il libro è il ritratto dell’artista da cucciolo, e
oltre.
il racconto di un poeta, in prosa, resta poetico, episodi
e immagini sono reali e concrete, e insieme sognanti e distaccate, come se si
parlasse di qualcun altro.
le parole riscrivono e ridisegnano il mondo.
non dimenticate di leggere questo libro, è
prezioso - franz
LE PAROLE CHE MI LIBERANO di Pierluigi Cappello
Ci sono parole senza corpo e parole con il corpo. Libertà è una parola senza corpo. Come anima. Come amore. Parenti dell’aria e quanto l’aria senza confini definiti, hanno bisogno di qualcuno che presti loro la sua carne, il suo sangue e i suoi limiti perché diventino concrete.
In questo libro è raccontata la storia di come una libertà, la mia, sia germinata dai luoghi vissuti da bambino e poi abbia preso il volo dal mio incontro con la lettura. Così queste pagine, nei mesi, sono diventate un’ossessione, la scrittura mi ha torto il collo e ha costretto il mio sguardo nei luoghi felici dell’infanzia o a muovere i miei passi dentro dolori intensi che pensavo di avere rimosso.
Mentre ero in ospedale, tanti anni fa, con lo sguardo ostruito dalle sponde di un letto, il dolore stava accucciato in attesa di un nuovo sforzo, pronto ad aggredire. E tuttavia, col tempo, il letto si è trasformato in un tappeto volante, un luogo in cui per un po’ ci si sottrae al mormorio del quotidiano e si vedono le cose da lontano e dall’alto. Da lassù gli anni scorrono via dalle nostre vene, si concede una tregua al corpo e il pensiero si libera del superfluo che ingombra la giornata.
Ho concepito e scritto diverse poesie adagiato a letto. Non ci vuole molto: una matita, un taccuino e il mondo che si raduna intorno a te, e lascia i suoi segni sulla pagina da scrivere come baci sulla pelle di un’amata. Così possiamo darci alla sostanza tiepida dei sogni e, dopo, chiudendo gli occhi, salire a bordo del tappeto volante e vibrare nel cuore dell’aria più in alto che si può.
da qui
"Ci sono parole senza corpo e parole con il
corpo. Libertà è una parola senza corpo. Come anima. Come amore. Parenti
dell'aria e quanto l'aria senza confini definiti, hanno bisogno di qualcuno che
presti loro la sua carne, il suo sangue e i suoi limiti perché diventino
concrete. In questo libro è raccontata la storia di come una libertà, la mia,
sia germinata dai luoghi vissuti da bambino e poi abbia preso il volo dal mio
incontro con la lettura. Così queste pagine, nei mesi, sono diventate
un'ossessione, la scrittura mi ha torto il collo e ha costretto il mio sguardo
nei luoghi felici dell'infanzia o a muovere i miei passi dentro dolori intensi
che pensavo di avere rimosso. Mentre ero in ospedale, tanti anni fa, con lo
sguardo ostruito dalle sponde di un letto, il dolore stava accucciato in attesa
di un nuovo sforzo, pronto ad aggredire. E tuttavia, col tempo, il letto si è
trasformato in un tappeto volante, un luogo in cui per un po' ci si sottrae al
mormorio del quotidiano e si vedono le cose da lontano e dall'alto. Da lassù
gli anni scorrono via dalle nostre vene, si concede una tregua al corpo e il
pensiero si libera del superfluo che ingombra la giornata. Ho concepito e
scritto diverse poesie adagiato a letto. Non ci vuole molto: una matita, un
taccuino e il mondo che si raduna intorno a te, e lascia i suoi segni sulla
pagina da scrivere come baci sulla pelle di un'amata. Così possiamo darci alla
sostanza tiepida dei sogni... (Pierluigi Cappello)
Cappello che immagina il chirurgo mentre guarda le lastre con
il disastro della sua colonna vertebrale e, scoperta l’età del paziente “è
sedici anni”, a mezza voce commenta: fine pena mai. Requiem che l’autore mette
in bocca al medico, ma è evidente che se l?è ripetuto egli stesso, chissà
quante volte, dentro di sé, ragazzo privato di gambe e di sogni. L’ergastolo
cui è stato condannato lo fa crescere di molti anni in poche settimane e, assai
anzitempo, lo trasforma in genitore dei suoi genitori, cui vorrebbe risparmiare
lo strazio tenendoli all’oscuro dell’irrimediabile e a lui chiarissima ‘ sua condizione
di paraplegico. Prigioniero per sempre? Certo che sì, in modo doloroso e spesso
umiliante. Eppure non è retorica, chi legge queste pagine, che sono in prosa ma
risuonano di poesia, lo capirà...
«Ogni scrittore – spiega Pierluigi – è
circoscritto dal luogo dove ha vissuto in origine. Io sono nato sì in cima a un
colle, da dove hai una disposizione naturalmente contemplativa, ma questo colle
era stretto dalle montagne, la porzione di cielo che si vedeva era limitata e
ti spingeva a pensare e a immaginare l’oltre: una sorta di spinta all’appetito
del mondo». Vocazione che si precisa negli anni della scuola, nella scoperta
dei libri, nell’esperienza traumatica del terremoto del 1976 e diviene urgenza
e necessità dopo l’incidente che a sedici anni, nel 1983, lo ha costretto a una
sedia a rotelle e di cui scrive solo oggi... Un tema spinoso, che quasi affonda
nell’indicibile. «In assoluto è la prima volta che l’ho messo per iscritto,
l’incidente e i traumi che ne sono derivati. Ho in qualche modo voluto chiudere
con quell’episodio». Anche scrivendone in terza persona e con una leggerezza
che a tratti sfiora l’ironia. «Perché – dice Cappello – io sono convinto che ci
si salva solo per due strade: per fede o per ironia... La fede rende grandi le
cose piccole, l’ironia rende piccole le grandi».
Ecco allora la scrittura che aiuta a
metabolizzare il dolore e d’altra parte diventa cura che aiuta a passare «le
ore della più sassosa delle desolazioni». Scrittura come cura o consapevolezza?
«Lì – ancora Cappello – si intrecciano i due aspetti, che partono dal movente
del naufrago che cerca di tirarsi fuori della tempesta. Epperò quando accade
questo, non sai se è l’istinto o le parole che effettivamente ti hanno salvato.
Io penso fortemente che la letteratura deve portare dentro di sé scorie
biologiche, altrimenti non è letteratura, ma esercizio». Come quello che spesso
inficia il lavoro dei molti, oscuri, che scrivono e inviano a Cappello, che
legge tutto, senza cestinare, e dei quali racconta senza supponenza alcuna.
Ricordo delle fatiche patite agli esordi o amore sconfinato per la parola? «È
amore per la parola. Per uno scrittore che ce la fa, riesce cioè in quella cosa
inaudita che è far interessare gli altri a cose che in teoria dovrebbero
interessare solo lui stesso, ci sono migliaia di altre coscienze in brusio, in
fermento e questa è un’attività inesausta di un paese intero: è la nostra
coscienza umanistica. E costituiscono quell’humus che rende possibile
l’espressione compiuta e interessante di pochi».
I successi, i riconoscimenti aiutano?
«Fanno piacere, però la scrittura è un combattimento che avviene giorno per
giorno con se stesso». In questo combattimento, quali armi usa Cappello, la
penna o il computer? Dice: «Nel caso di Questa libertà ci sono stati entrambi, quando mi
trovavo in difficoltà usavo la penna, quando il flusso riprendeva passavo al computer».
Che cosa si aspetta il poeta friulana,
ormai una celebrità letteraria, da Questa libertà? Confessa: «La cosa fondamentale è già
accaduta, in qualche modo ho fatto i conti con me stesso e il bambino che sono
stato, e per raccontare di questa passione ho dovuto raccontare di un momento
storico e di un clima particolare, che era quello del Friuli a cavallo del
terremoto».