domenica 24 marzo 2019

Il Tav e la fine del mondo - Movimento No Tav


Il 15 marzo ci è stato il primo sciopero globale per il clima. Siete state decine di migliaia a scendere in piazza in tutta Italia e nel mondo. Anche dalla Val Susa, abbiamo ammirato il coraggio di Greta nel mettersi in gioco in prima persona e rompere il silenzio. Ai più vecchi di noi ha ricordato le prime ricerche che abbiamo iniziato a fare su un progetto che vogliono realizzare da trent’anni nella nostra valle. Proprio come Greta, non ci siamo accontentati di una politica che diceva “è tutto apposto qui, non c’è nulla da vedere”: ci siamo informati e abbiamo scoperto che dietro le lettere TAV si nascondeva una grande opera che avrebbe avuto un impatto terribile sulle nostre vite, ingiustificabile sul piano economico ed ecologico, emblema di un sistema che vive per far andare più veloci le merci invece di far vivere meglio le persone. Anche noi all’inizio eravamo una manciata, poi siamo diventati centinaia, poi migliaia, poi decine di migliaia, dando vita a quello che è forse il più longevo movimento “ambientale” del nostro paese.
Da quei primi giorni siamo riusciti a fermare diverse varianti dell’opera, progetti che persino i proponenti hanno poi riconosciuto essere sovradimensionati e troppo impattanti. Questo però lo hanno sempre detto dopo, prima non facevano altro che assicurarci che ogni progetto era il migliore, ognuno era indispensabile per la valle e per il paese. Se non ci fossimo messi in mezzo tutti quanti, bambini, ragazzi, adulti e anziani li avrebbero già realizzati.
Negli anni per far ingoiare alla Val Susa la pillola del TAV le hanno provato tutte. Ci hanno detto che eravamo dei montagnari ignoranti, che il TAV serviva per lo sviluppo, per il progresso, per l’export. Ora subdolamente sostengono che opporsi all’alta velocità vuol dire essere a favore del trasporto su gomma, come se già non esistesse un treno che attraversa la Val Susa e che è decisamente sotto utilizzato. L’ultimo disperato tentativo è far passare quel mega-cantiere che ha iniziato a devastare la Val Clarea, una zona bellissima dove passeggiavamo fino a poco tempo fa e dove si trova una rarissima farfalla alpina, la Zerinizia, come un progetto “ecologico”.
Un’eventuale seconda linea tra Torino e Lione avrà in realtà effetti devastanti non solo sulla nostra valle ma su tutto l’ecosistema. Basta dare un’occhiata all’impronta ecologica del TAV. Secondo la ditta che vorrebbe costruire il tunnel, i lavori dovrebbero durare almeno quindici anni. Per tutto il suo periodo di attività il cantiere emetterà 1 milione di tonnellate di CO2 l’anno (e lasciamo da parte gli effetti sulle falde acquifere e sulla presenza di uranio nel massiccio dell’Ambin). Per “recuperare” un tale aumento delle emissioni il super-treno dovrebbe viaggiare a pieno regime per altri dodici anni. Sappiamo che sono stati mesi di propaganda incessante sul TAV che ha nauseato anche noi e sappiamo quanto siete attenti a verificare sempre in maniera scientifica ciò che viene detto, quindi potete controllare voi stessi questi dati, si trovano in uno dei documenti pubblicati dai promotori del TAV, il Quaderno n. 8 dell’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione. Attenzione! Viaggiare a pieno regime non significherebbe solo spostare su ferro i 2.154 mezzi pesanti che passano oggi dal Frejus (lo 0,1% delle emissioni inquinanti in Italia, un’inezia di fronte agli 80.000 TIR che sfrecciano in tangenziale e di cui nessuno vuole occuparsi) e che potrebbero facilmente essere portati sulle ferrovie grazie agli incentivi fiscali. Significa che per essere ecologicamente conveniente il traffico sulla tratta tra Torino e Lione dovrebbe aumentare di venti volte rispetto ad oggi. Una cosa non solo impossibile ma anche non auspicabile. Una cosa sbagliata, grave e dannosa. Il tutto mentre c’è un altro tunnel, quello del Frejus, che scorre parallelo a poche decine di chilometri.
Insomma, il TAV, facendo aumentare il traffico di venti volte, avrà un ipotetico impatto positivo sulle emissioni nel 2047. Pensiamo che sapete meglio di noi ciò che dicono gli scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC): abbiamo solo dodici anni per impedire che la temperatura del pianeta superi i +1,5 °C, arrivando fino a +2 °C, con effetti disastrosi e irreversibili per la vita sulla Terra. Vedremo prima la fine del mondo che la fine del Tav.
Le emissioni non vanno diminuite tra trent’anni costruendo nuovi tunnel e facendo viaggiare ancora più merci su lunghe distanze, vanno diminuite ora investendo nell’economia circolare, sul riassetto idrogeologico, la cura e la manutenzione del territorio cambiando un modello di sviluppo che ci sta portando dritti all’estinzione.
Il cambiamento climatico sembra un tema vasto e molto lontano, su cui possiamo fare poco fatta eccezione per piccoli comportamenti quotidiani. Ciò che bisogna capire è che il climate change deriva da scelte ben precise che hanno effetti molto concreti sulla vita delle popolazioni, dal delta del Niger all’Amazzonia, dalla Terra dei fuochi alla Val di Susa. Non è vero che i politici non stanno facendo nulla per l’ambiente, ve lo possiamo assicurare: stanno facendo anche troppo.
Come noi, come Greta, come tutti i movimenti dal basso anche voi condividete un dilemma. Come assicurarci che le dichiarazioni dei politici non siano solo belle parole ma si traducono in fatti? Se ci pensate, la risposta è in fondo abbastanza semplice. Qualsiasi politico che dica di combattere il cambiamento climatico dovrebbe immediatamente esprimersi non a favore ma contro quei progetti che aumenteranno le emissioni di CO2 nei prossimi cruciali dodici anni. È il solo modo per capire se fanno sul serio.

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