per il vostro bene, non privatevene - franz
La memoria, il suo inarrestabile flusso, il suo inesorabile culto è quanto trasuda da “Dolori precoci”. L’infanzia di Kiš, tracciata in frammenti, in minuscole porzioni di ottima narrativa. La presenza di una madre povera ma determinata a non farsi sopraffare dalle piegature della storia. Una sorella, Anna, un po’ più grande e col potere di demolire, attraverso il cinismo e la presa in giro, qualsiasi pensiero, qualsiasi piccolo errore e per questo vissuta sempre con un certo timore. Un padre sfumato nel mito e nella trama del tempo: mio padre era alto, un po’ curvo, portava un cappello nero a tesa rigida, occhiali con montatura d’acciaio e un bastone con la punta di ferro. Portato via dai nazisti e poi morto ad Auschwitz nel 1944.
Momenti semplici della vita di un bambino. Ed è quel bambino che ci racconta, a parole sue e col filtro della propria coscienza, i momenti incontaminati dell’infanzia. Un tempo scavato e scomparso, come la strada degli ippocastani che nessuno ricorda più, come la casa cancellata da altri uomini e da altri eventi: Ha sentito, la casa non c’è più. Dove era il mio letto, adesso c’è un melo. Un albero nodoso, contorto, senza frutti. La stanza della mia infanzia si è trasformata in un riquadro di cipolle e nel punto dove si trovava la Singer di mia madre c’è adesso un cespuglio di rose. A lato del giardino sorge una palazzina nuova di tre piani, dove abita il professor Smerdel. Gli ippocastani sono stato abbattuti, dalla guerra, dagli uomini – o semplicemente dal tempo.
La nostalgia e un’irreparabile amarezza sfiorano leggère ogni pagina. C’è un piccolo dolore nascosto in ogni racconto, a volte addolcito da pacata ironia. I ricordi affiorano e fioriscono: la prima serenata per Anna, illuminata dalla luce di un fiammifero e dall’odore delle rose; i segni lasciati sul prato dal tendone del circo e dagli animali che ne facevano parte; la dolcezza della prima “fidanzata”, un piccolo amore custodito con vergogna, con la paura che gli altri capissero e difeso col pudore dei silenzi; il sacco di funghi raccolti con entusiasmo e poi buttati nel fiume perché velenosi…
Momenti semplici della vita di un bambino. Ed è quel bambino che ci racconta, a parole sue e col filtro della propria coscienza, i momenti incontaminati dell’infanzia. Un tempo scavato e scomparso, come la strada degli ippocastani che nessuno ricorda più, come la casa cancellata da altri uomini e da altri eventi: Ha sentito, la casa non c’è più. Dove era il mio letto, adesso c’è un melo. Un albero nodoso, contorto, senza frutti. La stanza della mia infanzia si è trasformata in un riquadro di cipolle e nel punto dove si trovava la Singer di mia madre c’è adesso un cespuglio di rose. A lato del giardino sorge una palazzina nuova di tre piani, dove abita il professor Smerdel. Gli ippocastani sono stato abbattuti, dalla guerra, dagli uomini – o semplicemente dal tempo.
La nostalgia e un’irreparabile amarezza sfiorano leggère ogni pagina. C’è un piccolo dolore nascosto in ogni racconto, a volte addolcito da pacata ironia. I ricordi affiorano e fioriscono: la prima serenata per Anna, illuminata dalla luce di un fiammifero e dall’odore delle rose; i segni lasciati sul prato dal tendone del circo e dagli animali che ne facevano parte; la dolcezza della prima “fidanzata”, un piccolo amore custodito con vergogna, con la paura che gli altri capissero e difeso col pudore dei silenzi; il sacco di funghi raccolti con entusiasmo e poi buttati nel fiume perché velenosi…
Una strana questione è stata posta dallo scrittore polacco Ksistof Varga in occasione di un incontro tenutosi nel giugno 2005 a Belgrado, dedicato a Danilo Kis: in quell'occasione lo scrittore polacco ha dubitato del fatto che Kis sia veramente uno scrittore rispettato e letto nel suo Paese. Perché se così fosse, ha argomentato Ksitsof Varga, ovvero se la gente dell'ex-Jugoslavia veramente avesse apprezzato e letto Kis, allora non avrebbe probabilmente permesso che la guerra scoppiasse nel Paese, non ci sarebbero state violenze né sofferenze, non ci sarebbe stato il crimine di Srebrenica.
Riflettendo su quest'idea, Ksistof Varga si è ricordato di Radovan Karadzic e di Eduard Limonov, e delle scene risalenti al 1993 e immortalate da alcuni filmati, in cui si vedono questi due personaggi su una delle postazioni da cui le forze di Karadzic bombardavano Sarajevo. Si vede anche lo scrittore russo Limonov sparare delle raffiche di mitragliatrice sulla città avvolta da nuvole di fumo. «I due scrittori che si trovavano sulla montagna sopra la Sarajevo incendiata, Karadzic et Limonov, hanno letto Kis?», si è domandato lo scrittore polacco.
Recentemente abbiamo avuto una parziale risposta a questa domanda di Ksistof Varga. Noi ora sappiamo che, dei due scrittori visti a pavoneggiarsi sopra Sarajevo in fiamme, almeno uno ha letto Kis: quello alla mitragliatrice, Limonov. È lui stesso a parlarne, in una storia autobiografica intitolata «Uno scrittore balcanico» che potete leggere su Knjizevni list del primo gennaio 2007, nella traduzione di Radmila Mecanin. Danilo Kis è uno degli eroi di questa storia, è lui lo scrittore balcanico.
Tuttavia Eduard Limonov parla solo en passant della sua lettura di Kis. Apprendiamo così che egli ha letto, per usare le sue parole, «una delle sue edizioni tascabili», che non gli è piaciuta affatto. Ha scoperto che vi si trattava di temi specifici della letteratura dissidente, guerra, campi e altre cose simili. Ma, sfortunatamente, si ricorda Limonov, «a tutto ciò è stata aggiunta qualche buona secchiata di orrori balcanici e di crudeltà surrealiste».
Ma l'impressione peggiore lasciata su Limonov dall'uomo che ha scritto questo tascabile dissidente senza alcun valore, è «lo sporco Danilo». Sì, avete letto bene: «sporco Danilo». È così che Limonov qualifica Kis. In effetti la sporcizia domina nel ritratto di Kis che troverete nel racconto, l'impurità è sottolineata come una delle sue particolarità più evidenti. Limonov l'ha dipinto innanzi tutto come una persona imperdonabilmente, ignobilmente sporca. «Lo sporco Danilo» è allo stesso tempo molto brutto e si comporta ostentatamente male. È, dice Limonov descrivendo il suo eroe, «una faccia piccola, marcata da un grande naso, su uno scheletro curvo. Spalle strette. Carattere chiassoso». Veniamo anche a conoscenza del fatto che Danilo ha l'abitudine insolente di dare bruscamente del tu alle persone che non conosce e quella ancora peggiore di interrompere costantemente il suo interlocutore toccandolo con le sue dita sporche. Quando ci siamo incontrati, racconta Limonov, «lo sporco Danilo» mi ha subito dato del tu. «Anche per me, rude eroe di Jack London», aggiunge, «Danilo Kis è risultato sgradevole col suo modo di dare subito del tu, di interrompere l'interlocutore, di premere con le dita, storte e non molto pulite, sul petto di chi sta parlando con lui»…
da qui (di Eduard Limonov non ho mai letto niente e mai leggerò qualcosa, è sicuro, per i nemici dei miei scrittori preferiti non ho tempo da perdere - franz)
L'intolleranza trova una ragion d'essere, di solito, nel timore. Danilo fa paura?
RispondiEliminaForse. E'un autore che porta a galla ciò che di solito resta nascosto.
Un caro saluto e tantissimi auguri. :-)
i grandi rilevano pezzi di verità che danno fastidio e che turbano,
RispondiEliminae sanno scrivere pagine di bellezza mai lette prima.
e Danilo Kis è grande.