QUI l'intervento completo "Creatività e rifiuto"
…Sono cresciuta nell’epoca
del grunge e del rifiuto, tra le ultime propaggini di quella generazione di
persone che ancora si rattristano quando vedono Iggy Pop nello spot di
un’assicurazione auto o Bob Dylan che firma un contratto con Starbucks. Avevo
quindici anni quando Kurt Cobain si è suicidato. Sono stata educata all’idea
che esiste una tensione mortale fra la creatività e il mercato. Immagino che
alla generazione dopo la mia il rifiuto di “vendersi” appaia sentimentale e
impraticabile come altri cimeli degli anni Sessanta, tipo l’amore libero e la
pace nel mondo. Questa generazione è cresciuta quasi completamente affrancata
dal timore che la logica del mercato sia in conflitto con l’atto creativo. Ciò
sarà dovuto, almeno in parte, al fatto che è cresciuta in un mondo di
tecnologia digitale, dove esiste realmente una continuità fra creatività e
capitale. Cos’è Apple, se non una perfetta sinergia fra “creatività” e
“marchio”? Forse, più che della creatività di Kafka, dovrei parlare agli
studenti di quella di Steve Jobs? Ma è proprio qui che raggiungiamo i limiti
della parola “creatività”. Perché se a volte posso essere così innamorata del
mio iPhone da definirlo “un’opera d’arte”, la creatività che esso racchiude è
di tipo diverso da quella che ha generato Nella colonia penale, e credo che sia
un po’ pericoloso confondere le due cose. Lo scopo ultimo della creatività
nella tecnologia è quello di essere priva di attrito, nella forma come nella
funzione. Il suo obiettivo finale non è contestare, ma facilitare. Non c’è
nulla di intrinsecamente sbagliato in tutto questo: un attrezzo, se funziona
bene, deve sembrarci semplicemente un’estensione di noi stessi, e deve
funzionare ugualmente bene per chiunque lo utilizzi. A un attrezzo ci si
abitua, fino al punto di non vederlo più (a meno che non siamo hacker o grandi
esperti di tecnologia). La creatività dell’arte, per contrasto, è una cosa a
cui non “ci si abitua” mai. Ogni anno leggo Nella colonia penale con i miei
studenti, e ogni anno ci trovo dentro una nuova provocazione, una contestazione
del mio modo di pensare e di agire, delle cose a cui dichiaro di credere. La
creatività dell’arte è diversa dalla creatività degli attrezzi: ci costringe a
un approccio attivo, sempre personale. La tua lettura di Kafka non sarà uguale
alla mia, però entrambi useremo l’iPhone nello stesso modo. Tuttavia, è vero
che nel mondo della tecnologia creativa ogni nuova iterazione di hardware o
software ci colpisce – costringendoci a vedere il nostro mondo in modo diverso,
un po’ come fa un’opera d’arte – e senz’altro per un giorno o due, o
addirittura per un mese, potremo sentirci sconcertati davanti a qualche
elemento di un nuovo design, magari rifiutandolo del tutto (come sta succedendo
ora con Google Glass, che in America sta venendo preventivamente proibito e
regolamentato in diversi contesti). Ma ben presto, quasi senza che ce ne
accorgiamo, ci abituiamo al nuovo design, qualunque esso sia, cominciamo a non
vederlo più, e non riusciamo a immaginare che prima fosse diverso.
…E se la cosa più creativa
da fare in questo momento fosse rifiutare? Dimostrarci scontenti di introdurre
le nostre energie nel meccanismo ben oliato dell’ordine attuale? Immaginare un
mondo diverso appare oggi come un dovere creativo, e dovunque si guardi sembra
prendere piede un principio di rifiuto. Gli attivisti del web “Anonymous”
rifiutano qualunque identità, e anche il movimento globale Occupy ha assunto la
forma di un rifiuto: il rifiuto di scegliere leader e persino linee politiche.
Qui in Italia, nelle recenti elezioni è apparsa qualche traccia della stessa
tendenza: il rifiuto della solita politica. E si cominciano a vedere artisti
che rifiutano in blocco i “fornitori di contenuti”, evitando editori, compagnie
discografiche ed emittenti televisive in modi creativi e interessanti. La fine
dell’ordine finanziario, o dell’ordine politico, o di una certa versione
dell’industria culturale e mediatica: ci hanno sempre ammonito che il crollo di
queste certezze familiari avrebbe portato all’anarchia, cioè al rifiuto di ogni
cosa. Ci hanno insegnato a temerlo, ma ormai il momento è arrivato, e perché
dovrebbe essere puramente nichilistico? Potrebbe essere la cosa più creativa
che ci sia capitata da molto tempo a questa parte.
(Traduzione di Silvia
Pareschi)
scrive Silvia Pareschi:
RispondiEliminaNon sempre ho la fortuna di apprezzare in pieno quello che traduco, ma in questo caso direi che sono d'accordo al 90% (il 10% deriva dal fatto che a me dell'iPhone non importa un accidente).
a parte l'iphone apprezzo il 100%
RispondiEliminaglielo dici a Zadie Smith che nell'ufficio di Franz Kafka c'era un'impiegato che si chiamava Bartleby (a proposito del rifiuto)?
Riferirò quando la vedo ;-)
RispondiEliminaUna perla. Magistrali le riflessioni di Zadie Smith. Grazie a Silvia Pareschi per il suo superlativo lavoro di traduzione e grazie a te per aver postato l'articolo.
RispondiEliminadiffondere le cose che meritano è cosa buona e giusta:)
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