Clash of
Civilizations) tracciata da M. Huntington e ribiascicata dalla coppia
Salvini-Valditara registra un dato reale, e gli oppone una
soluzione disperatamente reazionaria. Il dato reale è il vero e
proprio passaggio d’epoca avvenuto con la globalizzazione dei rapporti sociali
capitalistici degli ultimi decenni, che – sia pure nelle più estreme
disuguaglianze – ha legato in un unico meccanismo e in un unico destino le
popolazioni che vivono ai quattro angoli del pianeta. Una delle più importanti
conseguenze sociali e culturali di tale processo – data anche
l’intensificazione delle migrazioni internazionali – è la creazione di
società sempre più plurinazionali. Per Huntington e soci tutto ciò è, in
qualche misura, contro-natura e porterà al collasso l’emisfero nord. Per noi
invece è il versante ancora “progressivo” del capitalismo decadente in quanto
rende possibile, difficile certo, ma possibile, andare finalmente oltre
i compartimenti-stagni nazionali (così come sono stati, e da lungo
tempo, superati i compartimenti stagni in ambito economico); andare oltre la
gretta convinzione dell’auto-sufficienza delle singole culture e il loro carattere
escludente, verso società che accettino e vivano la loro
composizione multi-nazionale e multi-culturale come una grande ricchezza; che
riconoscano nella piena parità effettiva di diritti delle popolazioni che le
compongono la condizione prima perché questa ricchezza si manifesti; che
sappiano, perciò, incamminarsi oltre l’attuale assetto delle
relazioni sociali capitalistiche – perché sono proprio queste relazioni
intrinsecamente appestate di nazionalismo e di razzismo ad impedire che la
grande ricchezza di cui stiamo parlando diventi, da potenziale o soffocata
com’è ora, libera ed effettiva.
Con enorme
fatica, tra le più acute contraddizioni e non senza portare dentro di sé i
residui corposi di tale esperienza, la specie umana ha superato l’orda, la tribù,
l’etnìa, la città-stato, la marca, il feudo, conquistando la più ampia e ricca
dimensione economica, istituzionale e culturale della nazione (moderna). Non da
ora, però, la dimensione nazionale appare in ritardo rispetto all’evoluzione
materiale e culturale in atto. Si sono già abbondantemente create le basi per
il superamento effettuale delle nazioni – sebbene, e non va dimenticato!, ci
siano ancora popoli senza stato. Pochi fenomeni lo segnalano con la stessa
forza delle migrazioni internazionali e della esperienza degli
emigranti-immigrati che vivono “a cavallo” tra due o più nazioni, lingue,
“razze”, culture, continenti. Dopo la compiuta mondializzazione dei rapporti
sociali capitalisti, sui presupposti da essa gettati e negandone i criteri
ordinativi, è diventato finalmente possibile fuoriuscire (via rivoluzione
sociale! – non certo con la scheda elettorale) dai rapporti materiali
di dominio e dalla logica di dominio propri del capitalismo, ed avviarci verso
una nuova affascinante epoca di interazioni tra liberi ed eguali e di fusione
tra le nazioni e le culture.
A fronte di
questa prospettiva gli allarmi, le invettive, nonché le “soluzioni” proposte
dai crociati Salvini e Valditara appaiono avanzi di spazzatura, al pari dei
loro banditori. Ma nelle polemiche dei giorni scorsi i loro critici democratici
alla Pd e annessi e connessi mostrano tutta la loro ipocrisia e inconsistenza
perché, gira e rigira, vorrebbero il capitalismo – guai a chi glielo tocca,
mettono mano ai carri armati e ai Taurus! – senza i suoi portati più naturali e
ineliminabili, tra i quali, appunto, il razzismo e le discriminazioni ai danni
delle popolazioni immigrate. È loro grande merito non aver fatto nulla per
cancellare la Bossi-Fini, e non aver voluto – quando potevano – introdurre lo
jus soli, o no? In fatto di guerre culturali, poi, non sono secondi
a nessuno – basta vedere il tasso della loro russofobia o islamofobia. Lo
stesso dicasi per ogni altro problema, o emergenza, reale che
affligge realmente le scuole e gli studenti: dall’alternanza
scuola-lavoro (fonte anche di infortuni e di morte) agli istituti fatiscenti
che, quelli sì, crollano per davvero, dall’invadenza di militari e
poliziotti/carabinieri come nuovi educatori allo strozzinaggio delle tasse
universitarie e degli affitti, per non parlare, poi, del carattere di classe
dell’intera struttura dell’istruzione scolastica e del
nazionalismo/eurocentrismo/occidentalismo dei contenuti trasmessi. Razzismo
aggressivo delle destre e razzismo democratico targato Pd&Co., ricette
liberal-fascio-populiste delle destre e ricette liberal-democratico-belliciste
di Pd&Co., sono due facce della stessa medaglia. Da buttare.
(*) Il
ministro dell’istruzione è stato sfottuto anche per il suo claudicante
italiano. Tra gli sfottò più simpatici, questo: “Nella sua classe, quanti erano
gli stranieri che le hanno impedito di imparare a scrivere in italiano
corretto?”.
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