Quando la legge non è uguale per tutti… perché denaro, potere e amicizie rendono taluni più uguali degli altri!
Al Capo dello Stato, Presidente Sergio Mattarella,
Precarietà vuol dire vivere in uno stato di costante incertezza economico
sociale che abbraccia e cambia ogni aspetto dell’esistenza quotidiana, generando
emozioni negative quali rabbia, angoscia, disperazione. Appare evidente come
tale disagio possa compromettere la possibilità di progettare un futuro. Ma
significa anche maggiori profitti per le imprese, perché un lavoratore precario
è un lavoratore fragile e ricattabile, propenso a rinunciare all’esercizio dei
propri diritti nel timore di non essere riconfermato alla scadenza del
contratto.
Il principale datore di lavoro in Italia, Poste Italiane, dichiara
di promuovere uno «sviluppo sostenibile orientato al benessere dei
dipendenti», però ogni anno assume migliaia di giovani precari usa e getta da destinare alle attività di
smistamento e consegna della posta. Sono i cosiddetti CTD, coloro che vengono
assunti con contratti a tempo determinato, costretti solitamente a spostarsi di
centinaia di chilometri da dove risiedono e a farsi carico di spese di
locazione non indifferenti, anche solo per brevi periodi. L’occasione di
entrare a far parte della grande azienda, prospettata attraverso un’incessante
campagna di propaganda, presto si riduce a fugace, e per di più illusoria,
esperienza lavorativa. Può durare, infatti, sino a un massimo di dodici mesi.
Successivamente, la possibilità di conquistare l’ambito posto fisso ruota
intorno a una procedura di stabilizzazione che si avvale di graduatoria.
Formulata in base al numero di giorni di servizio prestati e aggiornata
escludendo l’applicazione del diritto di precedenza. Così da favorire
l’instaurarsi di logiche clientelari! Circa diecimila persone
sono attualmente presenti in questa sorta di limbo senza speranza. La maggior
parte si è vista scavalcare da colleghi che hanno avuto la “fortuna” di
raggiungere il fatidico traguardo dei 365 giorni di durata contrattuale.
Poste Italiane ha assunto ben 90 mila lavoratori a tempo
determinato dal 2017 a oggi. Provvedendo a stabilizzare a malapena
12.500 risorse nel medesimo periodo. Molte delle quali attraverso forme
occupazionali flessibili, che si traducono in salari bassi e situazioni di vita
difficili. Basti pensare all’ampio ricorso al part time, soprattutto tra le
lavoratrici femminili: non è una libera scelta, bensì il risultato di
condizioni di lavoro sfavorevoli risultanti da un metodo di sviluppo orientato
alla massimizzazione del profitto. Sono tantissimi, ma restano invisibili i
precari delle Poste in quanto è necessario maturare almeno sei mesi di servizio
per inseguire il sogno del posto fisso e, dunque, accedere alla graduatoria.
Come avrete intuito, nel gioco dell’oca della precarietà griffato Poste il
traguardo è precluso a molti. La probabilità di ottenere il doppio sei che garantirebbe l’integrazione a tempo
indeterminato varia per ciascuna persona. A differenza delle dure condizioni di
lavoro simili ovunque. Orari estenuanti, scarsa sicurezza, straordinari non
pagati, sono gli elementi ricorrenti nelle storie raccontate dai giovani
precari di Poste Italiane. Si trovano, in sostanza, costretti a lavorare sotto
il ricatto della mancata riconferma qualora non completassero le consegne
previste. Per tale motivo, nella prassi accettano di prestare più ore di lavoro
rispetto a quanto stabilito senza ricevere alcun compenso aggiuntivo. Cioè,
a titolo gratuito e in nero!
Il risultato è quello di accendere una guerra tra poveri in cui va avanti
chi più sopporta e resiste. Poste Italiane non gioca a dadi con i precari. Nel
ricorrere al lavoro temporaneo persegue il conseguimento di un ingiusto
vantaggio. Pur rispettando la proporzione tra lavoratori stabili e a termine
relativa all’intero organico, quest’ultimi sono concentrati sulle figure di
addetti allo smistamento e portalettere. In modo da disporre di una quota
enorme di flessibilità nella gestione del servizio postale. L’azienda dovrebbe
assumere stabilmente laddove necessario. Invece, continua ad approfittare di
una normativa a maglie larghe sui contratti a termine, utilizzabili entro
l’anno senza dover chiarire quali siano le ragioni che ne legittimano la
sottoscrizione.
Negli ultimi tempi le lavoratrici e i lavoratori precari di Poste Italiane
hanno dato vita a un vero e proprio movimento di protesta, «Lottiamo
Insieme», per dare voce e speranza all’esasperazione di una
moltitudine di donne e uomini, soprattutto giovani, prigionieri nel limbo
dell’incertezza. Il «metodo Poste» alimenta precariato e produce sfruttamento,
in maniera non dissimile da quanto accade nei sistemi di caporalato. È
fondamentale, quindi, intraprendere un deciso cambio di rotta che può avvenire
in un’unica direzione: promuovendo l’occupazione stabile e dignitosa,
preferibilmente attingendo alle risorse selezionate, formate e utilizzate già
in precedenza. Ciò in senso conforme allo spirito della nostra Costituzione.
Nel complice silenzio “sindacale”, Lottiamo Insieme invita
pubblicamente le Istituzioni e Poste Italiane a fare scelte consapevoli e
rispondenti all’esigenza di garantire piena ed effettiva tutela dei diritti dei
lavoratori. Augurandosi che la situazione appena descritta possa costituire
un’occasione per riaffermare la centralità della dignità del lavoro, a
beneficio di tutti i cittadini. Il caso, tenuto accuratamente lontano dai
riflettori, di recente è approdato in Parlamento. Con discrezione e senza
clamore. In fin dei conti, questa volta è lo Stato a violare le sue stesse
leggi!
Roma, 4 aprile 2024
Carmine Pascale
Andrea Fasano
Movimento Lottiamo Insieme
Nessun commento:
Posta un commento