mercoledì 18 giugno 2025

Cani, gatti e bombe intelligenti: la degenerazione morale dell’Europa militarizzata - Mario Sommella

 

Mentre il Parlamento europeo si appresta a votare con solerzia un regolamento sul benessere di cani e gatti — microchip obbligatori, riproduzione controllata, tracciabilità, pause tra una gravidanza e l’altra — l’odore di carne bruciata e cemento sbriciolato continua a salire da Gaza e da Teheran. Non un voto su Israele, neanche una parola spesa con la dignità di una presa di posizione. Solo dibattiti simbolici, calendarizzati per tacitare qualche voce scomoda a sinistra, senza alcuna conseguenza politica. Gaza? L’Iran? Non fanno audience. Non portano voti. Non si possono coccolare come un cucciolo di bulldog francese.

Dal 7 ottobre 2023, la Striscia di Gaza è diventata un cimitero a cielo aperto. Non c’è più niente da distruggere, ma Israele continua imperterrito a bombardare i sopravvissuti. Non è più notizia. E quando non è notizia, smette di essere scandalo. Il genocidio dei palestinesi, di cui oggi si parla solo per sottrazione, non è cessato: semplicemente è stato silenziato. I bambini non vengono più salvati, ma archiviati. Il loro dolore non compare più nei titoli, non entra nei talk-show, non turba le coscienze impagliate dell’Occidente.

Nel frattempo, Netanyahu ha aperto un nuovo fronte: tre giorni di bombardamenti sull’Iran, oltre duecento morti, più di mille feriti. Nessuna dichiarazione di guerra, nessuna risoluzione dell’ONU. Ma l’ONU, per Israele, è solo una “palude antisemita”, e le sue risoluzioni carta igienica. Israele non aderisce al Trattato di Non Proliferazione Nucleare, possiede decine di testate atomiche, non accetta ispezioni dell’AIEA, ma accusa l’Iran — che al trattato aderisce — di volerne costruire una. E l’Europa? L’Europa invia armi all’aggressore. L’Europa vota norme sugli animali domestici. L’Europa, ancora una volta, tradisce la sua promessa storica e diventa ancella di un colonialismo armato, criminale e impunito.

La guerra in Ucraina? Sparita. E non perché sia finita, ma perché non conviene più raccontarla. L’industria bellica ha venduto abbastanza. Gli editoriali hanno esaurito il lessico dell’indignazione. I talk show hanno spostato i riflettori su altri orrori più redditizi. Ma la guerra in Ucraina continua, così come continua la negazione della verità: quella che incolpa un solo aggressore e assolve gli altri, in nome di una “moralità selettiva” che diventa farsa.

Ed è in questa farsa che il Parlamento europeo discute oggi del possibile utilizzo dei fondi del Recovery Fund — il cosiddetto Next Generation EU, nato per ricostruire socialmente ed economicamente l’Europa post-Covid — per finanziare la Difesa. In altre parole: trasformare la speranza in cannone. I fondi per la ripresa sociale che dovevano andare a ospedali, scuole, welfare, vengono dirottati per potenziare le catene di produzione bellica e le scorte militari. Non è solo una deviazione tecnica, è un’abiura morale. Lo denuncia con chiarezza Pasquale Tridico, lo ribadisce Valentina Palmisano: questo è il passaggio dalla solidarietà al militarismo sistemico.

La Commissione non arretra, i socialisti tentennano, la destra spinge, il PD si barcamena. I Cinque Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, unici a resistere con coerenza, hanno annunciato la loro adesione alla manifestazione di sabato 21 giugno a Roma, convocata dalla Rete Stop al Riarmo per Gaza. Giuseppe Conte ci sarà. Elly Schlein sarà in Olanda, ma alcuni esponenti del PD parteciperanno. Eppure, anche qui, c’è ambiguità. Perché nel frattempo i riformisti attaccano. Ogni passo contro la guerra diventa motivo di divisione, mentre la macchina bellica procede compatta, sostenuta trasversalmente.

Serve allora alzare la voce. Serve gridare che non possiamo accettare una normalità fatta di missili, silenzi e bambini polverizzati. Non si può più restare inerti mentre l’Europa si trasforma in un arsenale a cielo aperto, mentre le guerre per procura diventano sistema, mentre i governi democratici perdono ogni legittimità morale spalleggiando regimi assassini come quello di Netanyahu.

La manifestazione del 21 giugno non è solo un appuntamento. È un obbligo. Un dovere civile, politico, umano. Per Gaza, per l’Iran, per l’Ucraina, per tutte le vittime dimenticate. Per dire che non in nostro nome si finanziano stermini. Non in nostro nome si convertono i fondi della speranza in macchine di morte. Non in nostro nome si decide di proteggere i cuccioli e dimenticare i bambini sotto le bombe.

In un mondo dove l’aggressore diventa “buono” e l’aggredito “terrorista”, dove l’Occidente seleziona le guerre come fossero sfilate di moda, tocca a noi restare umani. Per davvero.

da qui

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