“Non si può guardare alla delinquenza organizzata solo volgendo lo sguardo
verso i territori del sud Italia”. Inizia così la relazione semestrale
della Direzione Investigativa Antimafia per il 2024. Le parole sono
del Generale della Guardia di Finanza Michele Carbone, direttore
della DIA. Una premessa chiara che fuga ogni dubbio anche su chi pensa che le
mafie siano solo affari del meridione.
Dalla relazione, che per la prima volta accorpa entrambi i semestri, quindi
diventa annuale, e che è riferita al 2024, emerge chiaramente il volto delle
organizzazioni criminali, che è per forza di cose quello imprenditoriale.
“Follow the money” diceva ormai 30 anni fa il giudice Giovanni Falcone, e
da quel momento in poi questa frase è divenuta sempre più importante. Impresa,
relazioni e forte vocazione economica rendono le mafie camaleontiche e
imperniate nell’economia legale.
Il volto della ‘ndrangheta
La relazione della Direzione Investigativa Antimafia fotografa
la ‘ndrangheta come un’organizzazione criminale “proteiforme”,
cioè capace di assumere aspetti o atteggiamenti molto diversi tra loro. Una
mafia camaleontica che ha sicuramente una vocazione affaristico-imprenditoriale aiutata
dalla sua “versatilità tattica straordinaria, che le consente di adattarsi ai
molteplici contesti in cui opera. Essa attrae abilmente i propri interlocutori
– che spaziano dagli attori della politica locale agli operatori economici e
imprenditoriali – prospettando un apparente ventaglio di opportunità e vantaggi
immediati, per poi fagocitare e controllare tutti i settori in cui penetra”.
Tutto ciò la rende una protagonista di rilievo nell’ambito del narcotraffico
internazionale.
Come tutte le mafie anche la ‘ndrangheta è fatta anche e
soprattutto da professionisti, grazie ai quali ha saputo intercettare,
nel tempo, le misure di sostegno economico‐finanziario varate da istituzioni
europee e nazionali, diversificando i propri investimenti secondo una logica di
massimizzazione dei profitti, in particolare nei settori maggiormente
vulnerabili. La modalità più classica è quella di “aiuto” alle persone e
aziende in difficoltà, tramite liquidità economica che però poi si tramuta in
pretese di quote sempre maggiori fino allo svuotamento totale dell’attività.
La peculiarità della ‘ndrangheta poi, è quella di essere ancora
molto legata alla familiarità: “L’affermazione criminale dei clan calabresi si
fonda, in primis, sui vincoli tradizionalistici e familiari, che rafforzano la
struttura fin dalla base - si legge nella Relazione -. I legami di sangue,
infatti, rappresentano una caratteristica endemica che ha permesso alle cosche
di preservarsi in misura superiore rispetto ad altre matrici mafiose, riducendo
l’esposizione al rischio del pentitismo”.
Cosa nostra
Abbiamo parlato in primis della ‘ndrangheta perché,
ad oggi, in Italia è la più potente. Rimangono però attive e pericolose anche
tutte le altre mafie storiche. Tra queste Cosa nostra, che ha
sicuramente subito forti colpi al suo potere dalle operazioni di contrasto, ma
che è ancora viva e attiva. “A Palermo e nelle province
occidentali - si legge nella Relazione -, la prolungata assenza di una
leadership solida e riconosciuta ha determinato ciclici avvicendamenti e
tentativi di stabilizzazione tra le nuove e le vecchie generazioni,
configurando un modello di coordinamento fondato sulla condivisione delle linee
d’indirizzo e su una gestione operativa 'intermandamentale'”.
Oltre a Cosa nostra, in Sicilia sono presenti
altre organizzazioni criminali di matrice mafiosa come la stidda,
storicamente radicata nel quadrante meridionale dell’isola e che si
caratterizza per una struttura orizzontale. È composta da gruppi autonomi che
storicamente sarebbero nati in contrapposizione a cosa nostra, ma
che attualmente hanno attuato con quest’ultima intese di condivisione e spartizione
degli affari illeciti.
Camorra
Per quanto riguarda la struttura camorristica, la relazione della DIA fa
notare come accanto a organizzazioni criminali che potrebbero essere definite,
per struttura e per capacità delinquenziali, di “livello inferiore”, cioè
quelle condensate attorno a piccoli nuclei familiari e orientate principalmente
allo spaccio di stupefacenti e alle pratiche estorsive, coesistono
organizzazioni mafiose di più lunga tradizione. Queste nel tempo si sono
evolute in strutture organizzative e hanno obiettivi diversi e più grandi. Sono
dei veri e propri “cartelli” o “confederazioni” che agiscono come delle
imprese mafiose entrando in amministrazioni locali, soprattutto tramite la
corruzione, e infiltrando il sistema economico legale, con il coinvolgimento di
imprenditori collusi o di professionisti, i cosiddetti “colletti bianchi”.
Tutto questo con lo scopo di riciclare gli enormi flussi di denaro di
provenienza illecita.
Mafie pugliesi e lucane
Le mafie in Puglia attualmente sono le più rumorose e violente. Il contesto
criminale pugliese viene tradizionalmente suddiviso in tre fattispecie mafiose
distinte: camorra barese, mafie foggiane e sacra corona unita. Tre
diverse organizzazioni che però, all’occorrenza, collaborano tra di loro.
Camorra barese
La Relazione disegna la camorra barese come una “pluralità
di clan indipendenti privi di una connotazione unitaria la cui struttura è
comunque di tipo verticistico, diversificata da caso a caso". La camorra
barese ha al suo interno, ruoli e “gradi” stabiliti da rituali di affiliazione
che sono simili a quelli della camorra napoletana e della ‘ndrangheta.
Ogni clan poi ha una sua specifica area geografica di
influenza, con propri esponenti apicali, quadri intermedi, manovali del crimine,
soldati e gruppi di fuoco.
Le attività dei clan della camorra barese sono
estorsioni, usura, contrabbando, scommesse illecite, edilizia, ciclo dei
rifiuti, del trasporto delle merci su strada e delle attività connesse alle
lotterie e alle scommesse on line.
La mafia foggiana o quarta mafia
La criminalità organizzata foggiana della anche la quarta mafia, ha
al suo interno diverse identità mafiose distinte: la società foggiana,
la mafia garganica, la mafia sanseverese e la mafia cerignolana che
operano in tutta la provincia. L’attività criminale si può dividere in quattro
quadranti geografici: Foggia, Macro-area del Gargano, Alto Tavoliere e
Basso Tavoliere.
La società foggiana è radicata più nella città di Foggia
ed è una mafia fatta di estrema violenza. Ha un modello di tipo federativo ed è
articolata convenzionalmente in tre batterie, quella dei Sinesi-Francavilla,
quella dei Trisciuogliotolonese e quella dei Moretti-Pellegrino-Lanza.
Per quello che si sa, ad oggi, grazie alle interdittive, la DIA ci dice che
quest’ultima è attiva prettamente nel settore dell’edilizia ed in quello
sanitario-assistenziale dov’è presente anche la batteria dei
Sinesi-Francavilla. Questa “lavora” anche nei campi dell’edilizia e
dell’agricoltura.
La mafia garganica sono i Montanari, il
clan Lombardi-Romito-Ricucci, il clan Perna-Iannoli e
il clan Raduano. I Lombardi-Romito-Ricucci sono
attivi principalmente a Manfredonia dove sono stati in grado di condizionare il
comparto politico-amministrativo della città. Il clan ha anche
interessi extra-regione ed ha interagito con alcune cosche della ‘ndrangheta
La mafia sanseverese infine viene chiamata così da una
sentenza della Corte di Cassazione del 17 maggio 2024. È di
fatto un’entità distinta dalla società foggiana, anche se si è originata
da questa. In particolare il legame è con i Moretti-Pellegrino-Lanza.
Le formazioni mafiose della città di San Severo sono due, contrapposte tra
di loro: i Nardino e i Testa-La Piccirella.
I primi nel 2024 hanno ricevuto un’interdittiva per una ditta individuale
attiva nel settore del commercio all’ingrosso di autoveicoli, i secondi invece
sono più attivi nella ristorazione, come dimostra l’interdittiva adottata nei
confronti di una ditta individuale la cui titolare è figlia di un elemento di
spicco di quel clan. Infine c’è il clan Piarulli a Cerignola,
che secondo la DIA è quello che “dispone di una capacità finanziaria tale da
riuscire a diversificare le operazioni di riciclaggio in molteplici attività
economiche (gestione di sale ricevimento, alberghi, distributori di carburante,
supermercati, autoparchi, aziende del settore agroalimentare). I principali
settori di interesse criminale sono: la gestione su larga scala del traffico di
stupefacenti; i furti di mezzi anche speciali e di autovetture con conseguente
ricettazione e riciclaggio operati tramite la vendita dei relativi pezzi su
larga scala, anche online; il traffico di armi, di idrocarburi e di generi
alcolici sofisticati”
La sacra corona unita infine è attiva tra le province
di Lecce e Brindisi. A Lecce e provincia operano il clan Briganti e
il gruppo Pepe-Penza. Due famiglie con una struttura
gerarchica che sono presenti nell’economia legale nei settori della
disinfestazione/sanificazione degli ambienti e quello dei lavori di scavo e
movimento terra, come dimostrano le due interdittive adottate nei confronti di altrettante
società riconducibili, direttamente o indirettamente, al clan. Il clan Tornese invece,
secondo la DIA, sarebbe “egemone a Monteroni di Lecce, ed è quello maggiormente
radicato e strutturato, con influenza in molti altri Comuni della provincia anche
attraverso le frange Politi, Rizzo e Nocera e
al clan Padovano”. Altre tre interdittive nel 2024 sono state
emesse nei confronti di altrettante società operanti nei settori della
costruzione di edifici, dell’agricoltura ed alberghiero. Queste sono arrivate
per il legame con altre società già destinatarie di interdittive antimafia
nonché, come si legge nella Relazione, “per gli acclarati legami con un’altra
società anch’essa destinataria di interdittiva antimafia in quanto legata alla
cosca calabrese Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto
(KR).
Le mafie in Veneto
Tutto ciò si può riscontrare anche in Veneto, regione che non
ha visto nascere le mafie storiche ma che ha il triste primato d’aver avuto una
sua mafia autoctona, l’unica del nord Italia: la Mafia del Brenta. In Veneto da
anni è presente un radicamento delle organizzazioni criminali, soprattutto di
matrice ndranghetista nel veronese e camorrista nel veneto orientale. Ciò che
emerge dai dati della DIA riferiti al 2024, purtroppo, non fa che confermare la
situazione. Lo scorso anno due aziende operanti nel settore delle costruzioni e
del nolo a freddo di macchinari e fornitura di ferro lavorato e un’altra attiva
nel settore del commercio di autovetture sarebbero risultate vicine a cosche
della ‘ndrangheta, le prime provenienti dalla provincia di Verona e
la seconda da quella di Treviso. Nella provincia di Rovigo poi,
due imprese operanti nel settore delle compravendite immobiliari e delle
costruzioni sono risultate essere riconducibili ad un soggetto legato ad una
famiglia di cosa nostra palermitana, motivo per cui hanno ricevuto
un’interdittiva antimafia, cioè quel provvedimento adottato dal Prefetto per
impedire che soggetti in qualche modo legati alla criminalità organizzata
possano avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione.
Anche il Prefetto di Venezia ha emesso due provvedimenti nei confronti di
società operanti nel settore del commercio di alimenti e dell’edilizia,
quest’ultima riconducibile a soggetti “vicini” alla stidda di
Gela e al clan camorristico dei casalesi. E sempre i casalesi avrebbero
avuto alcune ingerenze che hanno portato anche il Prefetto di Vicenza ad
emettere lo stesso provvedimento nei confronti di una società attiva nel
settore della raccolta, stoccaggio e riciclaggio di rifiuti.
Di sentenze passate in giudicato ormai in Veneto ce ne sono molte,
dalla Mala del Brenta all’inchiesta Camaleonte fino alle altre inchieste, alcune non ancora finite
in cassazione. Tra queste la Fiore Reciso, conclusasi
anch’essa a gennaio 2018 e che ha portato all’arresto di 16 persone indagate a
vario titolo per associazione a delinquere finalizzata all’emissione di fatture
per operazioni inesistenti, al riciclaggio, all’autoriciclaggio, allo spaccio e
al traffico di sostanze stupefacenti. In particolare sarebbero emersi contatti
con esponenti delle famiglie Giglio di Strongoli (KR) e Giardino.
La Terry, l’Avvoltoio, la Hope e poi le due incentrate sul
veronese e denominate Taurus e Isola Scaligera.
Per quanto riguarda la prima la Corte d’Appello di Verona ha riconosciuto
l’esistenza sul territorio scaligero di un locale di ‘ndrangheta, rappresentato
dalla famiglia Giardino, come estensione della cosca degli Arena. Sentenza
confermata poi in cassazione nel giugno 2024. Nel caso di Isola
Scaligera l’esistenza sempre nella provincia di Verona di ‘ndrine
della piana di Gioia Tauro (RC) quale espressione degli interessi illeciti
delle famiglie calabresi Gerace-Albanese-Napoli-Versace.
Sempre nel 2024 c’è stata anche la sentenza della Corte di Appello di
Venezia, per quanto riguarda il processo Papillon, cioè quello riferito a dei
personaggi, ex Mala del Brenta, che usciti dal carcere avrebbero provato a
rimettere in piedi un’organizzazione criminale del tutto similare a quella che
negli anni ‘80 imperversava la Riviera del Brenta.
Anche la famiglia Iovine, cartello casertano dei Casalesi, sarebbe stata
presente in Veneto, come confermato dall’indagine Piano B della DIA di Trieste.
C’è poi il tema delle mafie straniere. Dalle indagini del 2024 emerge che “nel
territorio veneto è stata appurata, nel tempo, la proliferazione di complesse e
strutturate organizzazioni criminali straniere del tutto autonome rispetto alle
più note matrici mafiose italiane. I principali interessi illeciti di dette
compagini si manifestano, principalmente, nel traffico di stupefacenti e di
armi, nell’immigrazione clandestina e nello sfruttamento della prostituzione
ma, talvolta, sono emersi coinvolgimenti in delicati e articolati meccanismi
fraudolenti economico-finanziari. Alcune consorterie criminali straniere hanno
assunto un pressante controllo delle attività illecite in alcune aree della
regione evidenziando una spiccata metodologia mafiosa, tanto da essere
giudiziariamente riconosciute quali mafie”. A tutto ciò bisogna sempre
ricordare anche alcuni eventi che hanno dimostrato come il caporalato fosse ben
presente anche in alcune grosse aziende con sede nella provincia padovana.
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