Il nazismo non è solo quello che si manifesta in modo chiassoso con bandiere e slogan, ispirate a simboli e idee tipiche di quel periodo funesto in cui esso esercitò la sua malefica azione. Ve n’è anche uno, spesso nascosto, che alberga nell’animo di molti che si sentono “liberali” e in linea con i “valori” dell’Occidente da loro difesi: esso si dispiega in quel sentimento – a volte persino in una teorizzazione (e non sono mancati i filosofi e teorici di ciò) – che non riconosce nell’altro la medesima umanità che viene attribuita a se stessi e al proprio gruppo socio-culturale: è la sub-speciazione – come l’avrebbe chiamata Konrad Lorenz –, il principio che rende moralmente non onerosa l’uccisione di chi ha sì le sembianze di un essere umano (due braccia, due gambe, un volto e così via), ma nella sua sostanza non è un umano, ma una specie animale di categoria inferiore e quindi impunemente violentabile, sino alla uccisione. Era il sentimento posseduto da chi colonizzava il West nei confronti dei pellerossa, di chi faceva la tratta dei negri per renderli schiavi nelle piantagioni di cotone, di chi riteneva gli orientali (cinesi, indiani o quant’altro) degli esseri inferiori e quindi bisognosi di guida ed educazione, punibili ed eliminabili ad libidum qualora non accettassero tale superiore imperio; e così via, essendo la storia ricca di episodi del genere.
Un esempio
di questo atteggiamento m’è capitato di osservare quando ho fatto un commento
ironico-sarcastico a chi si mostrava soddisfatto per legge sulla tutele degli
animali approvata in via definitiva dal governo su iniziativa della Brambilla:
«I palestinesi sono compresi (visto che sono stati definiti animali da qualche
ministro israeliano)?». Era un modo per mettere in luce lo strabismo di
chi si preoccupa per gli animali e non profferisce parola neanche di semplice
carità umana verso donne e bambini uccisi da una indiscriminata rappresaglia.
Al che l’ineffabile autore del post che lodava la suddetta legge –
intellettuale, scrittore e storico – ha risposto che «i membri di Hamas e
coloro che hanno solidarizzato con loro […] sono meno degli animali ai quali ho
portato sempre rispetto», ricevendo persino dei like di altri che si sentono
anche loro intellettuali illuminati.
Un’affermazione
del genere va – a mio avviso – al di là di ogni principio giuridico e
umanitario, perché è il presupposto di uno sterminio indiscriminato di
gente che non ha commesso direttamente alcun delitto od omicidio: a
solidarizzare con Hamas, infatti, è stato ed è (tranne poche eccezioni)
l’intero popolo palestinese di Gaza, che vede in tale gruppo politico (liberamente
eletto in contrapposizione all’OLP e sostenuto ai suoi esordi persino da
Israele, che così voleva delegittimare la principale organizzazione politica
palestinese) un modo per reagire alla decennale oppressione subita da Israele.
Ma lo sono anche – per estensione – tutti coloro che in Occidente hanno
espresso condanna verso la politica israeliana a Gaza, non a caso tacciati di
antisemitismo e di fiancheggiamento dei terroristi. Così, in base a
tale principio, l’opera di sterminio in corso a Gaza viene derubricata da
genocidio di esseri umani a eliminazione di capi di bestiame, di esseri
sub-umani che non meritano di vivere, perché meno degli animali (per
questi ultimi, vale almeno la legge di tutela appena approvata). E la censura
verso coloro che esprimono dissenso verso quanto sta accadendo a Gaza diventa
pienamente giustificabile: bisogna metterli a tacere, se proprio non li si può
eliminare. Vale molto di più, per chi sostiene un tale punto di vista, il
gattino intrappolato su un albero o il cane picchiato dal padrone, che dei
bambini bruciati vivi dalle bombe o colpiti alla testa da cecchini
dell’esercito israeliano.
Siamo qui al
di là di ogni principio di civiltà giuridica, al di là di ogni considerazione
illuministica sulla pari dignità di tutti gli uomini e dei principi in difesa
della sacralità della vita umana – che appunto valgono per coloro che vengono
definiti uomini, non certo per chi è meno degli animali; al di là del principio
di Beccaria per cui la pena di morte deve essere abolita, anche per i più
feroci criminali; siamo al di là del principio per cui non può esserci
una punizione collettiva di un’intera etnia o gruppo sociale sulla base del
crimine commesso da alcuni dei loro appartenenti (una volta si chiamava
rappresaglia): la responsabilità è comune e tutti sono chiamati a
risponderne, anche donne e bambini, che ancora nemmeno sanno dell’esistenza di
Hamas.
Ecco quindi
il nazismo che alberga in noi: tale svalutazione dell’umanità nell’Altro, tale
considerazione che esso appartenga a una sotto-razza, è stato il cemento
ideologico che ha alimentato lo sterminio nazista del popolo ebraico, appunto
ritenuto “razza inferiore”; era il modo in cui le singole persone –
che volenterosamente appoggiavano o si facevano interpreti di
tale politica di sterminio – giustificavano il proprio operato, alleggerendo la
propria coscienza e rendendola indifferente a quanto stava avvenendo. Ma,
ahimè, è oggi lo stesso sentimento nutrito dalla grande maggioranza della
popolazione israeliana verso i palestinesi, di cui è interprete il governo di
Nethanyau, come dichiarato apertamente da molti suoi ministri, per non parlare
dei coloni.
È di questo
sentimento, di questo grumo di odio misto a giustificazione
pseudo-antropologica sulla inferiorità o non umanità dell’Altro, del suo essere
meno degli animali, che si alimenta la pratica nazista. È questo il nazismo che sta dentro
di noi, anche nelle persone più insospettabili e civili, e sul quale bisogna
vigilare, molto più che sui chiassosi e pittoreschi assembramenti di braccia
tese.
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