venerdì 9 gennaio 2015

Mi dispiace, però io non sono «Charlie» - Karim Metref

In questo momento l’uccisione delle undici persone e in modo particolare dei giornalisti/artisti nella sede del periodico satirico «Charlie Hebdo», sta prendendo le pieghe di un nuovo, mini 11 settembre. E fioccano ovunque messaggi di sgomento, di cordoglio, di solidarietà, di condanna… Anche io sono sgomento, lo sono per ogni persona che muore nel modo in cui sono morti questi ultimi. Sono solidale e feroce sostenitore della libertà di espressione. Sono triste perché alcuni dei vignettisti di «Charlie Hebdo» (Wolinski in modo particolare, che ho anche conosciuto ad Algeri un secolo fa) mi appassionavano e hanno accompagnato con loro feroce e dissacrante satira tutta la mia adolescenza e i miei desideri di allora (ma anche di oggi) di mandare tutto il mondo a farsi f…
Ma, mi dispiace, io non scriverò che «sono Charlie Hebdo». Non metterò una bandiera nera sul mio profilo Facebook e non posterò nessun disegno di Charb e nemmeno di Wolinski che mi piace tanto… E se avete tempo di leggere il mio lungo ragionamento vi spiego il perché.
«Charlie Hebdo» nasce nel 1992 ma la squadra che lo fonda viene da una lunga storia di giornali di satira libertaria. Quello che si può considerare come l’antenato di Charlie è «Hara-kiri» dove lavoravano già vari membri dell’attuale redazione. «Hara-kiri» se la prendeva con i potenti, con De Gaulle, con l’esercito, con la chiesa e fu varie volte chiuso e riaperto sotto varie forme e titoli.
Era divertente, dissacrante, feroce qualche volta. Ma sapeva di quella aria di libertà dell’epoca. Oggi il «Charlie Hebdo» è cambiato. Lo si compra ancora, qualche volta, perché ha un nome. Il suo pubblico non è più l’operaio o lo studente senza una lira, ma la “gauche-caviar” della Parigi bene.
Negli ultimi anni poi ha preso una linea editoriale apertamente islamofoba. Non è il fatto di prendere ogni tanto in giro una religione. Quello l’ha sempre fatto anche con la chiesa cattolica. Il problema non è qui. Se prendesse in giro i musulmani, l’islam, il profeta, dio o qualsiasi altro persona o simbolo sacro non ci vedrei personalmente niente di sbagliato. Ma le numerose campagne di «Charlie Hebdo» contro i musulmani, l’islam, i simboli sacri di questa religione sapevano di accanimento. Faceva parte di una certa cultura molto diffusa negli ambienti che una volta erano stati di sinistra e che oggi sono solo sinistramente cinici. Ambienti che hanno definitivamente deciso di stare dalla parte dei forti e che non hanno più nessuna bataglia vera da portare avanti. Una ex sinistra che si è arresa mani e piedi legati alla logica di mercato, al dominio delle banche e ultimamente anche alla retorica dello scontro di civiltà. Una ex sinistra che considera che l’integralismo islamico sia l’unico e ultimo pericolo che minaccia l’umanità. Una ex sinistra che non ha più sogni né progetti del resto e che si accontenta di guardare il mondo dall’alto della sua presunta superiorità culturale.
Ma non è per questo che non metterò nessun segno di cordoglio per i morti di «Charlie Hebdo». Non riconosco a nessuno il diritto di ammazzare nessuno in nome di niente e ancor meno in nome di una qualunque discordanza di opinioni. Le mie ragioni sono altre.
L’attacco alla redazione del giornale satirico viene in un momento particolare. Ancora un anno fa non si parlava per niente di integralismo. Era quasi scomparso dalle prime pagine. E se si vedevano immagini di barbuti in armi nelle strade di Tripoli o di Aleppo venivano chiamati “Rivoluzionari”. E si cantavano le lodi di questi bravi ragazzi. Si legge ovunque che i bravi ragazzi ricevono aiuti da tutte le parti. Si legge un po’ meno che in Siria i ragazzi prendono il controllo di varie stazioni di estrazione di petrolio e che la Turchia, uno stato membro della Nato glielo compra tranquillamente. Si legge ancora meno che oltre agli aiuti e alle migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo in aiuto dei bravi ragazzi ci sono anche consiglieri militari che insegnano ai bravi ragazzi a combattere…
Poi all’improvviso tutto cambia. Ritornano a chiamarlo terrorismo, le uccisioni di membri delle minoranze finora taciute vengono a gala. I servizi segreti di tutti i paesi della Nato (e i loro numerosi alleati) fanno tutti finta di cadere dalle nuvole scoprendo che migliaia di giovani sono partiti dalle loro città per dare man forte ai “rivoluzionari”. Non sapevano nulla, pare. E noi a scandalizzarci con loro.
Sono ormai decenni che questo giochetto va avanti. Le reti che oggi si chiamano Al Qaeda e poi Isis, Boko Haram e compagnia bella sono stati messi in sella in piena guerra fredda in chiave anti-sovietica. I paesi del Golfo persico in collaborazione con la Nato hanno fatto un montaggio finanziario, propagandistico e organizzativo per far arrivare combattenti da ogni dove. Al Qaeda è l’alleato principale della Nato e ovviamente dei Paesi del golfo fino agli anni novanta. Poi poco a poco scivola verso l’area di illegalità.
Intanto la guerra fredda stava finendo e Samuel P. Huntington preannunciava un nuovo conflitto e lo battezzava “scontro di civiltà”.
Nel frattempo arriva la guerra d’Algeria. Centinaia di giovani rientrati dall’Afghanistan contribuiscono a formare i primi nuclei dei Gruppi Islamici Armati. Gruppi che, insieme all’esercito algerino (che anche lui non ha scherzato) hanno fatto passare al Paese due decenni infernali. Nel frattempo nelle moschee londinesi soprattutto ma anche francesi, italiane, tedesche individui poco raccomandabili predicavano la lotta armata in Algeria e raccoglievano soldi e facevano fare affari d’oro all’industria delle armi. L’Algeria stava uscendo da una era socialista e aveva bisogno di una piccola spintarella per privatizzare le sue enormi risorse energetiche. E come per miracolo a ogni concessione firmata con una multinazionale veniva chiusa una rete di sostegno all’integralismo armato. Poi quando le multinazionali presero il controllo del petrolio algerino, le reti diventarono terroristiche e furono smantellate ovunque. O almeno così ci disse la stampa libera del mondo libero.
Fatto sta che nel 2001 ci fu l’11 settembre e ci fu una vera e propria isteria. Chi non aveva terroristi islamici da arrestare se li inventava. Tutti volevano avere la loro minaccia, il loro mini attacco. Non fu mai chiaro né chi né perché né come furono eseguiti gli attentati di quel giorno ma cadevano a fagiolo per giustificare le nuove politiche di controllo militare dell’area del Medio Oriente volute dai neo-cons americani. Sono ormai 14 anni che va avanti la loro War on Terror e non ha prodotto che sempre più Terror e sempre nuove Wars.
Ma poi i Neo-cons se ne sono andati e arriva Obama, che dice di voler ritirare le truppe e se ne va al Cairo e fa un discorso lungo e forte in cui dice che tende la sua mano per aiutare alla creazione di un “Nuovo Medioriente”. Poco dopo quel discorso le piazze arabe cominciano a muoversi. Il mondo scopre che nel mondo arabo non ci sono solo militari baffuti e ribelli barbuti. In mezzo ci sono popoli colorati e variegati che aspirano, tutto sommato, alle stesse cose di tutti i popoli: dignità, libertà, benessere… Gli islamisti sono del tutto assenti dalle piazze o quasi. Comunque non hanno l’iniziativa. Seguono qualche volta. Qualche volta si ritirano. Ma il “là” lo danno giovani laici, colti e amanti della libertà e dei diritti umani.
Ma questo non soddisfa tutti, sembra. Già nel maggio 2011, i servizi segreti russi (generalmente ben informati per quel che mi risulta) davano l’allarme sull’imminente ricostruzione di reti integraliste internazionali sotto il commando dello specialista saudita in materia: il principe Bandar Assudairi Ben Saud, artefice di vari gruppi e varie guerriglie islamiste attraverso il mondo. L’obiettivo è riportare l’islamismo politico alla testa delle rivolte. L’informazione fu ripresa soltanto dalla rete Voltaire, ufficialmente classificata nel rango dei complottisti e tutti fecero finta di niente.
Oggi tutto quello che era previsto in quell’avvertimento si è avverato e anche di più.
In Libia un comandante “ex” Al Qaeda alla testa di un esercito armato dal Qatar e dall’Arabia Saudita e addestrato dalla Cia prende la città di Tripoli che le milizie tribali non riuscivano a conquistare e il Paese diventa una specie di territorio liberato per i gruppi armati di ogni tipo. In Yemen l’Arabia Saudita rimette il vecchio regime in piedi ma stranamente gruppi armati spuntano ovunque come funghi. In Egitto e Tunisia i Fratelli Musulmani sono portati al potere su un tappeto di petrodollari. In Siria non ne parliamo… Il resto della storia lo sappiamo.
Nel frattempo in Occidente le moschee (non tutte per fortuna ma quelle più estremiste e che sarebbero in teoria anche quelle più monitorate dai servizi) hanno ripreso a diventare luoghi di raccolta fondi e reclutamento. Domani forse se qualche giudice indaga troppo da vicino sul perché, potrà esserci più di un nuovo caso Abu Omar. E poi adesso, da meno di un anno, tutti a gridare al lupo. Ma a che gioco giochiamo. Qualcuno ce lo può spiegare?
Sono ormai 30 anni che i servizi di tutto il mondo giocano come si gioca con il fuoco con i gruppi integralisti. Sono controllati, sono infiltrati, sono gonfiati quando servono e sgonfiati quando non servono. Del resto è quello che si è anche fatto e che si continua a fare con vari gruppi estremisti di destra e di sinistra dalla seconda guerra in qua. Chi si ricorda della sigla “Stai Behind” e dei finti attentati (ma con veri morti) attraverso tutta Europa sa di che sto parlando.
Oggi c’è bisogno di far salire la posta in gioco. La crisi chiede guerre. Le nuove guerre per il controllo del Medio Oriente hanno bisogno di legittimità. La crisi ha sputtanato tutta la classe politica europea e solo la salita degli estremismi di destra può spingere la gente a rivotarli di nuovo. Non ti piace Renzi ma siccome c’è il rischio Salvini (chi sa come mai è sempre in tv quello?) allora ci vai e lo voti. Del resto anche le reti dell’integralismo armato hanno bisogno di far salire il livello di tensione. Chi vive di violenza e per la violenza ne ha bisogno come dell’ossigeno. Stanno nella stessa logica anche loro.
E allora adesso, commesso il fattaccio, tutti i fascistoidi, che avrebbero volentieri fatto esplodere la testa al gruppo «Charlie Hebdo» per le vecchie posizioni antifasciste o per le loro posizioni sull’omosessualità e altri temi del genere… tutti hanno già pubblicato sulle loro bacheche messaggi di cordoglio e tutti piangono lacrime di coccodrillo su questa Europa, che loro vorrebbero libera, ma che è minacciata dai musulmani, dagli africani, dagli asiatici, portatori di valori antidemocratici! E sui set televisivi hanno già cominciato a raccogliere i frutti di questa vera e propria manna politica servita loro su un piatto… di piombo.
É per non fare parte di questo gigantesco teatrino delle emozioni su ordinazione, degli sgomenti selettivi, della solidarietà di facciata, delle amnesie collettive e dell’ipocrisia generalizzata che non metterò bandiera nera, né scriverò «Io sono Charlie». Io non sono Charlie. Lo sono stato da piccolo, quando anche Charlie era Charlie. Oggi non lo siamo più né lui né io.
Oggi Charlie non fa più ridere nessuno e a me mi viene voglia di piangere, ma da solo, in disparte. Mi vien da piangere, ma non solo per Wolinski o per i suoi colleghi. Mi vien da piangere per tutti i morti di questa sordida storia. Mi vien da piangere per le centinaia di migliaia di morti durante la guerra sporca in Algeria, per gli amici che vi ho perso. Mi vien da piangere per le vittime del World Trade Center, per il mezzo milione di iracheni, le centinaia di migliaia di afghani, pachistani, per le decine di migliaia di libici, di yemeniti, di palestinesi, per le centinaia di migliaia di persone uccise in Siria, il tutto in una tragica farsa chiamata Scontro di civiltà.

2 commenti:

  1. Ma, sai... anche in coloro che hanno detto, a caldo, sull'onda dell'emozione e dello sgomento e della paura, Je suis Charlie, ci sono ... buoni e cattivi, diciamo così. Io l'ho detto, ad esempio, come l'urlo in reazione a un dolore improvviso, ad una ingiustizia palese, e, sì, anche riconoscendomi umana tra gli umani, a differenza di chi uccide. Ho ricordato però anche come, a casa nostra, in Italia, Calderoli avesse cavalcato subito lo scontro nato all'epoca delle prime vignette danesi del Jyllands-Posten e riflettuto, allora, di come, forse, anche la satira avrebbe dovuto avvicinarsi con cautela a temi tanto delicati e pericolosi, inutili se al sorriso che avessero ispirato fosse stata affiancata troppa sofferenza, intesa in senso lato come quello che è regolarmente accaduto dopo. Insomma, alla fine, il gioco valeva la candela? L'obiettivo era una risata o un giudizio sull'Islam intero? L' equivoco era verosimile. Nessun equivoco possibile di fronte alla morte.

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    1. non ci sono equivoci, è una mattanza senza giustificazione, se non nell'ottica del videogioco di cui non so il nome, gli assassini qui hanno fatto molti punti.

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