domenica 7 maggio 2017

ancora sul TSO e non solo, botta e risposta fra Anna Grazia Stammati e Piero Cipriano

Botta.../Non basta eliminare il manicomio, bisogna distruggerne gli elementi costitutivi
Sui numeri 408 e 411 di “A” - rivista anarchica, sono state pubblicate due interviste sulla psichiatria, una fatta a Giorgio Antonucci da Moreno Paulon (Psichiatria e potere), l'altra fatta a Piero Cipriano da Daniela Mallardi (La dignità dei devianti).
Ringrazio per questo la redazione della rivista che pone sul tappeto la controversa e annosa questione “psichiatrica”, attraverso la diretta rappresentazione del pensiero di chi opera in quei contesti. Leggendo le due interviste sono rimasta, però, a dir poco perplessa dal gratuito, violento e immotivato “attacco” che Piero Cipriano, lo psichiatra che si autodefinisce “anarchico-riluttante”, ha sferrato nei confronti di Giorgio Antonucci, uno dei protagonisti della lotta per la liberazione dei degenti psichiatrizzati condotta negli anni settanta in Italia e uno degli ultimi rimasto sulla scena internazionale a testimoniare e lottare per la liberazione dal “pregiudizio psichiatrico”.
Premetto di aver letto tutti e tre i libri di Cipriano e di averli trovati (eccezion fatta, forse, per l'ultimo) testi interessanti, perché in questi viene ben descritta sia la realtà “manicomiale” dei reparti degli ospedali italiani ancora destinati ai “malati di mente”, sia la pratica dell'annichilimento farmacologico dei pazienti da parte degli stessi psichiatri.
Ma quale colpa ha commesso Antonucci, per attirarsi tale veemente aggressione, proprio lui che slegava insieme a Cotti e Basaglia i degenti e ai quali proprio a Cividale quest'ultimo inviava i casi più difficili? Quella di aver sostenuto (allora come ora) la necessità di abolire il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), ovvero il ricovero coatto, il dispositivo medico-giuridico ancora presente nella legge 180/78, che, pure, ha determinato la morte violenta di Francesco Mastrogiovanni, Mauro Guerra, Massimiliano Malzone, Andrea Soldi (solo per citare gli ultimi casi), deceduti proprio a causa del TSO. Il manicomio non è solo un edificio, è un criterio.
“Fintanto che lo Stato si potrà permettere di sequestrare un cittadino per il suo pensiero, i manicomi saranno dappertutto” dice Antonucci, affermando che questo ha segnato da sempre un punto di distanza con Basaglia, il quale non si è mai espresso contro il trattamento sanitario obbligatorio. Ma procediamo con ordine.
L'Antonucci “demagogo”
Cipriano definisce Antonucci “demagogico”, ma non dovrebbe sfuggirgli che il significato originario del termine è “arte di guidare il popolo” e, in realtà, Antonucci, dal 1970 al 1972 (dopo l'esperienza di Cividale, dunque), ha diretto il Centro di Igiene Mentale di Castelnuovo Ne' Monti (sull'Appennino reggiano), mobilitando la popolazione contro il manicomio di Reggio Emilia e Modena e utilizzando proprio l'arte di guidare il popolo per scardinare l'istituzione manicomiale, non certo per ingannare il popolo con facili promesse o facili discorsi.
Non ci sembra però che lo psichiatra “anarchico-riluttante” utilizzi l'aggettivo in tal senso, quando afferma “Quello di Antonucci è un discorso demagogico. La malattia mentale certo che non esiste in quanto malattia, siamo d'accordo, ma la sofferenza psichica, o il disagio, o chiamiamolo come vogliamo, quello c'è, lo vediamo, e una persona così sofferente la libertà l'ha già perduta prima ancora che intervenga la psichiatria con le sue armi di precisione e repressione. Quindi non si tratta solo di liberare le persone sofferenti dalla psichiatria, ma liberarle da quella sofferenza [...] non contesto lo strumento del TSO”.
Lo psichiatra “anarchico-riluttante”, dunque, sostiene che coloro che incappano nel TSO sono persone “sofferenti” che vengono internate nei reparti psichiatrici di diagnosi e cura per essere “liberate” da una sofferenza che gli ha fatto perdere la libertà. Purtroppo non possiamo più chiedere a Francesco Mastrogiovanni, maestro e anarchico, la sua opinione in merito a questa teoria della “liberazione” dalla sofferenza, sostenuta e praticata dagli psichiatri attraverso il ricovero coatto, visto che è morto dopo quattro giorni di torture perpetrate sul suo corpo di condannato, nel reparto di diagnosi e cura dell'ospedale di Vallo della Lucania; né purtroppo possiamo chiederlo ai tanti altri come lui deceduti a causa del TSO.
L'Antonucci di Cividale
Il tentativo di demolizione della figura di Antonucci continua a a pag. 30 (“A” 411), quando Cipriano, sostenendo che le premesse teoriche avvicinavano tra di loro Basaglia, Antonucci e Szas, sottolinea che era la pratica a dividerli: il primo dedito al suo impegno sisifico di liberare interi manicomi, il secondo dedito alla sua “marginale e irrilevante” esperienza di Cividale conclusasi dopo solo sei mesi, il terzo dedito al lieve esercizio di psicoterapia.
E qui si capisce che dietro l'attacco ad Antonucci c'è lo psichiatra che vede messo in discussione il proprio ruolo, visto che Antonucci, proprio a proposito di Cividale, senza cedere alle lusinghe di chi vedeva in quell'azione l'inizio del movimento di riforma della psichiatria, ribadì già allora, senza alcuna ambiguità, il punto di vista fondamentale che aveva guidato l'azione del gruppo di Cividale: “Noi non riteniamo possibile separare la negazione delle istituzioni psichiatriche dalla negazione della psichiatria come scienza, perché è per l'appunto la psichiatria che ha costruito i manicomi, che li costruirebbe ancora, e che continua a giustificarne l'esistenza”.
“Sul piano politico si potrebbe fare un parallelo molto significativo. Non è possibile apprestarsi a distruggere i lager e i ghetti senza negare e distruggere l'ideologia della razza, di cui i lager e i ghetti sono una logica e inevitabile conseguenza”. Peraltro quello di Cividale è stato solo il primo (seppur importantissimo) dei numerosi incarichi ricoperti da Antonucci nella sua lunga vita di medico (svolta tutta negli ospedali pubblici e, fuori da questi, prestata solo gratuitamente nei confronti di tutti e tutte coloro che ne hanno richiesto l'intervento) che solo quando si conclude, per la repressione poliziesca che porta alla chiusura del reparto, aveva 12 pazienti.
Ma dopo quell'esperienza, Antonucci, l'anno successivo, viene invitato a Gorizia, a lavorare nello stesso ospedale di Basaglia e poi a Reggio Emilia, chiamato da Jervis, come responsabile del Centro di igiene mentale nel 1970, dove matura la definitiva distanza tra una pratica tesa a ragionare in termini di tutela dell'ordine pubblico (Jervis) e una tesa a ragionare in termini di conflitto tra individuo e società e di diritto dell'individuo ad essere rispettato nella sua libertà (Antonucci).
Terminata l'esperienza a Reggio Emilia, Antonucci si dedica, dal 1973 al 1997, allo smantellamento dei reparti manicomiali di lungodegenti negli istituti di Imola e dal 1997 continua a dedicarsi (gratuitamente) alla sua battaglia per lo smantellamento dei residui manicomiali, i reparti psichiatrici dei servizi di diagnosi e cura, proprio dove lavora Cipriano, che non a caso dedica il terzo attacco ad Antonucci proprio in difesa di questi reparti.
L'Antonucci “eretico” smantellatore del TSO
Afferma Cipriano: “Si può lavorare da manicomiale in un CSM e da territoriale in un SPDC. Facendo, in fondo, ciò che Antonucci dice di fare: revocare i TSO o non convalidarli, sciogliere i legati o non legarli, ridurre il carico dei farmaci, dimettere qualche paziente”.
C'è da rimanere sbalorditi, ma cosa significa “facendo, in fondo, ciò che Antonucci dice di fare”? Antonucci non dice di farlo, lo ha fatto (e questo appartiene oramai alla storia) attuando concretamente e incessantemente tale pratica dal 1968 al 1997, ben oltre la data dell'approvazione di una legge che, se non avesse avuto medici e infermieri ad applicarla, sarebbe rimasta semplicemente lettera morta.
Ma Antonucci non si è fermato a quello, è andato oltre tale pratica, evidenziando ancor prima che fosse approvata la legge 180, i limiti di un'azione tesa ad abolire i manicomi, senza preoccuparsi di demolire il vero elemento su cui si basa il potere psichiatrico, “l'arresto psichiatrico”. D'altra parte lo dice già Foucault quando inquadra gli spostamenti da lui operati, nel Corso al Collegè de France del 1973, rispetto alla Storia della follia, sostenendo che uno di questi spostamenti riguarda proprio la nozione di istituzione, poiché la cosa essenziale non è tanto l'istituzione quanto piuttosto il potere psichiatrico che ne consente il funzionamento. “L'aspetto importante – sostiene Foucault – non è dunque costituito dalle regolarità istituzionali, bensì, e in misura molto maggiore, dalle disposizioni di potere, dalle correlazioni, dalle reti, dalle correnti, dagli scambi, dai punti di appoggio, dalle differenze di potenziale che caratterizzano una forma di potere [...]. Detto in altri termini, prima di riferirci alle istituzioni, dobbiamo preoccuparci dei rapporti di forza sottesi alle disposizioni tattiche che attraversano le istituzioni.” (Michel Foucault Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France 1973-74, Feltrinelli, pagg. 24-28).
È esattamente questo che sostiene Antonucci quando parla di abolire il TSO: se si elimina il manicomio, ma se ne lasciano intatti gli elementi costitutivi, l'istituzione manicomiale tende a riprodursi, con i suoi meccanismi, i suoi reticoli di potere, appoggi e rapporti di forze che lo riperpetuano eternamente.
Anna Grazia Stammati
(presidente Telefono Viola)
Roma

...e risposta/ Ma il TSO, usato con etica, è uno strumento di tutela

Tanto per sottolineare l'importanza delle parole: non mi sono mai definito anarchico-riluttante. Mi sono definito psichiatra riluttante, e mi sono definito anarchico, non è la stessa cosa ripetere, a ogni frase, che sarei “anarchico-riluttante”. Quando si dice del potere della parola, in cui gli psichiatri sarebbero maestri, l'arte della prestidigitazione semantica con cui imbrigliare esistenze in etichette diagnostiche: ebbene, mi pare che non occorra essere psichiatri per adoperarsi in quest'arte.
Sarò breve, perché servirebbe un intero libro per affrontare l'annosa questione tra psichiatria e antipsichiatria da una parte, e psichiatria anti-istituzionale dall'altra. La mia polemica con Antonucci non è affatto violenta. Segnalo, semplicemente, un'evidente differenza di peso, e di ricadute concrete, anche sul piano legislativo, tra le pratiche dei due (Antonucci e Basaglia). Ho sempre trovato debole, effimera, la proposta antipsichiatrica di cui si fa portavoce, come trovo debole la proposta del suo ideologo di riferimento più noto, Thomas Szasz. Ma questo l'ho scritto in un capitolo de Il manicomio chimico, dal titolo Basaglia, Szasz e l'antipsichiatria, e non mi voglio ripetere. Chi vuole si vada a leggere là come la penso.
Infine, ribadisco ciò che già dico nell'intervista: non penso che il problema sia il TSO, né la psichiatria: non è il TSO che ha ucciso Mastrogiovanni e Casu e Soldi e Guerra e Malzone e centinaia di altri che non raggiungono le cronache, sono le pratiche psichiatriche repressive, manicomiali, poliziesche ad averli uccisi. Ed è queste che io contesto. Il TSO, usato con etica, è uno strumento di tutela, è più violento, a mio parere, l'abbandono di una persona che ha una sofferenza psichica grave e non accetta aiuto alcuno. E chi ha avuto esperienza con persone in tale difficoltà sa di cosa parlo.
Abbandonare una persona con un grave delirio, o una grave depressione, in nome della sua libertà, è più violento che porlo in TSO. Dunque: sì a eliminare le fasce, sì a eliminare l'elettrochoc, sì a ridimensionare il dominio del farmaco, sì a eliminare i SPDC, in presenza di CSM fortissimi, sempre aperti, accoglienti, popolati da operatori etici e dalla società cosiddetta civile, no ad abolire il TSO, perché questo è un falso problema: in assenza di TSO significa consegnare una persona, con una sofferenza psichica grave (mettiamo che ha un pensiero delirante per cui si chiude in casa col gas aperto), alle forze dell'ordine. Invece dell'arresto sanitario (come viene definito talvolta il TSO) ci sarebbe l'arresto tout court. Che non sarebbe meglio.
Piero Cipriano
Roma

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