Il
Parlamento Europeo ha adottato una serie di risoluzioni legislative
sulla crisi migratoria che hanno provato a dare una quadra alle
negoziazioni promosse tra Commissione Europea e Consiglio Europeo a fine 2023 e
inizio 2024 ma hanno portato, in fin dei conti, la montagna a partorire
il topolino. Ovvero: si continua a trattare come emergenziale la questione
migratoria, quasi che fosse unicamente una faccenda di barconi, sbarchi e
frontiere. Non come un grande problema sistemico che mostra le
migrazioni solo come ultimo anello della catena di uno sconvolgimento economico,
geopolitico e sociale di molti Paesi in via di sviluppo. A cui si aggiunge la
dinamica strutturale di un sistema-mondo che vede come attrattivo il nostro
continente, che per tanti è quel “giardino fiorito” di cui ha parlato Josep Borrell.
L’accordo
europeo sui migranti rischia di spaccare, sul lungo periodo, l’Europa più che
unirla. Innanzitutto per un motivo: le disposizioni votate principalmente
dalla “maggioranza Ursula” che sostiene la Commissione von der Leyen,
formata da popolari, socialisti e liberali, entreranno in vigore solamente
tra due anni. E non supereranno gli accordi di Dublino che
non sono più all’altezza delle crisi di oggi. Inoltre, si apre a una spaccatura
palese tra Paesi. Le regole sulla solidarietà intereuropea vanno di pari passo
con una pressione maggiore sui Paesi di primo arrivo dei migranti, come
l’Italia. “Per un periodo di 20 mesi, l’Italia sarà responsabile per le domande
di asilo dei migranti che arrivano nel suo territorio. Inoltre, avrà il diritto
di richiedere il ritorno dei migranti che si spostano verso altri Paesi dell’Ue
durante questo periodo”, nota First Online. Inoltre, l’enfasi sul
dato securitario delle migrazioni non va di pari passo con un’incentivazione a
un’agenda politico-strategica per prevenire, piuttosto che curare, le crisi
migratorie. Si parla di esternalizzazione delle protezioni e addirittura del
fatto che si possa affrontare con regole nuove, orientate al sostegno
al Paese che le affronta, crisi scatenate da attori terzi attraverso l’uso
delle migrazioni come strumento di pressione.
Queste
regole non si associano a un onere prescrittivo verso quei Paesi come Ungheria
e Polonia che da tempo incentivano l’uso puramente strumentale delle
crisi migratorie come leva contro la solidarietà europea. Roberta
Metsola, presidente del Parlamento Europeo, dichiara che “la storia è stata
fatta”, usando un’espressione inflazionata per ogni piccola o media riforma dei
quadri legislativi europei. Ma non esiste alcun legame tra le politiche per le
migrazioni dell’Europa e un’agenda verso Paesi, come quelli africani, dove si
aprono buchi neri geopolitici e su cui progetti come il Global Gateway
comunitario dovrebbero intervenire per finanziare sviluppo,
cooperazione e crescita delle prospettive future di questi Stati. L’Italia, nel
suo piccolo, ci sta provando, ma per ora le mosse sono a macchia di leopardo. E
si persiste nell’illusione che la crisi migratoria possa essere gestita o
prevenuta con regole dure e aspre di contenimento di flussi più impattanti
politicamente che nei numeri.
Monsignor
Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes ed esponente della
Conferenza Episcopale Italiana, ove dirige la commissione sull’immigrazione, ha
commentato duramente: “Questo Patto segna una deriva nella politica
europea dell’asilo e il fallimento della solidarietà europea“. Aggiungendo
che l’Europa da un lato rinuncia a una strategia e dall’altro “pretende ancora
di più dai Paesi di frontiera, come l’Italia: controlli più veloci, ritorni nel
primo Paese di sbarco di chi si muove in Europa senza un titolo di protezione
internazionale, rimpatri facilitati in Paesi terzi non sicuri, chiudendo gli
occhi su esternalizzazioni dei migranti. Indebolendo, non da ultimo, la tutela
delle famiglie e dei minori”.
Insomma:
abbiamo un’Europa che rischia di morire d’ignavia mentre fuori
si costruiscono gli scenari globali di un mondo in ristrutturazione e
cambiamento. Nulla di nuovo sotto il sole: tanto rumore per nulla. Anche oggi
la storia, quella vera, la si fa domani. E sulle migrazioni continua la spinta
a fare politica di breve periodo evitando il disegno più ampio. Quello che
dovrebbe portare a una cooperazione attiva, profonda, sistemica con i Paesi di
provenienza. Non all’innalzamento delle barriere di una “Fortezza Europa” che,
da tempo, hanno solo contribuito a rimandare la presa di consapevolezza sulla
questione.
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