di Alberto Manconi e Dario Salvetti
Introduzione di Alberto Manconi
Il testo pubblicato in seguito è la trascrizione dell’intervento di Dario Salvetti (Collettivo di Fabbrica ex-GKN) nel corso del seminario «Delocalizzazioni e transizione ecologica: il caso GKN», tenutosi Lunedì 26 Febbraio alla Scuola Superiore Sant’Anna, e visionabile per intero qui:
La lotta nello stabilimento ex-GKN di Campi Bisenzio continua, dopo quasi
tre anni passati dal primo tentativo di licenziamento di tutti i lavoratori e
dal loro ingresso nella fabbrica in presidio permanente. Questa vicenda compone
molti piani: una estenuante vertenza sindacale, una impressionante
mobilitazione di solidarietà della piana fiorentina, una convergenza
eco-sociale che ha visto i principali movimenti ecologisti del paese e della
regione scendere in piazza al fianco di questi operai. E, infine, uno sforzo
congiunto di operai e solidali del mondo della ricerca e della cultura per
riportare nello stabilimento una produzione realmente ecologica che ha
concepito ben due piani industriali per lavorazioni necessarie e innovative nel
settore della mobilità e dell’energia. Un’esperienza dal basso di transizione
giusta, che ha attirato le attenzioni ed il sostegno materiale di una fetta
significativa del mondo sindacale ed ecologista europeo.
Di fronte a questo complesso esperimento, in un’Italia in continua
deindustrializzazione, gli attacchi della proprietà sono sempre più
feroci : dopo l’ennesima sconfitta in tribunale per licenziamenti
illegittimi a fine 2023, è infatti tornata a non pagare i salari dovuti ai
lavoratori. Non solo: in seguito alla data dell’intervento qua riportato, la
proprietà ha proposto agli operai un «congedo volontario» dalla posizione
lavorativa in cambio di appena 5mila euro lordi. Cioè, significativamente meno
di quanto già dovuto ai lavoratori secondo i contratti e le sentenze non
rispettate.
Si tratta dunque di un’ennesima prova del ricatto imposto a operai
colpevoli di non essersi arresi alla perdita del posto di lavoro e
all’abbandono dello stabilimento alla speculazione immobiliare, in un’area
industriale tra le più colpite dalla cementificazione e, recentemente, dalla
terribile alluvione del Novembre 2023.
Di fronte a un ricatto di tale portata e a una prospettiva di reale
transizione ecologica su settori strategici, le parole delle istituzioni
nazionali e locali continuano a oscillare tra il timido conforto e la complice
indifferenza. Ma le parole non sono più sufficienti, è necessario un intervento
pubblico concreto: in particolare, la Regione Toscana è ampiamente in grado di
attuare le misure necessarie per rilevare lo stabilimento. Misure rivendicate
dagli operai e che seguono ragioni specifiche e storiche legate al contesto
territoriale, come evidenziato nell’intervento qui riportato.
Intanto, la mobilitazione a sostegno della reindustrializzazione e per
l’intervento pubblico diventa cruciale e generale. Tra i quotidiani momenti di
dibattito e lotta organizzati dal Collettivo di Fabbrica, il Festival della
Letteratura Working Class che avrà luogo allo stabilimento di Campi Bisenzio
dal 5 al 7 Aprile sarà un momento di passaggio decisivo.
«Fino a che ce ne sarà»!
*
Trascrizione intervento Dario Salvetti
(Collettivo di Fabbrica GKN)
Seminario «Delocalizzazioni e transizione ecologica: il caso GKN»
Scuola Superiore Sant’Anna
Pisa, 26.02.2024
Salvetti: Grazie a tutte e tutti per questa occasione; per questa
opportunità per noi preziosissima. Chiaramente non è mai facile tenere in
equilibrio il racconto di un caso specifico – GKN – e le considerazioni
generali che pure attengono a quel caso specifico. Vorrei comunque partire,
visto quello che è successo venerdì, dando la solidarietà alle studentesse e
agli studenti che sono stati manganellati qua a Pisa. Anche a Firenze in realtà
e anche a Catania. La riflessione che facevamo è questa: il manganello è spesso
il terminale periferico della paura. Quello più evidente. Però, di solito,
quando arriva ad alzarsi è perché dietro ha un iceberg di conformismo. È il
terminale periferico di un Paese che non sa più dire di no. Non sa più dire di
no perché affonda in 30 anni di bassi salari, affonda nel conformismo
ideologico, affonda nell’autocensura. E spesso non è capace di dire di no per
paura, ma anche perché non riesce più a immaginare un’alternativa. La paura si
compone del ricatto e della pressione ideologica verso il conformismo, verso
l’idea che se porti avanti qualcosa di nuovo sei un po’ naïf. Sei un po’
strano… perché nulla cambierà e l’unica cosa che si può fare è gestire
l’esistente. La storia delle lavoratrici e dei lavoratori dell’automotive è
una storia che contiene questo. Perché contro le lavoratrici e i lavoratori
dell’automotive in questo Paese si sono abbattute le sconfitte di
ricatto: quelle dell’80-81 o dei famosi referendum con la pistola sul tavolo,
portati avanti dalla direzione Fiat sotto Marchionne, che ti dicevano «rinuncia
ai tuoi diritti se vuoi il lavoro», e poi si è visto com’è andata. Com’è andato
Grugliasco, che era uno di quelli stabilimenti dove ci fu quel referendum.
Grugliasco oggi è chiusa, ed è un edificio che puoi trovare in vendita da
un’agenzia immobiliare che si occupa di questo settore. Sono i reparti confino
a Nola, ed è un certo tipo di intervento pubblico che ha accompagnato tutto
questo. Il settore dell’automotive in questo Paese è un settore di
intervento pubblico. Io non ricordo qual era l’ultima cifra che lessi, ma
si parlava addirittura di lire: dal 1973 al 2005 230.000 miliardi di lire dati
sotto vari forme.
Moderatrice: 220 miliardi [di euro] dal 1975 al 2012.
Salvetti: Ok, ti ringrazio. Alla Fiat. E ancora oggi, se voi googlate
«Tavares costi», oltre a lamentarsi il fatto che i costi industriali in Italia
sono troppo alti – tuttavia non mi risulta che il costo del lavoro rispetto
alla Spagna, ad esempio, sia fondamentalmente diverso – è evidente che si
riferisce ai costi infrastrutturali e dice che il Paese è indietro di 9 mesi
nel dare incentivi per lo sviluppo dell’auto elettrica, perché l’auto elettrica
costa troppo. Nel dire questo che cosa ci sta dicendo? Che esistono alcuni
prodotti che, correttamente, tu non puoi misurare soltanto in marginalità
privata, cioè nel profitto che tu fai a livello privato. Perché quando chiedi
degli incentivi per un prodotto piuttosto che un altro, ammetti che quel
prodotto ha una marginalità sociale. Ha un profitto sociale,
ammetti cioè che un determinato mezzo di trasporto [elettrico] vorrà dire ad
esempio meno malattie respiratorie, e quindi un vantaggio magari per il sistema
sanitario oltre che per la nostra salute. Quindi esistono alcuni prodotti che
sfuggono al mercato, dove il mercato è incapace di portare innovazione. E
quando lo fa, lo fa in forma contraddittoria: troppo tardi, e di solito
chiedendo al pubblico di sganciare gli incentivi. E allora, se dobbiamo
immaginare, la prima vera domanda è: «Perché no l’intervento pubblico reale,
diretto sulla transizione ecologica?».
Consideriamo poi che su questa transizione e sulla ristrutturazione dell’automotive in
questo paese c’è una dismissione della funzione imprenditoriale privata che si
trasforma in un ricatto. Non da oggi, eh: «O mi date i soldi pubblici oppure
io, oppure io…» «Io cosa?» «Niente, farò comunque come voglio io». Perché, tra
l’altro, non c’è nemmeno uno scambio di reciproco controllo.
La storia di GKN è questa storia. Quando c’è da fare ristrutturazioni ci
sono dei professionisti delle ristrutturazioni: i fondi entrano in gioco, sono
entrati in gioco sulla storia di Magneti Marelli, sono entrati in gioco con
GKN. I fondi finanziari traggono dalle ristrutturazioni «lecita marginalità
finanziaria», ed è quello che ha fatto il fondo. La prima volta che noi fummo
qua [alla Scuola Superiore Sant’Anna][1] si
ipotizzava che ci avessero chiuso con una lunga preparazione, bollendo apposta
lo stabilimento. Come forse sapete, poi è uscita anche una piccola inchiesta
che dimostra che questa ipotesi era vera, cioè che da tempo preparavano la
chiusura. Cosa evidente per chiunque mastichi un po’ di industria… E l’hanno
fatto continuando a comprare nuovi macchinari, forse prendendo sgravi fiscali
sull’industria 4.0.
Hanno perso, però, la prima sfida sui licenziamenti che sono stati dichiarati
illegittimi nel settembre 2021, con un combinato di mobilitazione sociale e di
difesa legale, grazie al vecchio Statuto dei lavoratori. Vecchio nel senso
bello, cioè che… che regge!
Dopodiché, la disconnessione tra funzione produttiva e funzione imprenditoriale
è continuata. Perché i licenziamenti non c’erano più, ma non ci hanno ridato il
lavoro, non ci hanno ridato i volumi produttivi, per poi discutere con calma di
che cosa fare della fabbrica.
Tant’è che nel dicembre 2021, insieme al contributo di ricercatrici e
ricercatori del Sant’Anna tra gli altri, noi produciamo una bozza di progetto
industriale. Nel piano diciamo che la dismissione di Stellantis potrebbe essere
l’occasione [per rilanciare l’industria italiana autobus – pubblica!]; e non
per «l’arrivo di un secondo produttore» come ha detto [il ministro] Urso. Tra
l’altro sono definizioni bizzarre, perché se uno «apre a un secondo produttore»
significa che prima c’era il monopolio. Io non lo sapevo, però ne prendo atto…
E prendo atto anche che lo Stato può aprire o non aprire: «Apriamo al secondo
produttore!».
Moderatrice: Come se ci fosse uno che produce veramente…
Salvetti: Appunto. E nel frattempo la crisi di Industria Italiana Autobus
si è avvitata nonostante la partecipazione di Invitalia. Perché? Perché
l’intervento pubblico di un settore dell’economia si tira dietro, e si deve
necessariamente tirare dietro in modo virtuoso, tutta la filiera. Se tu [Stato]
fai una partecipazione in un’azienda ma dopo non costruisci una filiera
pubblica conseguente, sugli approvvigionamenti, sulla ricerca,
sull’innovazione, è evidente che anche l’intervento pubblico rimane, oltre che
parziale come lo è in quel caso, assolutamente immobilizzato, impantanato.
Come sapete, poi nel nostro caso arriva un proprietario, uno che firma un
accordo quadro e ci promette che entro 8 mesi porta gli investitori. E che
«farà qualsiasi cosa». Perché loro possono sempre “fare qualsiasi cosa”, noi
invece quando facciamo piani industriali dobbiamo essere molto chiari e
precisi.
Il nuovo proprietario aggiunge che se non arrivano questi investitori – che nel
frattempo non sono mai arrivati – capitalizzerà e re-industrializzerà lui.
Questo era l’accordo quadro.
Infine, nel settembre 2022 ne risulta una proposta di accordo di sviluppo che
su 50 milioni circa 35 ce li doveva mettere il pubblico.
Nel frattempo, vengono attivate svariate casse integrazioni, anche
retroattive e senza causale perché, se tu non hai una funzione produttiva, non
sai nemmeno come giustificare l’ammortizzatore sociale. Il risultato è che da 2
anni io sono un poverissimo dipendente INPS, perché di fatto ricevo la cassa
integrazione per non fare nulla, senza nessuna causale.
600 euro, eh, non vi immaginate si faccia una bella vita, perché nel
frattempo ci fanno anche dimagrire con una cura dimagrante di 8 mesi senza
reddito. E così, proprio quando finalmente stiamo per avere il nostro reddito,
il governo produce una cassa integrazione retroattiva. Non sapevo esistessero
le casse integrazioni inventate a partire da 8 mesi prima [di quando sono state
approvate], solo per poter coprire la possibilità dell’azienda di non pagarci
le stipendi.
Contemporaneamente, indagando su una serie di giochi e di scatole societarie
emerge sempre di più il controllo delle società immobiliari sull’azienda. Fino
ad arrivare alla beffa che l’ultimo anello della catena è una fiduciaria del
Monte dei Paschi di Siena, che controlla le quote dell’attuale ex-GKN e che
evidentemente nasconde a sua volta un terzo soggetto che noi non
conosciamo. Ad ogni modo, formalmente le quote sono del Monte de Paschi di
Siena, che è al 64% partecipato dallo Stato. Allo stato attuale quindi il mio
stipendio, o quel che ne rimane, arriva da casse semi-pubbliche. Insomma,
l’azienda è formalmente controllata da un’azienda controllata dallo Stato – una
banca – ma gli unici che non possono parlare di intervento pubblico siamo noi!
Noi che chiediamo l’intervento pubblico per realizzare la transizione
ecologica!
Non solo lo chiediamo. Ma creiamo, dato che ci dobbiamo basare sulla
singola fabbrica, un nuovo piano industriale, questa volta meno generale, che
cerca di individuare dei prodotti finiti, le cargo-bike e i pannelli
fotovoltaici. Il nostro intervento si vorrebbe articolare così: controllo
operaio tramite la cooperativa che fa appello alla legge Marcora, con un
intervento nel proprio capitale del pubblico per dare una mano alla cooperativa;
l’azionariato popolare, che può controllare fino a un terzo, che forma
controllo sociale; la Società Operaia di Mutuo Soccorso, che crea un legame
mutualistico col territorio, per esempio come ha fatto quando c’è stata
l’alluvione a Campi Bisenzio – perché in tutto questo degli 880.000 mq di
stabilimento non si sa cosa ne vogliono fare, in quello che è stato il terzo
comune per maggiore consumo di suolo nel 2022 e dove c’è stata l’esondazione il
2 novembre. Se su quel terreno ci fosse stata un’area verde invece di una
fabbrica e del centro commerciale “I Gigli”, del multisala e di tutto il resto
della zona industriale creata negli ultimi 7-8 anni, forse alcune delle case
dei nostri colleghi sarebbero salve. Forse oggi avrebbero ancora la macchina e
tutti i loro ricordi, perché non hanno soltanto perso gli elettrodomestici,
hanno perso in alcuni casi i ricordi di una vita. E, forse, qualcuno avrebbe
anche salva la vita perché ci sono stati anche dei morti tra gli abitanti.
Ricapitolando: l’abbiamo chiamata fabbrica socialmente integrata dove
il bene pubblico non è pubblico solo perché c’è capitale pubblico che noi
chiediamo ci sia, ma è pubblico in quanto è a disposizione dell’utilità
pubblica, quindi del territorio, ma ovviamente anche della transizione
ecologica nella sua produzione – dove esiste una marginalità, un profitto che è
sociale, non è soltanto privato.
E cosa scopriamo una volta che ci caliamo nel fare il piano industriale?
Beh, scopriamo che il mercato proprio non ce la fa a fare questa transizione,
perché per esempio quando abbiamo iniziato questa discussione e avevamo la
prima bozza del piano industriale il pannello fotovoltaico monocristallino in
silicio classico veniva 27 centesimi al watt. Nel frattempo, l’industria cinese
si è attrezzata per un’enorme sovrapproduzione dei pannelli e oggi vengono
venduti a 13 centesimi al watt. Ed ecco perché leggete gli articoli sui primi
fallimenti della nascente industria fotovoltaica europea, che si pone il grande
obiettivo pubblico di quadruplicare la propria produzione. Ma evidentemente non
ce la fa. Perché anche in questo caso ci vorrebbero una catena di fornitura
diversa, ecologie alternative, una rete con l’industria e con la ricerca
pubblica per poter studiare le tecnologie alternative reali.
Oppure si scopre che il mercato delle cargo-bike è stato “drogato” da
incentivi pubblici post-Covid con i ringraziamenti dei grandi fornitori, come
Shimano ad esempio, che hanno avuto un enorme picco. Ora il mercato drogato
dagli incentivi si ritira, falliscono tutti i piccoli e i grandi salgono. In
una situazione in cui potrai controllare ancora meno di questa transizione.
Noi siamo a creare un piano industriale in queste condizioni. E quindi che
cosa chiediamo oggi? Beh, innanzitutto facciamo la nostra lotta sindacale per
il pagamento degli stipendi. Sì, perché intanto siamo di nuovo da due mesi
senza stipendio e nessuno accende una cassa integrazione a questo giro, perché
vogliono che ci licenziamo, che ci licenziamo tutti.
Oltre a questo, noi crediamo che ci siano le basi perché la Toscana possa
fare un Consorzio Industriale Regionale che intervenga non solo su di noi, ma
anche sui casi dell’automotive che replichino questo meccanismo:
nel consorzio possono entrare i Comuni, le Fondazioni, le Università, oltre
ovviamente la Regione. Possono così predisporre l’acquisizione di stabilimenti,
che possono essere magari gli edifici abbandonati – la TRV di Livorno, ad
esempio, non so se è ancora abbandonata, io tempo fa vidi il filmato in cui era
ancora uno scheletro. Si possono sottrarre alla speculazione immobiliare per
fare reindustrializzazione dal basso. Queste leggi esistono. Tra l’altro la
Toscana è una delle poche regioni che credo abbia già una legge sul Consorzio
Industriale Regionale pubblico. Possono fare quello che più amano, un misto di
pubblico e privato dove si danno anche incentivi a chi si mette nei condomini
industriali, ma sotto la direzione di una transizione ecologica. Possono creare
a Campi Bisenzio, e non solo, un polo delle energie rinnovabili, della mobilità
leggera, della reale economia circolare – perché in tutto
questo abbiamo anche scoperto dopo l’alluvione che c’è un flusso enorme di
elettrodomestici recuperabili cioè di tutti i RAEE (Rifiuti da Apparecchiature
Elettrice ed Elettroniche) in realtà il 56% può essere rimesso sul mercato con
piccole riparazioni. Tutto ciò potrebbe entrare in fondi di perequazione, in
fondi di redistribuzione sociale, andando ovviamente a sostenere, tramite gli
stessi Comuni, i redditi inferiori. Insomma, c’è un mondo immaginabile. E non
così lontano.
A tutti «i nostri», e non saprei come definire questo «nostri», dove inizia
e dove finisce… A tutti coloro che si sono opposti o che si sono indignati per
i manganelli ricordiamo che noi non possiamo avere verso quei manganelli solo
la dialettica dell’indignazione.
Noi dobbiamo avere la dialettica dell’alternativa e l’alternativa si
costruisce tutti i giorni. E sarebbe bello se questa regione non si ricordasse
solo ogni tanto di essere stata l’avanguardia dell’abolizione della tortura o
di essere la regione che, insieme ad altre “regioni rosse”, rischia di
soccombere a qualche tornata elettorale – messa in difficoltà da un Governo che
elettoralizza il proprio rapporto con i territori.
Sarebbe tanto bello se questa regione indicasse qui e ora un intervento
pubblico in grado di costruire un’alternativa sull’automotive e di
creare una spirale virtuosa che, dalle macerie di questo settore – visto che il
processo di crisi inizia almeno dagli anni 80 – ci dia la possibilità di creare
intervento pubblico, per utilità pubblica con fabbriche socialmente integrate.
Tra l’altro queste sono le vere tradizioni storiche del nostro territorio,
perché quando ci minacciano o denunciano per le attività della Società Operaia
di Mutuo Soccorso denunciano la storia ormai secolare delle «SMS», che esistono
ancora su questo territorio più che in altri posti. Tra le prime Società di
Mutuo Soccorso bruciate dai fascisti ci furono quelle di Rifredi, ad esempio.
Oppure ci fu il caso della Fonderia alle Cure [a Firenze] che nel 1955 veniva
chiusa per fallimento, e fu occupata dagli operai, poi requisita dal comune e
data alla cooperativa dei lavoratori. O ancora, la «Flog» – non so quanti di
voi nella propria vita hanno mai visto un concerto alla Flog – quella
esperienza fu creata nel 1945 dagli operai della Galileo che ritennero che
un’attività di rigenerazione del Paese passasse anche dal fatto che una
comunità operaia si prendeva una collinetta e diceva la sua, ponendo lo sguardo
di classe anche all’interno della sfera culturale e ricreativa. Così come
proviamo a fare noi attraverso il Festival della Letteratura Working Class che
si terrà subito dopo Pasqua, tra il 5 ed il 7 Aprile, anche quello sotto
minaccia di denuncia.
Insomma: contro la paura, contro il ricatto, si resiste solo se si riesce a immaginare qualcosa di alternativo. E noi, con le ultime energie che ci rimangono, dopo due anni e mezzo di lotta, continuiamo a provarci.
[1] AA.VV. Un piano per il futuro della fabbrica di
Firenze, Fondazione Feltrinelli, Dicembre 2022.
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