ho visto l'altra sera un documentario sullo sfruttamento delle sabbie bituminose per estrarre petrolio, in Canada (nello stato dell'Alberta) e in Congo.
si tratta di distruzione totale delle terre interessate, e di ogni forma di vita presente, nessuna esclusa.
se facessero un deserto sarebbe meno peggio, quelli fanno l'inferno.
in Congo è l'Eni che crea l'inferno, in rete si trovano documenti e interventi quasi tutti del 2009, difficile che qualcuno ne parli.
il documentario di Simone Ciani e Danilo Licciardello è necessario (oltre che girato davvero bene), in questo oceano di silenzio.
questo è il sito del film, http://terranera.info/, con tutte le informazioni utili.- franz
Ps: qui sotto qualcosa, poco e vecchio, che ho trovato in rete.
(mettendo in Google (motore di ricerca) le parole "Eni Congo"appaiono pagine e pagine sulla bontà dell'Eni in Congo)
Parliamo del petrolio. La gestione dei proventi ha dato
adito a parecchie perplessità, ci pare di capire.
Fin dall’inizio dello sfruttamento dei giacimenti congolesi, le compagnie pagavano le royalty non al ministero del Tesoro, ma su conti correnti presenti in varie paradisi fiscali sparsi per tutto il mondo. Come se non bastasse, il nostro esecutivo mpegnava già i proventi del petrolio non ancora estratto, finendo solo per accrescere il nostro debito estero. Adesso con la nuova iniziativa internazionale sulla trasparenza le cose potrebbero migliorare, ma è ancora presto per dirlo.
Qual è il ruolo giocato dall’Eni nel contesto congolese?
L’Eni ha iniziato le sue attività da noi fin da anni Settanta. Prima operava solo offshore, mentre dal 2007 è presente anche sul territorio nazionale. Da quel momento sono nati i “classici” problemi legati allo sfruttamento petrolifero in Africa, tra cui il flaring, che ha enormi impatti negativi su ambiente e popolazione locale. L’Eni dice che il petrolio, però, non ha nulla a che fare con il degrado ambientale. Tuttavia di recente ha preso la decisione di costruire delle centrali elettriche nelle vicinanze dei giacimenti dove si verifica il gas flaring, anche perché tale pratica entro il 2010 sarà considerata illegale per decreto governativo. Una da 50 megawatt è già in funzione, un’altra da 300 megawatt è in costruzione. Si badi bene, le centrali producono energia destinata alle imprese private -e in particolare per le operazioni di estrazione in una miniera di potassio- e non alla popolazione locale.
Ora si parla di impiegare le sabbie bituminose per produrre petrolio. Quali sono gli ultimi sviluppi?
Per il momento sappiamo che l’Eni ha siglato un accordo con il nostro governo. Lo ha confermato anche Paolo Scaroni, l’amministratore delegato dell'impresa italiana, in varie interviste rilasciate alla stampa. Però non si capisce se le sabbie bituminose serviranno per realizzare strade o per ricavarne petrolio. Il governo sembrerebbe indicare la prima possibilità, l’Eni parla di previsioni operativi in termini di barili, ovviamente di greggio. Nella realtà dei fatti, noi siamo molto preoccupati perché non si sa quali saranno gli impatti e come verranno protette le popolazioni locali una volta che, a partire dal 2011, inizierà lo sfruttamento delle sabbie. Val la pena ricordare che la produzione di un barile di sabbie bituminose, al momento sfruttate solo in Canada, provoca un alto tasso di inquinamento, impoverimento delle risorse idriche ed emissioni di gas serra tra le tre e le cinque volte più alte del corrispettivo di petrolio convenzionale. Chiediamo quindi all’Eni di dirci la verità sul destino di questa risorse e, qualora volessero tirarne fuori il petrolio, vogliamo sapere che tecniche saranno impiegate e come si limiteranno al minimo gli impatti, così devastanti e diffusi nell’esempio canadese. Per adesso però il rappresentante dell’Eni a Ponte Noire non appare intenzionato a darci la minima informazione.
Fin dall’inizio dello sfruttamento dei giacimenti congolesi, le compagnie pagavano le royalty non al ministero del Tesoro, ma su conti correnti presenti in varie paradisi fiscali sparsi per tutto il mondo. Come se non bastasse, il nostro esecutivo mpegnava già i proventi del petrolio non ancora estratto, finendo solo per accrescere il nostro debito estero. Adesso con la nuova iniziativa internazionale sulla trasparenza le cose potrebbero migliorare, ma è ancora presto per dirlo.
Qual è il ruolo giocato dall’Eni nel contesto congolese?
L’Eni ha iniziato le sue attività da noi fin da anni Settanta. Prima operava solo offshore, mentre dal 2007 è presente anche sul territorio nazionale. Da quel momento sono nati i “classici” problemi legati allo sfruttamento petrolifero in Africa, tra cui il flaring, che ha enormi impatti negativi su ambiente e popolazione locale. L’Eni dice che il petrolio, però, non ha nulla a che fare con il degrado ambientale. Tuttavia di recente ha preso la decisione di costruire delle centrali elettriche nelle vicinanze dei giacimenti dove si verifica il gas flaring, anche perché tale pratica entro il 2010 sarà considerata illegale per decreto governativo. Una da 50 megawatt è già in funzione, un’altra da 300 megawatt è in costruzione. Si badi bene, le centrali producono energia destinata alle imprese private -e in particolare per le operazioni di estrazione in una miniera di potassio- e non alla popolazione locale.
Ora si parla di impiegare le sabbie bituminose per produrre petrolio. Quali sono gli ultimi sviluppi?
Per il momento sappiamo che l’Eni ha siglato un accordo con il nostro governo. Lo ha confermato anche Paolo Scaroni, l’amministratore delegato dell'impresa italiana, in varie interviste rilasciate alla stampa. Però non si capisce se le sabbie bituminose serviranno per realizzare strade o per ricavarne petrolio. Il governo sembrerebbe indicare la prima possibilità, l’Eni parla di previsioni operativi in termini di barili, ovviamente di greggio. Nella realtà dei fatti, noi siamo molto preoccupati perché non si sa quali saranno gli impatti e come verranno protette le popolazioni locali una volta che, a partire dal 2011, inizierà lo sfruttamento delle sabbie. Val la pena ricordare che la produzione di un barile di sabbie bituminose, al momento sfruttate solo in Canada, provoca un alto tasso di inquinamento, impoverimento delle risorse idriche ed emissioni di gas serra tra le tre e le cinque volte più alte del corrispettivo di petrolio convenzionale. Chiediamo quindi all’Eni di dirci la verità sul destino di questa risorse e, qualora volessero tirarne fuori il petrolio, vogliamo sapere che tecniche saranno impiegate e come si limiteranno al minimo gli impatti, così devastanti e diffusi nell’esempio canadese. Per adesso però il rappresentante dell’Eni a Ponte Noire non appare intenzionato a darci la minima informazione.
La Nigeria sotto scacco petrolifero dice basta al gas
flaring. Voci dal "GsOtto"
"Noi proponiamo di lasciare tutto il 'nuovo'
petrolio nel sottosuolo. Le
multinazionali dovrebbero gestire solo i giacimenti già aperti, che sono in via
di esaurimento, impegnandosi però a investire sulle fonti energetiche
alternative come il solare o l'eolico, che da noi non mancano di certo". Nnimmo Bassey (nella foto) è
uno storico attivista di ERA/Friends of the Earth Nigeria. Da anni
conduce campagne contro il gas
flaring e lo sfruttamento
petrolifero indiscriminato nel Delta del Niger. Lo abbiamo incontrato al Gsott8, dal 2 al 6 luglio nel Sulcis Iglesiente.
Perché è importante mettere fine al flaring, evitando così di bruciare all'aria aperta il gas collegato all'estrazione del petrolio dal sottosuolo?
Secondo una stima conservativa, lo spreco di questo gas ha privato la Nigeria di una cifra che si aggira intorno ai 2,5 miliardi di dollari l'anno, aumentando invece le emissioni di gas serra nell'atmosfera. Come se non bastasse, e a prescindere dai costi economici, il flaring costituisce un
gigantesco attacco contro l'ambiente e ha serie conseguenze sulla salute delle persone, causando malattie come il cancro, la bronchite, l'asma, complicazioni renali e circolatorie di diverso tipo. A subire gli effetti negativi di questa pratica è anche la produzione alimentare, che è diminuita.
Perché è importante mettere fine al flaring, evitando così di bruciare all'aria aperta il gas collegato all'estrazione del petrolio dal sottosuolo?
Secondo una stima conservativa, lo spreco di questo gas ha privato la Nigeria di una cifra che si aggira intorno ai 2,5 miliardi di dollari l'anno, aumentando invece le emissioni di gas serra nell'atmosfera. Come se non bastasse, e a prescindere dai costi economici, il flaring costituisce un
gigantesco attacco contro l'ambiente e ha serie conseguenze sulla salute delle persone, causando malattie come il cancro, la bronchite, l'asma, complicazioni renali e circolatorie di diverso tipo. A subire gli effetti negativi di questa pratica è anche la produzione alimentare, che è diminuita.
L'aspettativa di vita in Nigeria è di 47 anni per le
donne e 46 per gli uomini, ma nel Delta del Niger cala vertiginosamente,
arrivando a soli 41 anni. Paradossalmente, quella stessa regione, ricca di
petrolio, è tra le più povere di tutto il Paese.
…L’informazione sulla storia, i fatti e le
situazioni che riguardano i popoli ed i Paesi del mondo sono assenti nei nostri
mass-media che reclamizzano solo i portaborse del neoliberismo. Una lacuna
tanto più grave in quanto la geografia sta sparendo dall’insegnamento
scolastico (la geopolitica poi è una “bestemmia”). Una poeta africano, in
una sua poesia, diceva di aver cercato invano per mesi e mesi qualche notizia
del suo Paese, senza trovarla mai. Alla fine aveva trovato una piccola notizia
di una disgrazia locale, relegata in un occhiello di un giornale: perfino ciò
lo aveva molto rincuorato!...
…Recentemente
l’ENI ha concluso due accordi con il governo locale: la concessione per
l’estrazione di sabbie bituminose da cui ricavare petrolio greggio, i cui
effetti sull’ambiente, sulla vita e sul lavoro delle popolazioni
locali sono disastrosi e la concessione per piantare “palma da olio” per
produrre agro-carburanti. Stefano Liberti, sul “manifesto” del 5 settembre
u.s. illustra in dettaglio le dinamiche indotte dalla “sabbie bituminose” molto
inquinanti, riportando le conseguenze devastanti sull’ambiente e gli abitanti,
che lottano contro le ruspe dell’ENI, perché vedono minacciate le loro vite e
il loro futuro. Suggerisco di approfondire la storia e la geopolitica delle due
parti del Congo, come dell’Africa intera.
La zona interessata è molto estesa – 1790
Kmq con una capacità stimata in 2,5 ML di barili di petrolio – e si trova a 70
Km da Pointe-Noire, capitale petrolifera congolese sulla costa atlantica. E’
inaccessibile per giornalisti e cittadini, sorvegliata intensamente da
poliziotti armati. Le tante manifestazioni popolari contro lo scavo dell’Eni
sono represse o ignorate, come accade in Italia per la TAV. Gli attivisti
locali denunciano i danni ambientali (es. acqua infetta) e sociali
dell’iniziativa e accusano il governo di corruzione e servilismo. L’inquinamento
dell’acqua e la privatizzazione delle sue fonti, produce danni irreversibili
alla produzione agricola, oltre che alla vita quotidiana delle popolazioni
interessate, mai coinvolte in questi accordi…
… l'accordo, i cui dettagli non sono
pubblici, firmato tra Eni e il Governo locale Congolese sancisce un
investimento di 3 miliardi di dollari per l'esplorazione delle sabbie
bituminose, la produzione di bio combustibili e la realizzazione di una
centrale a gas, l'area interessata è quella di Tchikatanga e Tchikatanga-Makola
per un'estensione di 1790 km.
L'impoverimento e l'inquinamento delle fonti idriche - un bell'esempio di inquinamento idrico si ha poco più distante dal Congo, precisamente in Niger e sempre a causa delle tecniche estrattive ENI -, la deforestazione, la distruzione dell'habitat naturali dicentinaia di specie animali e vegetali, e infine l'aumento di emissione di gas serra rappresentano gli aspetti drammatici dell'altra faccia della medaglia del maxi investimento. Per avere la prova del disastro ambientale che si nasconde dietro l'investimento ENI in Congo Brazaville basti pensare che "rispetto a quella di petrolio tradizionale la produzione di un barile da sabbie bituminose rilascia in atmosfera una quantità di gas serra da tre a cinque volte superiore" (Luca Manes, crbm) e se i calcoli non bastano a prospettare le sorti del Congo Brazaville allora basta andare a vedere cosa è accaduto in Canada, nell'Alberta, alle foreste e alle popolazioni indigene sempre a causa dell'estrazione delle sabbie bituminose ad opera di multinazionali - Shell, Exxon...
Le strategie di ENI, gli accordi politico economici, le implicazioni per lo Stato Italiano - ricordiamo che il Ministero dell'Economia e delle Finanze è l'azionista di maggioranza - e le valutazioni dell'impatto sull'ambiente e le persone sono contenute nella ricerca della Fondazione Heinrch Boel…
L'impoverimento e l'inquinamento delle fonti idriche - un bell'esempio di inquinamento idrico si ha poco più distante dal Congo, precisamente in Niger e sempre a causa delle tecniche estrattive ENI -, la deforestazione, la distruzione dell'habitat naturali dicentinaia di specie animali e vegetali, e infine l'aumento di emissione di gas serra rappresentano gli aspetti drammatici dell'altra faccia della medaglia del maxi investimento. Per avere la prova del disastro ambientale che si nasconde dietro l'investimento ENI in Congo Brazaville basti pensare che "rispetto a quella di petrolio tradizionale la produzione di un barile da sabbie bituminose rilascia in atmosfera una quantità di gas serra da tre a cinque volte superiore" (Luca Manes, crbm) e se i calcoli non bastano a prospettare le sorti del Congo Brazaville allora basta andare a vedere cosa è accaduto in Canada, nell'Alberta, alle foreste e alle popolazioni indigene sempre a causa dell'estrazione delle sabbie bituminose ad opera di multinazionali - Shell, Exxon...
Le strategie di ENI, gli accordi politico economici, le implicazioni per lo Stato Italiano - ricordiamo che il Ministero dell'Economia e delle Finanze è l'azionista di maggioranza - e le valutazioni dell'impatto sull'ambiente e le persone sono contenute nella ricerca della Fondazione Heinrch Boel…
…Le due organizzazioni che hanno realizzato il Rapporto,
insieme a rappresentanti della società civile congolese, hanno rivolto ad Eni
le domande oggetto della campagna, ma non hanno ricevuto risposte. Dopo molta
insistenza lo scorso dicembre Eni ha concesso loro un incontro, durante il
quale però non sono state fornite le informazioni richieste.
Ecco le Cinque domande per Eni
1. Eni
ha effettuato valutazioni dell’impatto ambientale del suo intervento nel Congo
Brazzaville (in particolare dello sfruttamento delle sabbie bituminose)? Perché
non sono state rese pubbliche?
2. Qual
è la composizione e la quantità dei gas bruciati con il gas flaring
(combustione dei gas che fuoriescono durante l’estrazione del petrolio) nel
giacimento di M’boundi? È certo che non siano nocivi per le persone e per
l’ambiente?
3. Eni
ha dichiarato che l'accordo con il governo congolese permetterà di produrre di
2,5 miliardi di barili di greggio, mentre le autorità locali sostengono che
verrà prodotto bitume per realizzare strade. Qual è la verità?
4. Eni
aveva dichiarato che avrebbe promosso “una consultazione libera, informata e
continua” con le comunità locali. Invece i dettagli degli accordi, firmati con
il governo congolese (nel 2008) per i nuovi investimenti (3 miliardi di
dollari), non sono pubblici né disponibili per le popolazioni locali. Perché?
5. Amnesty
International ha pubblicato recentemente un rapporto molto critico sulle
compagnie petrolifere che operano in Nigeria, che evidenzia “la povertà, il
conflitto, le violazioni dei diritti umani e la disperazione” che hanno portato
alla popolazione del Delta del Niger. Quali iniziative state portando avanti
per implementare leraccomandazioni di
Amnesty sulla Nigeria e
per evitare che il Congo diventi come il Delta del Niger?
Les
investissements d’ENI dans les sables bitumineux et les palmiers à huile dans
le Bassin du Congo
…Secondo l'attivista per i diritti umani Brice Mackosso
«le popolazioni locali, che stanno già soffrendo gli impatti dello sfruttamento
petrolifero, non sono state consultate nel modo adeguato sullo sviluppo di
nuovi progetti. Un fatto, questo, che viola le politiche ambientali e sui
diritti umani della stessa Eni».
L'area interessata dalle attività dell'Eni in Congo,
quella di Tchikatanga e di Tchikatanga-Makola, copre un'estensione di 1790
chilometri quadrati. Non si sa ancora dove si procederà con la produzione di
olio di palma, sebbene si parli di 70mila ettari di terre non coltivate. L'Eni
afferma che nessun progetto sarà sviluppato in zone ricoperte dalle foreste
pluviali o con la presenza di biodiversità e che implicano la rilocazione di
popolazioni locali. Però nelle ricerche condotte proprio dall'Eni si attesta
che l'area dove si ricaveranno le sabbie bituminose è per circa il 70% occupata
da foreste e da zone molto sensibili dal punto di vista ambientale, come viene
per l'appunto svelato nel rapporto.
Il problema è anche che dovremmo cambiare stili di vita ...
RispondiEliminasono d'accordo, è necessario e imprescindibile, ma non è una scusa per massacrare il prossimo, intanto
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