Mentre il
Parlamento europeo si appresta a votare con solerzia un regolamento sul
benessere di cani e gatti — microchip obbligatori, riproduzione controllata,
tracciabilità, pause tra una gravidanza e l’altra — l’odore di carne bruciata e
cemento sbriciolato continua a salire da Gaza e da Teheran. Non un voto su
Israele, neanche una parola spesa con la dignità di una presa di posizione.
Solo dibattiti simbolici, calendarizzati per tacitare qualche voce scomoda a
sinistra, senza alcuna conseguenza politica. Gaza? L’Iran? Non fanno audience.
Non portano voti. Non si possono coccolare come un cucciolo di bulldog
francese.
Dal 7 ottobre 2023, la Striscia di Gaza è diventata un cimitero a cielo
aperto. Non c’è più niente da distruggere, ma Israele continua imperterrito a
bombardare i sopravvissuti. Non è più notizia. E quando non è notizia, smette
di essere scandalo. Il genocidio dei palestinesi, di cui oggi si parla solo per
sottrazione, non è cessato: semplicemente è stato silenziato. I bambini non
vengono più salvati, ma archiviati. Il loro dolore non compare più nei titoli,
non entra nei talk-show, non turba le coscienze impagliate dell’Occidente.
Nel frattempo, Netanyahu ha aperto un nuovo fronte: tre giorni di
bombardamenti sull’Iran, oltre duecento morti, più di mille feriti. Nessuna
dichiarazione di guerra, nessuna risoluzione dell’ONU. Ma l’ONU, per Israele, è
solo una “palude antisemita”, e le sue risoluzioni carta igienica. Israele non
aderisce al Trattato di Non Proliferazione Nucleare, possiede decine di testate
atomiche, non accetta ispezioni dell’AIEA, ma accusa l’Iran — che al trattato
aderisce — di volerne costruire una. E l’Europa? L’Europa invia armi
all’aggressore. L’Europa vota norme sugli animali domestici. L’Europa, ancora
una volta, tradisce la sua promessa storica e diventa ancella di un
colonialismo armato, criminale e impunito.
La guerra in Ucraina? Sparita. E non perché sia finita, ma perché non
conviene più raccontarla. L’industria bellica ha venduto abbastanza. Gli
editoriali hanno esaurito il lessico dell’indignazione. I talk show hanno
spostato i riflettori su altri orrori più redditizi. Ma la guerra in Ucraina
continua, così come continua la negazione della verità: quella che incolpa un
solo aggressore e assolve gli altri, in nome di una “moralità selettiva” che
diventa farsa.
Ed è in questa farsa che il Parlamento europeo discute oggi del possibile
utilizzo dei fondi del Recovery Fund — il cosiddetto Next Generation EU, nato
per ricostruire socialmente ed economicamente l’Europa post-Covid — per
finanziare la Difesa. In altre parole: trasformare la speranza in cannone. I
fondi per la ripresa sociale che dovevano andare a ospedali, scuole, welfare,
vengono dirottati per potenziare le catene di produzione bellica e le scorte
militari. Non è solo una deviazione tecnica, è un’abiura morale. Lo denuncia
con chiarezza Pasquale Tridico, lo ribadisce Valentina Palmisano: questo è il
passaggio dalla solidarietà al militarismo sistemico.
La Commissione non arretra, i socialisti tentennano, la destra spinge, il
PD si barcamena. I Cinque Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, unici a resistere
con coerenza, hanno annunciato la loro adesione alla manifestazione di sabato
21 giugno a Roma, convocata dalla Rete Stop al Riarmo per Gaza. Giuseppe Conte
ci sarà. Elly Schlein sarà in Olanda, ma alcuni esponenti del PD
parteciperanno. Eppure, anche qui, c’è ambiguità. Perché nel frattempo i
riformisti attaccano. Ogni passo contro la guerra diventa motivo di divisione,
mentre la macchina bellica procede compatta, sostenuta trasversalmente.
Serve allora alzare la voce. Serve gridare che non possiamo accettare una
normalità fatta di missili, silenzi e bambini polverizzati. Non si può più
restare inerti mentre l’Europa si trasforma in un arsenale a cielo aperto,
mentre le guerre per procura diventano sistema, mentre i governi democratici
perdono ogni legittimità morale spalleggiando regimi assassini come quello di
Netanyahu.
La manifestazione del 21 giugno non è solo un appuntamento. È un obbligo.
Un dovere civile, politico, umano. Per Gaza, per l’Iran, per l’Ucraina, per
tutte le vittime dimenticate. Per dire che non in nostro nome si finanziano
stermini. Non in nostro nome si convertono i fondi della speranza in macchine
di morte. Non in nostro nome si decide di proteggere i cuccioli e dimenticare i
bambini sotto le bombe.
In un mondo
dove l’aggressore diventa “buono” e l’aggredito “terrorista”, dove l’Occidente
seleziona le guerre come fossero sfilate di moda, tocca a noi restare umani.
Per davvero.
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